di Rock Reynolds
«Distaccato, indipendente, scaltro, schivo, affettuoso, dispettoso, intelligente, giocoso, curioso, infido, sicuro di sé, riservato, sospettoso, enigmatico.»
Non manca nulla? Ci sono tutte? Intendo le declinazioni dell’attributo che riteniamo più adatto al nostro gatto o alla categoria dei gatti nel suo complesso. Perché quella sequenza di aggettivi a loro modo tutti calzanti è solo una delle acute osservazioni contenute nell’interessante saggio Tutti i segreti del gatto (Aboca, traduzione di Maurizio Riccucci, pagg 310, euro 20) dell’etologa Sarah Brown.
«Quale dono più grande dell’amore di un gatto?» domandava il grande romanziere Charles Dickens. E il medico, filantropo e organista alsaziano Albert Schweitzer gli faceva eco così: «Ci sono solo due rifugi dalle miserie della vita: la musica e i gatti».
Sappiamo bene che l’annosa disputa tra chi lo adora e chi lo detesta non arriverà mai a una soluzione. E pure chi si aspetta una risposta all’altro quesito antico – ovvero è meglio il cane oppure il gatto? – non troverà soddisfazione. Forse, a rendere ancor più interessanti e profonde le parole di Sarah Brown è la sua disarmante onestà nel riassumere una vita di ricerche e trecento pagine del suo libro attraverso la candida ammissione di non averci capito quasi nulla. Il gatto è stato e resta un mistero anche per chi ne ha fatto una ragione scientifica di vita. Ovviamente, pur senza proporsi come un testo definitivo sull’argomento, Tutti i segreti del gatto offre una carrellata di studi più o meno classici che, al di là di battute e tradizionali perplessità, aiuta a comprendere se non altro l’estrema complessità della personalità del gatto, la cui descrizione non è meno difficile, secondo l’autrice, di quella della personalità umana.
Se il gatto da millenni intriga noi umani e se, malgrado le sue ben note idiosincrasie e l’impresa quasi sovrumana di comprenderne la psiche, ci ostiniamo a volere la loro compagnia, un motivo deve pur esserci. D’altra parte, anche l’atteggiamento dell’uomo verso il gatto merita di essere studiato approfonditamente. Nell’antico Egitto, il gatto era venerato, ma, allo stesso tempo, era oggetto di sacrifici per propiziare la benevolenza della dea Bastet, rappresentata per l’appunto sotto le sembianze di una gatta. In parecchi templi, come documentato da una serie di ritrovamenti archeologici, i gatti venivano allevati in gran numero, uccisi e mummificati prima dell’offerta rituale alla dea. Insomma, c’era una forte contraddizione tra la venerazione popolare del gatto, le leggi che ne punivano l’uccisione con la morte e il cerimoniale funebre che ne accompagnava il decesso naturale, da una parte, e l’allevamento dei gatti nei templi in vista della loro soppressione rituale, dall’altra.
È bene che chi decide di accostarsi a questo libro sappia che non avrà tra le mani un testo a la James Herriot, il popolare veterinario-scrittore inglese le cui disavventure con gli animali e soprattutto con i loro padroni nelle campagne dello Yorkshire hanno rappresentato un vero e proprio caso editoriale internazionale.
Tutti i segreti del gatto è un saggio, per quanto non esclusivamente rivolto a un pubblico accademico, e come tale va letto. Ciò non significa che il linguaggio usato dalla sua autrice sia freddo, non abbia un cuore. In una delle pagine conclusive, Sarah Brown dice che il suo libro «ha illustrato la formidabile impresa dei gatti che, in ogni ambiente, hanno imparato a comunicare tra loro e con gli umani per cavarsela in un mondo come il nostro… Partendo da uno stile di vita solitario, si sono adattati a vivere insieme ai loro simili, sviluppando nuovi comportamenti comunicativi… e… sono riusciti a sintonizzarsi con un linguaggio molto diverso, quello umano». E Sarah Brown non manca mai di sottolineare quanto il processo di adattamento dei piccoli felini alla società umano sia tutto fuorché terminato. Insomma, non aspettiamoci dai gatti quello che vediamo quotidianamente nell’interazione con i cani, la cui convivenza con noi umani pare più antica e più compiuta di quella con gli amici felini. I cani iniziarono a entrare nelle nostre vite tra 15.000 e 25.000 anni fa, mentre i gatti – privi del retaggio sociale canino ereditato dai branchi di lupi – iniziarono a vivere con noi umani circa 10.000 anni fa.
