Iris Peynado: "Sogno di rappresentare la diversità nel cinema italiano"
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Iris Peynado: "Sogno di rappresentare la diversità nel cinema italiano"

L'attrice dominicana di nascita, italiana di adozione, celebre per i suoi ruoli in film culto come Non ci resta che piangere e Attila Flagello di Dio, farà parte della giuria del Bifest – Bari International Film Festival

Iris Peynado: "Sogno di rappresentare la diversità nel cinema italiano"
Iris Peynado - Credit foto: Carlo Belincampi
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23 Febbraio 2024 - 02.24


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di Orsola Severini

L’iconica attrice dominicana di nascita, italiana di adozione, celebre per i suoi ruoli in film culto come Non ci resta che piangere e Attila Flagello di Dio, farà parte della giuria del Bifest – Bari International Film Festival, che si svolgerà dal 16 al 23 marzo.

Come vive il suo ruolo da giurata?

È veramente un grande onore, ma soprattutto un enorme piacere, perché trascorrere diversi giorni a vedere film è la cosa più bella del mondo, così come confrontarsi con persone interessanti e creative. Stimo profondamente il direttore, Felice Laudadio, che già mi volle come giurata qualche anno fa al Festival di Taormina. 

Ha recitato in film culto del cinema italiano, che sguardo dà oggi alla sua carriera passata?

Ho avuto in Italia una carriera incredibile, grazie soprattutto al mio agente, Fernando Piazza, realmente straordinario, anche lui afrodiscendente e che ha gestito molto bene la mia immagine, credeva nella sua forza e mi ha dato accesso a dei ruoli meravigliosi. Sono profondamente onorata di essere l’attrice afrodiscendente italiana più nota della mia generazione insieme a Zeudi Araya. Mi commuove l’affetto del pubblico, che mi ferma tutti i giorni per strada per ricordare i miei film.

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Nei media italiani non si usa molto questo termine “afrodiscendente”, che significato ha per lei?

Io stessa anni fa non usavo il termine “afrodiscendente”, mi sentivo latino-americana. Inoltre, non amo le etichette, nel mio Paese, la Repubblica Dominicana, coabita un misto di persone dalle origini più diverse. Però poi, man mano che avanzavo nella mia carriera, qualcosa è cambiato e ho iniziato a notare che mi chiamavano solo per certi tipi di ruoli e mi sono resa conto che in Italia io non rappresento solo una donna dei Caraibi, una donna esotica, ma qualcos’altro. Questo perché a 17 anni ho deciso di dare più ascolto alla mia parte africana, rispetto a quelle spagnola o tedesca, ho scelto di avere i capelli afro, rinunciando ai capelli lisci, scelta potentissima, perché ha dato più accento alla mia parte afrodiscendente, che non riguarda solo il colore della pelle ma il sentirsi parte di una diaspora africana. 

Intende dire che lo sguardo verso di lei cambiava col passare degli anni?

Si, alla fine degli anni ’80, ho trascorso cinque anni negli Stati Uniti, dedicati a studiare recitazione, ho dato il massimo, ogni giorno. Di ritorno in Italia nel 1993, ero nel fiore della mia bellezza  e, pur continuando a lavorare in progetti meravigliosi come Il Conto di Montecristo, di Ugo Gregoretti, o Un posto al sole, per esempio mi sono accorta che mi venivano offerti ruoli spesso stereotipati, sempre connessi all’’immagine di una persona afrodiscendente.

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In cosa consiste questo stereotipo?

Per esempio, facevo sempre la mamma di una ragazza straniera disagiata, l’amante e via dicendo. I ruoli sono pochi, ancora di meno per le donne che per gli uomini e sono ruoli definiti dal mio aspetto. Ho continuato così, poi a 60 anni ho detto basta, mi sono stufata di rappresentare solo questi personaggi. 

Crede che l’Italia sia un Paese razzista?

Come in tutto il mondo, anche qui un gruppo di persone lo è. Devo molto all’Italia, ho vissuto qui quasi tutta la vita, le mie figlie sono italiane, è un Paese che amo e che rappresento al meglio che posso ovunque vada. Credo però che una parte della cultura italiana sia “etnofobica”, l’Italia è un Paese ormai multiculturale. Quando sono arrivata qui eravamo talmente pochi afrodiscendenti, che, quando mi capitava di incontrarne uno per strada, ci facevamo un segno di riconoscimento. Oggi la situazione è molto diversa ma la cultura non la rispecchia.

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Quale ruolo ha l’industria audiovisiva in questo contesto?

I film e la televisione dovrebbero ispirare la società, essere all’avanguardia e restituire un’immagine di ciò che accadrà, come è successo in altri Paesi. Mentre qui l’audiovisivo alimenta lo stereotipo, non riesce a concepire dei personaggi interpretati da persone diverse in ruoli non caratterizzanti. Io ho 60 anni, potrei essere un primario, una direttrice scolastica, una psicologa, perché gli addetti ai lavori non possono neanche immaginarmi in questi ruoli? Credo che abbiamo un problema di rappresentazione della diversità in questo Paese.

Cosa fare per cercare di cambiare la situazione?

Un paio di anni fa, scrissi una lettera all’allora Presidente della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda, esponendo queste problematiche anche a nome di altri artisti afrodiscendenti italiani. Ci sentiamo esclusi da questi grandi momenti di celebrazione della nostra industria.  Mi è sembrato molto sensibile all’argomento, ma è difficile cambiare le cose. Si potrebbe fare tanto, per esempio mi piacerebbe creare una sezione di un Festival importante dedicata agli artisti che rappresentano la diversità, è un mio grande sogno.

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