La tutela internazionale dei diritti umani: un libro da leggere
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La tutela internazionale dei diritti umani: un libro da leggere

Parole chiare, inequivocabili, che appaiono in apertura del libro La tutela internazionale dei diritti umani (Il Mulino, pagg 179, euro 13) di Salvatore Zappalà, docente di Diritto Internazionale presso l’Università di Catania.

La tutela internazionale dei diritti umani: un libro da leggere
Diritti umani
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18 Novembre 2023 - 00.03


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di Rock Reynolds

«Da oltre trent’anni (ossia dal “crollo” del Muro di Berlino) il sistema mondiale si dibatte di crisi in crisi , senza riuscire a trovare un equilibrio soddisfacente in termini di “governance” globale. In questa epoca di crisi molteplici, i diritti umani si sono inevitabilmente trovati a essere più fragili e spesso in pericolo.»

Parole chiare, inequivocabili, che appaiono in apertura del libro La tutela internazionale dei diritti umani (Il Mulino, pagg 179, euro 13) di Salvatore Zappalà, docente di Diritto Internazionale presso l’Università di Catania. I diritti umani, infatti, sono stati affermati nel 1948 dalla Dichiarazione universale, in un momento di profonda autocritica globale e di ripensamento dello stesso ordine internazionale da parte della neonata società delle nazioni, uno strumento che il mondo si era dato proprio per rivendicare che non sarebbe mai più stato sull’orlo di quel baratro in cui aveva rischiato di venir risucchiato per sempre dopo gli orrori della Seconda Guerra. Ecco, dunque, la necessità quasi costante di ribadirne la validità e universalità. Anche per questo, alla luce degli attuali conflitti che rischiano di minare la stabilità non solo dei territori in cui si svolgono ma dell’intero scacchiere internazionale, è stata pubblicata una nuova edizione di questo testo interessante. E il professore Salvatore Zappalà, che l’ha scritto, ha risposto esaurientemente alle nostre domande.

È ipotizzabile che, quando e se verranno deposte le armi in Ucraina e Medio Oriente, un nuovo forum mondiale rinnovi i principi espressi dal testo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?

«Riaffermare l’impegno di tutta la comunità internazionale a sostegno dei diritti umani e della volontà di perseguire gli obiettivi di tutela della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 potrebbe essere politicamente importante (basti pensare che oggi l’ONU ha 193 Stati membri mentre nel 1948 gli Stati membri erano poco meno di una sessantina). Tuttavia, non bisogna dimenticare che nel corso degli anni più volte il valore della Dichiarazione universale è stato riaffermato in occasione di vertici mondiali e di adozione di importanti risoluzioni. Gli stessi obiettivi di sviluppo sostenibile del 2015 (l’Agenda 2030, adottata in occasione del vertice per il settantesimo anniversario dell’ONU) si fondano sulla promozione e protezione dei diritti umani e richiamano esplicitamente la Dichiarazione Universale (UNGA Res. 70/1 del settembre 201: al paragrafo 10, si dice chiaramente che la nuova agenda di sviluppo è “grounded in the Universal Declaration of Human Rights”); ma anche la risoluzione adottata in occasione del summit del millennio nel settembre dell’anno 2000 (la United Nations Millennium Declaration) richiamava esplicitamente la Dichiarazione universale. Vi sono poi numerosi esempi anche recenti: si pensi alla risoluzione 76/300 del 2022 in tema di diritto umano a un ambiente pulito, salubre e sostenibile, che si apre con la riaffermazione dei valori della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Quindi il vero problema – come spesso accade – è mantenere la volontà politica nella giusta direzione e spingere tutti gli Stati ad operare in tal senso.»

Cos’è che negli anni ha reso più “fragili e spesso in pericolo” i diritti umani?

«I diritti umani sono fragili per definizione. Non vi sono diritti acquisiti per sempre, né Paesi al riparo dai rischi di violazione. Spesso si ha l’impressione che quello della tutela dei diritti sia un problema solo di alcuni Paesi, lontani e con sistemi politici, culturali, giuridici diversi dai nostri. In realtà la fragilità dei diritti è intrinseca al rapporto tra “individuo e autorità” (per citare il titolo di un’opera fondamentale); è per questo che occorre un sistema articolato e multilivello per la loro tutela. Ed è anche indispensabile che la società civile mantenga sempre alta la vigilanza. La lotta per l’affermazione dei diritti è quotidiana e ciascuno di noi può iniziare dalla porta accanto.»

Nel suo libro, scrive che la realtà digitale “si è trasformata da opportunità in minaccia”. Perché?

