Il sesso come strumento di controllo nel regime nazista
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Il sesso come strumento di controllo nel regime nazista

Sono passati quasi ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e mai come in questi giorni si avverte il peso della memoria in affievolimento

Il sesso come strumento di controllo nel regime nazista
Omosessuali vittime del nazismo
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17 Gennaio 2024 - 14.46


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di Rock Reynolds

Sono passati quasi ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e mai come in questi giorni si avverte il peso della memoria in affievolimento: una diffusa voglia di guerra aleggia su gran parte del pianeta o, quantomeno, a regnare è una preoccupante apatia, figlia di decenni di assuefazione a brutture e ingiustizie internazionali, oltre che a soventi mistificazioni della realtà a uso politico.

La Giornata della Memoria (il 27 gennaio) è stata istituita con il preciso intento di combattere l’indifferenza, man mano che i testimoni diretti degli scempi del nazifascismo vengono a sparire.

Ricordare alcune delle aberrazioni peggiori che il regime nazista tentò di imporre a mezzo mondo, in nome della purezza e della superiorità della razza ariana, non guasta certo. Ecco che un saggio come I bordelli di Himmler (Mimesis, traduzione di Andrea Gilardoni, pagg 222, euro 18), di Baris Alakus, Katharina Kniefacz e Robert Vorberg (nato da una mostra austriaca sulla schiavitù sessuale nei campi di concentramento nazisti) può essere uno strumento illuminante.

Una delle sfere un cui il regime si è ingerita è quella più intima: la sessualità. È una costante di ogni sistema autoritario dire la sua persino sulle abitudini private degli individui. Solo così l’esercizio ossessivo del controllo può essere completo. Gli esempi non mancano neppure oggi. Basti pensare al divieto vigente in Cina fino a qualche anno fa di fare più di due figli per coppia o al ruolo della “Polizia Morale” in Iran.

Alla base di tutto c’è l’ossessione nazista per l’eugenetica, che riconduceva “i processi sociali a meri fattori biologici”: per diventare razza pura, il popolo tedesco aveva bisogno di selezionare determinati “tipi ereditari” eliminando certe tare, nella convinzione che la “‘variazione ereditaria’ dipendesse in gran parte dalla ricombinazione del patrimonio genetico durante il rapporto sessuale”. Ecco che vietare a soggetti non ritenuti idonei di unirsi sessualmente al fine di preservare la purezza della razza portò a sterilizzazioni (nel 1934, vennero effettuate sterilizzazioni “legali” su 200.000 uomini e 200.000 donne), aborti e matrimoni vietati. Tutto ciò, all’insegna di un maschilismo di stato, attraverso un’esaltazione ridicola della donna nel suo ruolo tradizionale di madre e consorte. “Il coraggio dell’uomo sul campo di battaglia corrisponde a quello della donna nella sua eterna dedizione… Partorire figli era un ‘dovere nazionale’… le donne… avrebbero ottenuto il riconoscimento sociale solo attraverso una maternità ineccepibile, cioè ‘ariana e senza patologie ereditarie’.” Alla donna veniva, dunque, riconosciuto il ruolo di garante della purezza della razza.

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Heinrich Himmler, comandante supremo delle SS, aveva una visione ben più restrittiva della sessualità lecita rispetto a Hitler e pose un veto assoluto ai rapporti omosessuali. Addirittura, era convinto che la prostituzione fosse un “valido strumento per combattere l’omosessualità maschile”. Quella femminile era considerata un’aberrazione addirittura impensabile. Himmler era della strana idea che le lesbiche prima o poi avrebbero avvertito la pulsione alla maternità e, dunque, sarebbero tornate a essere eterosessuali e che si potessero “guarire” certe tendenze omosessuali in uomini evidentemente confusi mettendoli a stretto contatto con presenze femminile, persino a pagamento. Himmler, infatti, riteneva che “l’omosessualità fosse innata solo nel due per cento dei casi” e che fosse curabile.

Il decoro era uno dei parametri fondamentali per il nazismo. Lo è, almeno a parole, per tutti i regimi. Bastava poco perché una donna venisse additata come una prostituta: “rapporti sessuali frequenti e con diversi partner”. Tali donne rientravano nella categoria degli “asociali” e, come tali, andavano rinchiuse. Lavativi, perdigiorno, alcolisti, malati di mente, disabili, testimoni di Geova, soggetti con tendenze criminali, rom e sinti, ebrei, gruppi etnici inferiori (per esempio gli odiati slavi), oppositori politici del regime: c’era posto per tutti nei campi di concentramento che iniziarono a spuntare come funghi in Germania e, soprattutto, nei territori occupati.

