di Pancrazio Cardelli Anfuso
Non ti puoi permettere di fare storia senza domandarti che effetto ha sul terreno. E al tempo stesso non puoi stare sul terreno senza domandarti da dove viene tutto questo e dove va. (Alessandro Portelli)
Centocelle e la movida, i localini e il nuovo Pigneto: Centocelle che ormai è dentro al cuore di Roma, una delle isole più vive dell’arcipelago metropolitano: se ne parla da anni, spesso dando per scontata la metamorfosi di un quartiere popolare, proiettato verso una specie di gentrificazione che ne riscriverebbe i connotati.
E, a proposito di scrivere, in molti (anch’io) si sono cimentati nel raccontare la storia del quartiere e i fatti che hanno scandito il suo primo secolo di vita, soffermandosi sui passaggi della grande storia e sui singoli avvenimenti salienti.
Centocelle, racconti di un quartiere che resiste, edito da DeriveApprodi (302 pagine, € 15), si aggiunge a questa collezione di libri, riallacciandosi in parte alla storia orale raccolta da Alessandro Portelli e dal suo gruppo di lavoro nel fondamentale Città di Parole, uscito per i tipi di Donzelli nel 2006.
Il libro di DeriveApprodi affianca alla narrazione degli eventi il racconto di chi agisce sul territorio, mantenendo viva la vocazione del quartiere, testimoniata dalle vicende storiche: la Resistenza, particolarmente attiva nella zona; le lotte contro il carovita e per lo sviluppo del quartiere nel dopoguerra; le lotte politiche degli anni ’70, quelle per la casa e quelle per l’occupazione portate avanti nelle poche fabbriche vicine.
Ne esce un racconto più aggiornato (il libro è uscito nel 2022), che aggiunge il punto di vista di chi è attivo nel quartiere e ne spiega una quotidianità; un racconto oltre il turbinio di aperture di bar e ristoranti che agitano le acque, tra le fermate metro Mirti e Gardenie, che hanno cambiato il volto della zona dopo gli anni dell’infinito incantieramento che aveva bloccato la piazza principale, cuore pulsante di Centocelle.
Si raccontano in prima persona, tra gli altri, la Biblioteca Abusiva Metropolitana di Aladin; le esperienze della scuola di Via dei Sesami e il consultorio di Via delle Resede; i laboratori sociali di LSA; il Centro Sociale di Forte Prenestino, baricentro culturale e motore di infinite iniziative a testimonianza della modernità e il dinamismo del quartiere, ancora capace di grandi mobilitazioni spontanee, come quella recente – Combatti la paura, difendi il quartiere – seguita da una fase in cui numerosi attentati incendiari avevano colpito alcuni centri di aggregazione locali.
Importanti le pagine scritte da Diego Zerbini (La profezia della Pecora Elettrica) che raccontano il senso della comunità costruita attorno alla libreria La Pecora Elettrica, bersaglio-simbolo di quell’attacco al cuore pulsante del quartiere che suscitò la reazione veemente della popolazione.
Una difesa della propria identità che passa per vie alternative: ci si arricchisce contaminandosi, da quartiere innervato, da sempre, dall’immigrazione prima dall’Italia e poi dall’estero, acquisendo gli strumenti per rifiutare l’omologazione.
Almeno per opporsi, per quanto possibile, alla melassa globale e alle sollecitazioni di una pretesa modernità che stravolge tutto e riporta ad un modello basato sull’individualità e sulla competizione, sul consumo come status symbol, sulla morte della solidarietà e il rifiuto della specificità.
In linea generale, perché poi, stando sul terreno, ci si misura con la realtà del quartiere, si cerca di capire da dove viene tutto questo fermento, quali elementi nocivi contiene, che risorse positive mobilita.
Leggendo scopriamo quello che i luoghi comuni non raccontano: la periferia che si crede rassegnata, assopita, schiacciata da solitudine e paura, in realtà reagisce, si organizza, connette l’alto col basso e l’alternativo con il cittadino comune. Elabora movimenti trasversali, sperimenta strumenti di lotta, corre più veloce che può, senza piangere sui problemi enormi che affliggono la metropoli e, quindi, anche le sue isole. Che non si limitano certo alla monnezza o al traffico.
Una periferia che, soprattutto, sembra non aspettarsi niente dalle istituzioni, che parlano linguaggi astrusi, anche quando sembrano amiche, e faticano a immergersi nella quotidianità.
Emerge da più parti un dialogo tra cittadini delle estrazioni più varie, che è la realtà vista dal basso, quella che sfugge ai racconti che sorvolano il quartiere a volo d’aquila, le narrazioni delle serie televisive focalizzate sul crimine romanesco, quelle degli scrittori che raccontano degrado e bassifondi che esistono ma non sono la norma, che è fatta di gente comune alle prese con le più stringenti questioni quotidiane.
Così si scopre che c’è chi s’impegna per tutti: scuola, casa, ambiente, cultura, resistenza, senza rivendicare diritti, senza abbattersi quando la lotta non si può vincere, rifluendo negli interstizi del sistema per alimentare e rivendicare l’autonomia di pensiero che questo libro racconta. Un identità nel senso migliore della parola, pronta allo scambio e protesa verso il bene comune. Ad avercene.