«Come tutte le innovazioni anche la realtà digitale si presta ad abusi, diventa essa stessa terreno di violazioni; come tutte le invenzioni umane deve essere regolata e gestita. Quella che forse è arrivata in ritardo è stata proprio la capacità di delineare meccanismi di regolazione e di tutela.»

Lei a un certo punto dice che si deve almeno in parte al presidente F.D. Roosevelt l’avvio della campagna per la tutela mondiale dei diritti umani. Manca una figura di statista altrettanto autorevole e impegnata su quel fronte?

«In effetti, la spinta ideale per la creazione delle Nazioni Unite e per la tutela mondiale dei diritti è riconducibile all’azione del presidente Roosevelt (tanto è vero che nel 1945, quando a San Francisco, poco dopo la sua morte, si aprì la Conferenza diplomatica che portò all’adozione dello Statuto dell’ONU, si temeva che, venuta meno la sua leadership, non si sarebbe riusciti nell’impresa di creare l’Organizzazione) e alla sua visione politica (il discorso del 1941 sulle 4 libertà – di espressione, di religione, dal bisogno e dalla paura – rappresenta senza dubbio una importante fonte di ispirazione). I leader sono importanti, questo è certo, ma è altrettanto importante il ruolo di ciascuno di noi, la riscoperta di valori di solidarietà, il ritorno a una cittadinanza più militante (ma non per forza di parte), a un impegno nei confronti della comunità, la capacità di andare oltre la coltivazione del proprio giardino, il superamento degli egoismi che, purtroppo, una società sempre più “individualizzata” inevitabilmente ha creato.»

Opposte o comunque diverse visioni del mondo hanno impedito l’adozione di trattati vincolanti a livello internazionale. Oggi che la cortina di ferro è caduta, non le pare che tali contrapposizioni siano desuete? Secondo lei, cos’è che concretamente crea frizione? A me pare piuttosto un contrasto di interessi economici e di potere, più che filosofico…

«Penso che in fondo sia la stessa cosa. Magari sono cambiate le etichette ma le contrapposte visioni del mondo sono “vestiti” che coprono gli stessi corpi. Le potenze mondiali si confrontano e si scontrano proprio sulla base di interessi contrapposti e del contrasto per mantenere o espandere le proprie sfere di influenza. Quindi, le diverse visioni del mondo che ciascuna grande potenza esprime (compreso il diverso atteggiamento nei confronti di temi quali l’uguaglianza di genere, la libertà di religione, la non discriminazione nelle sue varie forme, la libertà di stampa o di opinione ecc…) non sono altro che uno dei terreni di confronto, una delle forme che assume lo scontro di potere.»

È un’assurdità pensare che una ristrutturazione delle Nazioni Unite possa essere il viatico (o un viatico) per un rafforzamento della tutela dei diritti?

«Il tema della riforma dell’ONU è centrale e non può essere eluso. La realtà attuale delle relazioni internazionali è mutata profondamente rispetto al 1945. Diversi Paesi hanno assunto un ruolo, o la potenzialità per svolgere un ruolo, più importante rispetto al passato. Detto questo, non è scontato che una riforma del sistema ONU porti ad una migliore o più efficace tutela dei diritti. Alcune delle potenze emergenti hanno politiche altalenanti in materia. Spesso si guarda alle prospettive di riforma pensando soprattutto a modifiche relative al Consiglio di sicurezza e al problema del diritto di veto. Le politiche riguardo ai diritti umani sono state già riformate più volte in seno all’Organizzazione. Per rimanere agli ultimi decenni: dopo la Conferenza di Vienna del 1993 con la creazione dell’Alto Commissariato per i Diritti umani che è un’istituzione molto importante del sistema, che coordina tutta l’azione ONU in materia, e poi, nel 2005, in occasione del 60mo anniversario dell’ONU, con la creazione del Consiglio per i diritti umani (che ha sostituito la precedente Commissione ONU per i diritti umani, ma in una certa misura presenta difetti analoghi). Il Consiglio per i diritti umani, composto da 47 Stati membri dell’ONU eletti dall’Assemblea Generale (13 del gruppo africano e 13 del gruppo asiatico, 8 dei Paesi dell’America Latina e Caraibi, 7 dei Paesi occidentali e 6 dei Paesi dell’est Europa), presenta numerosi difetti ed è sicuramente un’istituzione che avrebbe bisogno di miglioramenti, ma ha il pregio di rappresentare un luogo di confronto sulle tematiche relative ai diritti umani ed è un organo in cui le diverse sensibilità emergono in maniera evidente, talvolta sin troppo. Probabilmente, nell’ambito di una riforma del sistema ONU, il Consiglio per i diritti umani potrebbe beneficiare di qualche revisione. Tuttavia va riconosciuto che con la sua stessa istituzione la tematica ha acquisito maggiore visibilità, per lo meno all’interno dell’organizzazione.»