Attraverso un decreto ministeriale, si costruirono “i primi bordelli statali per i membri dell’esercito, per poter esercitare il… controllo sul comportamento sessuale dei soldati”, soprattutto nei paesi invasi dalla Germania, la cui popolazione ritenuta inferiore non avrebbe dovuto in alcun modo contaminare il sangue tedesco. Nei lager le donne erano oggetto di brutalità e umiliazioni e la loro sfera intima veniva violata spesso fin dal loro arrivo, costrette a spogliarsi del tutto di fronte ai soldati, per poi essere destinate all’uso che la dirigenza riteneva più idoneo. La condizione di stress e di denutrizione, nonché la scarsa igiene, era una delle cause primarie dell’assenza delle mestruazioni in molte donne sessualmente mature.

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Quando le sorti della guerra iniziarono a farsi palesi agli occhi delle gerarchie naziste, la necessità di intensificare uno sforzo bellico vistosamente votato al fallimento portarono alla decisione di creare un sistema di premi all’interno dei campi di lavoro. In molti lager o accanto a essi sorgevano, infatti, stabilimenti per la produzione di armamenti essenziali. Gli incentivi erano i seguenti: condizioni detentive meno pesanti, vettovaglie supplementari, premi in denaro, sigarette e buoni per visite al bordello. Tali incentivi erano meramente orientati a un incremento della produzione, non a un ripensamento del trattamento disumano degli internati.

Il paradosso è che, persino dopo il crollo definitivo del nazismo, l’esistenza dei bordelli all’interno dei campi di concentramento venne vista come un’onta persino peggiore dell’esistenza dei campi stessi: gli edifici che ospitavano i bordelli vennero spesso abbattuto anche nei lager destinati a essere trasformati in musei. Per giunta, alle donne che avevano operato al loro interno non venne riconosciuto il minimo risarcimento, di fatto equiparandole a prostitute che avessero scelto la professione in assoluta autonomia decisionale. Addirittura, al momento della presentazione di un modulo di risarcimento, le dichiarazioni delle donne impiegate nei bordelli dei lager erano messe in contrapposizione con l’opinione di medici, funzionari o giudici che, fino a poco tempo prima, erano stati al servizio del regime e che sovente esprimevano pareri contrari. Molte schiave sessuali, così, dovettero fare i conti nel dopoguerra con il perdurante disprezzo generale nei confronti delle donne stigmatizzate come asociali e ci volle parecchio tempo perché “la tabuizzazione delle loro esperienze” crollasse e si iniziasse a parlarne compiutamente.

Frank McDonough, ex-docente di storia internazionale presso la Liverpool John Moores University, è un noto studioso delle vicende della Germania nazista, al punto da aver partecipato a numerosi documentari realizzati da National Geographic, Discovery Channel e BBC. Il suo libro Gestapo. La storia segreta (Newton Compton) è un saggio illuminante sull’atmosfera fosca di oppressione politica vigente in Germania dall’avvento di Hitler alla sua caduta. Gli abbiamo fatto qualche domanda a corredo della lettura de I bordelli di Himmler.

Perché il sesso sembra essere un’ossessione “politica” di tutti i regimi?

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«Perché si direbbe che i politici ne siano particolarmente interessati. Tantissimi sono coinvolti in scandali sessuali.»

L’ossessione nazista per il sesso dipendeva dalla necessità di preservare l’integrità della razza ariana o di controllare il paese? 

«I nazisti non erano contrari al sesso. Volevano solo che venisse praticato all’interno del matrimonio. Da un membro fedele della razza ariana ci si aspettava che mettesse al mondo molti figli.»

I nazisti facevano dell’eterosessualità una bandiera. Eppure, una figura come Röhm, il capo delle SA, era apertamente gay…

«Hitler strinse un occhio di fronte alla cultura omosessuale all’interno delle SA e nella cerchia di Ernst Röhm. Himmler, invece, assunse una posizione decisamente meno tollerante e perseguitò i gay.»

Com’erano i bordelli delle SS?

«I bordelli delle SS nacquero durante la guerra in luoghi in cui la prostituzione era un fenomeno diffuso, come Amburgo e Berlino. Ne sorsero tanti nei campi di concentramento tedeschi in cui sarebbe stato possibile sfruttare la popolazione femminile. Si ritiene che nei paesi europei occupati dalla Germania ce ne fossero 500: ai prigionieri privilegiati che assistevano le SS era consentito di accedervi.»

Alla luce degli attuali conflitti internazionali, ritiene che una guerra globale possa portare a un nuovo scenario da incubo come quello della Seconda Guerra?

«C’è un grande pericolo: ovvero che le ambizioni territoriali di Putin possano scatenare un conflitto europeo.»

Quanti prigionieri fecero uso di quei bordelli?

«Migliaia di prigionieri privilegiati, si ritiene, soprattutto quelli impiegati nei Sonderkommando che furono reclutati dai nazisti per assisterli nel genocidio e che, spesso, erano ebrei. È difficile calcolare se tale fattore abbia accelerato le uccisioni nei campi, ma è probabile che abbia rappresentato una valvola di sfogo per lo stress da omicidio.»

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