di Rock Reynolds
«Senza fosforo non c’è vita sulla Terra.» È un principio scientifico: il fosforo è nel nostro DNA e svolge una funzione cruciale per la nostra struttura fisica. «Anzi, è il nostro DNA: I filamenti delle famose eliche che, intrecciandosi, forniscono le impronte genetiche che danno vista a ogni singola cella del pianeta sono fatti di fosforo. Dal mais che coltiviamo, agli animali che lo mangiano, alle persone che mangiano quegli animali, il fosforo è fondamentale in ciascuna fase di questa concatenazione di eventi.»
A riassumere il concetto con questa chiarezza è il giornalista e divulgatore scientifico americano Dan Egan nel suo bel libro L’elemento del diavolo (Aboca, traduzione di Andrea Asioli, pagg 284, euro 26). E il fosforo è un componente primario dei fertilizzanti moderni, insieme ad altri due elementi: azoto e potassio. Ma se la Terra e l’atmosfera, rispettivamente, dispongono tuttora di riserve ingenti di potassio e azoto, la carenza di fosforo si sta facendo progressivamente più preoccupante, sotto i colpi del suo impiego smodato per nutrire i terreni agricoli di mezzo mondo. Quando si sarà raggiunto il cosiddetto “picco del fosforo”, le sue fonti si ridurranno drasticamente e la conseguenza più vistosa sarà una scarsità cronica di cibo.
Insomma, il paradosso della modernità e del raggiungimento di un relativo benessere diffuso sta nella crescita esponenziale della popolazione del pianeta con la conseguente necessità di ottimizzare i raccolti e la produzione di cibo vegetale e animale che, a loro volta, richiedono un uso massiccio di fertilizzanti ricchi di fosforo la cui dispersione nei corsi d’acqua crea una proliferazione di microbatteri che colorano laghi e fiumi, riempiendoli di alghe putrescenti e tossiche. Un circolo vizioso che, secondo l’autore e buona parte della comunità scientifica, va spezzato. Per giunta, in fretta. Per realizzare tale obiettivo, gli stati devono implementare politiche chiare e lungimiranti e non ricorrere esclusivamente a provvedimenti tampone. Infatti, «la gran parte del fosforo che oggi estraiamo e spargiamo come fertilizzante viene spazzata via dai terreni agricoli prima ancora di essere assimilata dalle colture, ancor meno dal bestiame, e men che meno da noi. Per converso, la gran parte del fosforo contenuto nel cibo che finisce sulle nostre tavole viene poi incanalata, attraverso le fognature, nelle nostre acque, invece di tornare sui coltivi. È il cosiddetto “paradosso del fosforo”: nello stesso momento in cui dilapidiamo le nostre sempre più preziose riserve di roccia contenente fosforo estraibile, sovraccarichiamo di fosforo le nostre acque».
Il fosforo è una scoperta dell’alchimista tedesco Henning Brandt che, nel 1669, compì ad Amburgo uno strano esperimento, facendo cuocere lungamente la propria urina, in una sorta di ricerca della mitica pietra filosofale, insomma di un sistema empirico per trasformare in oro qualcos’altro. Convinto che tale proprietà si celasse nei meandri del corpo umano, Brandt ottenne dei residui abbaglianti verde-blu e battezzò «la sua scoperta “fosforo” dalla parola greca che designa il pianeta Venere: phosphoros, traducibile approssimativamente con “portatore di luce”», proprio come il luccichio di cui Venere irrora il cielo prima dell’alba, preannunciando l’imminente arrivo del sole. E, guarda caso, «Significato simile ha la parola latina per Venere: luc (“luce”) e fer (“portatore”). Lucifer. Lucifero». Insomma, la cosa intrigante di cui si accorse Brandt non fu una trasformazione in oro dei rimasugli bruciacchiati della sua urina bensì la loro propensione a bruciare spontaneamente e furiosamente. Non a caso, chiamò affettuosamente quello strano elemento mein Feuer: il mio fuoco.
La forza distruttiva del fosforo si manifestò in tutta la sua inquietante potenza nel 1943 quando gli Alleati, lanciando la “Operazione Gomorra”, scaricando proprio sulla città di Amburgo una quantità inusitata di bombe al fosforo, riducendo in cenere buona parte degli edifici, compresa la chiesa di San Nicola, di cui si salvò solo l’altissima guglia. Un testimone dichiarò di aver visto cadere dal cielo «gocce di metallo incandescente» che in parte si depositarono sul fondo dei canali. E lì si trovano tuttora, innocui sassolini, a patto che restino dove sono e non vengano portati in superficie. Un pensionato tedesco interpellato da Dan Egan scoprì, a proprie spese, che non era il caso di trattare come semplici pietruzze quei residui di fosforo solidificato quando, nel 2014, ne raccolse uno sulla battigia di una spiaggia del Baltico che gli incendiò una tasca, provocandogli ustioni gravissime in buona parte del corpo.