Come possono essere credibili potenze come USA, Russia e Cina in seno al consiglio di sicurezza dell’ONU se non riconoscono la giurisdizione delle corti internazionali di giustizia?

«Nel mondo che venne fuori dalla Seconda guerra mondiale si ritenne che fosse necessario, per scongiurare il rischio della terza, riconoscere l’esistenza di un “direttorio mondiale” e fare di esso il perno della Organizzazione (ecco spiegati i 5 membri permanenti del Consiglio). Questo perché nel sistema precedente, quello della Società delle Nazioni, creato nel 1919 dopo la Prima guerra mondiale, non c’era un tale meccanismo e, forse anche per questo, l’Europa precipitò piuttosto rapidamente verso la Seconda guerra mondiale. Può essere vero che oggi quel sistema non sia più adeguato (ammesso che lo sia mai stato) ma non sembra esserne ancora emerso uno migliore. Quello è un sistema fondato sul primato della politica sul diritto. Non è sorprendente quindi che le grandi potenze siano restie a sottoporsi al giudizio delle Corti perché si considerano in larga misura al di sopra della legge. Ciò, però, non vuol dire affatto che non vi siano meccanismi nel sistema stesso per contrastare tali tendenze, come dimostra per esempio il mandato d’arresto della Corte penale internazionale contro Vladimir Putin o le pronunce della Corte internazionale di Giustizia che hanno dato torto agli USA (per esempio, nel caso Nicaragua c. Stati Uniti o nei casi relativi alla pena di morte, Germania c. USA e Messico c. USA), o ancora la pronuncia di una corte arbitrale contro la Cina nel contenzioso che l’oppone alle Filippine in relazione a certe aree di marine contese. Pur non potendoci aspettare che si sottopongano facilmente alle corti internazionali, le grandi potenze possono essere credibili solo a condizione che assumano le proprie responsabilità e svolgano insieme il ruolo che la Carta assegna loro: in questo senso è essenziale che venga recuperato il filo del dialogo, che è il solo strumento per provare a realizzare condizioni di stabilità dell’ordine internazionale senza le quali i diritti umani sono inevitabilmente a rischio.»

In che modo in futuro la società delle nazioni potrà rendere vincolanti principi che non ci vorrebbe granché per ritenere davvero universalmente validi?

«I principi sulla tutela dei diritti umani sono fondamentalmente universali e sono principi che in larga misura pongono obblighi vincolanti. Ciò che stenta ad affermarsi è l’esistenza di normative interne adeguate, meccanismi internazionali di controllo e tutela di tali diritti, nelle più disparate situazioni concrete in cui essi sono oggetto di violazioni. Il sistema internazionale non può che fondarsi sulla collaborazione tra gli Stati per l’attuazione in ciascun Paese del catalogo dei diritti e, purtroppo, spesso chi detiene il potere negli Stati stessi non ha interesse al rispetto dei diritti o, peggio ancora, ha un interesse contrario (in fondo, i diritti sono uno strumento di contestazione del potere costituito). In questo senso il ruolo della società civile è indispensabile. Non vi può essere attuazione della tutela dei diritti senza una società civile attenta e vigile.»

Alla luce delle violazioni dei diritti umani che si stanno dipanando di fronte agli occhi del mondo in questi giorni, pensa che ci saranno discussioni importanti (ed eventuali soluzioni pratiche) sulla tutela dei diritti a livello globale? E pensa che si possa aprire un tavolo serio sulle modalità di “costrizione” ad attenersi ai trattati firmati?

«La comunità internazionale è essenzialmente fondata sugli “Stati sovrani”, il che equivale a dire che le capacità di controllo e accertamento di eventuali violazioni da parte di organi internazionali super partes è vincolata all’accettazione di tali meccanismi da parte degli Stati stessi. In altri termini, solo se gli Stati accettano di sottoporvisi, eventuali meccanismi più stringenti possono esistere. Tuttavia si può e si deve fare di tutto affinché esperienze tragiche come quelle odierne portino a un rafforzamento dei meccanismi internazionali di controllo (ed eventualmente di sanzione), come del resto è avvenuto, sia pure parzialmente e molto lentamente, dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale. Oggi però abbiamo una segnaletica internazionale articolata che ci permette di identificare le violazioni e, a certe condizioni, di punire gli autori, per esempio davanti alla Corte penale internazionale. Infine, da non sottovalutare è il ruolo dei giudici nazionali che in alcune circostanze possono avere competenza ed essere chiamati a pronunciarsi.»

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