di Raffaella Gallucci
Santocielo, ultimo lavoro con il quale, Ficarra e Picone, tornano ad affrontare un tema religioso e tipicamente natalizio, come già avevano fatto in una precedente e fortunata pellicola, Il primo Natale. Ma questa volta hanno voluto rappresentare una natività diversa, fuori dagli schemi.
La commedia ora nelle sale è diretta da Francesco Amato e arriva a breve distanza dalla fortunata interpretazione della coppia ne La Stranezza.
La trama gira intorno al personaggio di Aristide (Picone), ovvero un angelo che nella gerarchia celeste non occupa una posizione di spicco, che sogna una promozione che il Padre Eterno (Giovanni Storti) non gli ha ancora concesso. La grande occasione arriva quando, in un ultimo tentativo per la salvezza di un’umanità immorale e guerrafondaia, l’assemblea divina opta per la discesa di un nuovo messia sulla Terra.
Ad Aristide, offertosi volontario, l’onore di una nuova Annunciazione che permetterà all’umanità di salvarsi e all’angelo di guadagnarsi il favore di Dio. Però – e questo c’era da aspettarselo – tutto prende una brutta piega quando Aristide destina il miracolo del concepimento a un uomo, Nicola (Ficarra), scombinando i piani divini.
Gli ingredienti per provocare, visti i tempi che corrono, ci sono tutti. Il duo comico siciliano aveva in mano gli strumenti necessari per scongiurare che fosse prodotto il solito compitino da film natalizio. Affrontare temi delicati, prendendo anche posizioni coraggiose. Poteva benissimo essere descritto con aggettivi come “dissacrante” o “provocatorio”, ma la provocazione è riuscita solo in parte.
Infatti, pur avendo il coraggio di portare, in una pellicola rivolta al grande pubblico, temi molto rilevanti e attuali, allo stesso tempo, ne prendono le distanze. Forse per paura di osare troppo? Sfuma, così, quella carica critica che poteva connotare la pellicola. Il racconto, in alcune parti, si disimpegna dando l’impressione di scappar via quando l’argomento si fa spinoso. Si nota, in particolare, quando toccano temi sensibili come quello dell’aborto.
L’intento di provare a portare nelle sale italiane qualcosa di diverso c’era e lo si percepisce nettamente. Ma non basta solo “citare” alcuni punti nevralgici per parlare di un film che porta aria davvero fresca e non stereotipata. Per questo il film lascia un po’ con l’amaro in bocca proprio come quando ci si trova davanti ad un’opera incompiuta.
Sulla comicità niente da dire: i due possiedono ancora quella preziosa alchimia che li ha sempre contraddistinti e la dinamica che li costringe a una convivenza forzata diverte. Un applauso a Giovanni Storti nei panni di Dio che ruba la scena nei pochi frangenti a disposizione.
Mentre sul versante narrativo qualche buco di trama, lo si percepisce ma abbiamo assistito a molti lavori ben peggiori. Anche se lo spettatore si rilassa troppo nella parte centrale, il film non annoia e coinvolge.
Alla fine, un messaggio lo trovano e lo trasmettono: mai curarsi del parere della gente circa le proprie decisioni, mai vergognarsi della propria condizione. Niente di nuovo, ma questo non rappresenta un difetto. Di questi tempi.