Ecco perché ci capita spesso di sentire questo o quell’esercito in guerra negare di aver fatto uso di munizioni al fosforo.
Il fosforo dà la vita, ma ha pure il potere di toglierla: l’umanità, come sottolinea a più riprese Egan, dovrebbe tenerlo sempre presente. «L’unica cosa che adesso possiamo fare per proteggere e risanare quelle acque e al tempo stesso garantire che ci sia abbastanza fosforo – abbastanza cibo – disponibile per tutte le anime che devono ancora nascere è addestrare questo diavolo dell’ultim’ora a mordere la propria coda, ripristinare il virtuoso cerchio della vita del fosforo che abbiamo spezzato.»
Gli interessi in gioco sono molteplici, a partire dalle situazioni di crisi nelle zone di maggior produzione del fosforo stesso. In particolare, il Sahara occidentale, che vanta il 70-80% delle residue risorse di fosforo del pianeta e la cui titolarità è rivendicata da una ristretta popolazione locale “saharawi” contro cui il Marocco ha scatenato una violenta repressione, occupando i suoi territori e, di fatto, concentrando nelle mani del proprio re una ricchezza strategica che rende ancor più pericoloso il fragile equilibrio internazionale.
Dan Egan ricostruisce la crescente dipendenza dell’umanità dal fosforo da quando ne fu scoperta l’utilità in quanto fertilizzante, a partire dallo sfruttamento di montagne di guano create dalla fauna ornitologica in remote isole del Sudamerica, all’inizio dell’Ottocento.
Ne illustra pure l’uso militare, per esempio attraverso i gas tossici liberati sulla linea del fronte dai tedeschi nella Grande Guerra, una trovata del chimico Fritz Haber, passato ignominiosamente alla storia per la creazione di tale arma ma pure per il premio Nobel che gli fu concesso proprio nel 1918 “per la sintesi dell’ammoniaca”, convertendo l’azoto atmosferico in ammoniaca fertilizzante e «salvando dalla fame un numero imprecisato di milioni di civili e spianando la strada a un aumento esponenziale della popolazione terrestre».
Egan passa pure dalla piana di Waterloo, dove si tenne una delle battaglie più cruente della storia, oggi una distesa di terreni agricoli resi particolarmente fertili dalla trasformazione in fosforo delle migliaia di cadaveri abbandonati al processo di decomposizione.
L’elemento del diavolo è una lettura intrigante, forte di una scrittura chiara e talmente ricca di contenuti da assumere quasi le caratteristiche di un romanzo di suspense. La scelta di occuparsi di questo tema è in parte figlia della provenienza dell’autore. Dan Egan, infatti, è nato a Green Bay, Wisconsin, sul Lago Michigan, e si è occupato in passato del pesante inquinamento dei Grandi Laghi. Ne L’elemento del diavolo, Egan analizza la condizione del Lago Erie, così come la crescita sproporzionata delle alghe tossiche nel lago Okeechobee, nella Florida meridionale, le cui acque si riversano nel Golfo del Messico e nell’Atlantico, inquinando un bacino sempre più ampio e sempre più popolato. Alla base di tutto, c’è la proliferazione incontrollata delle aziende agricole nell’America settentrionale. Un tempo, a far finire quantità inusitate di fosforo nei corsi d’acqua erano le acque reflue cariche di detergenti prodotti da due o tre colossi industriali. Una volta superate le ritrosie di tali potentati (attraverso leggi rigorose), laghi e fiumi si sono ripresi. Oggi, il problema è di maggior complessità perché non si tratta più di limitare qualche multinazionale bensì un paio di milioni di piccole-medie aziende agricole che non ne vogliono sapere di limitare la propria attività e che, finora, si sono sottratte a una giurisdizione inadeguata.
Isaac Asimov scrisse che «La vita può moltiplicarsi fino a quando non c’è più fosforo, dopodiché si ha un arresto inesorabile che nulla più può impedire». Lo scrisse un anno prima che il Marocco invadesse il Sahara occidentale e ben prima che una preoccupante carenza di fosforo rendesse gli USA estremamente vulnerabili.
Gli scenari prefigurati da Egan non sono del tutto apocalittici: la scienza considera risolvibile il problema, a patto che l’umanità non metta in primo piano il mero tornaconto.