Volete sapere come si sceglie un gatto? Quali sono le regole di buonsenso da applicare all’ambiente domestico nel quale il nostro amico baffuto si troverà a vivere, onde evitare di amplificare lo stress che immancabilmente gli farà da compagno per qualche tempo? Esiste un linguaggio più o meno codificato attraverso cui i gatti comunicano con noi umani? E i miagolii i gatti li usano solo con noi umani o anche con i propri simili? Sussiste una relazione tra il colore del mantello e la personalità? Tra la razza e la personalità? Sono tutte informazioni che troverete in questo libro. Se, però, cercate elementi incontrovertibili, probabilmente resterete perplessi perché molti degli studi su cui Sarah Brown fonda le proprie osservazioni sono scarsamente conclusivi, se non addirittura contraddittori. Sembra proprio che i gatti si divertano un mondo a mandare a rotoli ogni tentativo di sistematizzare i loro comportamenti e di trovare scale di misurazione universali per certe loro abitudini. Se lo stress, per esempio, è un elemento imprescindibile quando si sceglie di avere un amico felino in casa, è altrettanto vero che un gatto può essere stressato pure se ha la possibilità di entrare in casa e di uscirne a piacimento o, ancor più, se vive all’esterno, dove sono possibili interazioni poco gradite.
Un fatto certo sembra esserci: «Il gatto selvatico africano è l’unico antenato del gatto domestico». E bisogna distinguere tra mansuefazione («il processo per il quale un animale diventa, nel corso della sua esistenza, docile e amichevole nei confronti dell’uomo») e domesticazione («un processo molto più lungo che comporta cambiamenti a livello genetico in un’intera popolazione nel corso del tempo»). Questo secondo processo l’uomo lo ha attuato benissimo adattando il cane a vivere con noi alle nostre condizioni. Con il gatto, avrete capito, non si è riusciti a ottenere risultati altrettanto convincenti. Ma è pur vero che proprio l’atteggiamento elusivo del gatto ne costituisce uno degli intrighi più graditi. Come ha osservato lo studioso Carlos Driscoll, «i gatti sono l’unico animale domestico che è sociale allo stato domestico ma solitario in natura».
Chi abbia vissuto con un animale sa bene quanto l’affetto che proviamo possa trasformarci in patetiche versioni infantili di noi stessi. Accetto scommesse: chi non si è mai rivolto a un gatto come se stesse parlando con un poppante? Peraltro, alcuni studi confermano che quel tipo di linguaggio, forse perché accompagnato da un tono dolce e protettivo, solitamente piace ai gatti. Ma i segnali che i nostri gatti ci trasmettono possono essere ben più che solo vocali: fusa, code dritte, strusciamenti e via dicendo. E interpretarli ci può dare parecchi grattacapi. Un gatto che ci si avvicini con fare sornione, magari dandoci la sensazione di volere una coccola, e poi proditoriamente ci appioppa una zampata con tanto di artigli in azione non è una possibilità rara.
Vale tutto e il contrario di tutto? Non esattamente.
Allora, meglio mettere da parte l’idea di avere un gatto in casa e pensare di farci accompagnare da un cane? Avendo avuto un cane e avendo attualmente con me due gatti, direi che l’ideale sarebbe contornarsi di entrambi.