Il commento di Salvini alle elezioni russe – il popolo che vota ha sempre ragione – è la dimostrazione che nel governo non c’è unanimità nei rapporti con l’autocrate che oltre due anni fa ha scatenato l’invasione dell’Ucraina e un conflitto sanguinoso che dura ancora. Per fortuna è abbastanza comune, in Italia, la convinzione che le elezioni in Russia siano state un plebiscito annunciato di cui già si conosceva l’esito, e non solo perché i possibili contendenti erano stati già estromessi dalla competizione, lasciando solo tre personaggi innocui che appena possono tessono le lodi di Putin, ma per lo stato di controllo e terrore in cui vive la popolazione russa.
Il risultato che voleva l’autocrate russo era quello di superare ancora la grande percentuale di voti ricevuta nelle precedenti elezioni, e questo risultato è stato raggiunto. Putin voleva dimostrare che la guerra contro l’Ucraina non solo non ha indebolito il consenso attorno alla sua persona, ma l’ha rafforzato ancora, proprio perché la gente è con lui. E a risultato conosciuto ha indicato come parte della nuova Russia i territori occupati del Donbass.
Le elezioni in Russia si svolgono senza alcun controllo da parte di commissioni o personalità indipendenti e quindi dobbiamo accettare come buoni i numeri che ci vengono dallo stesso governo: sia per il numero dei votanti che per la percentuale dei voti ottenuto da Putin. Ma nessuno può davvero verificarlo, tantomeno una stampa che non è libera da anni (quella libera è stata soppressa, costretta all’esilio e in molti casi uccisa). Detto questo è anche vero che, con l’esclusione di alcune grandi città, non vi è stato alcun moto di protesta, come del resto era prevedibile.
La capacità di un regime totalitario – di tipo nuovo, come questo di Putin, ma pur sempre tendenzialmente totalitario perché esclude ogni altra possibilità di forza politica, idea, organizzazione, narrazione del presente e del passato – di controllare i propri cittadini si è accresciuta con la rivoluzione tecnologica: che può sempre permettere di parlarsi e scambiarsi direttamente informazioni, ma lascia anche alle autorità di polizia e repressione la possibilità di sapere anche il commento più banale che viene fatto circolare sui social.
I gruppi di persone che a mezzogiorno hanno affollato una serie di seggi seguendo le indicazioni che gli oppositori, e per ultimo Navalny proprio poco prima di venire ucciso, avevano dato, saranno stati pochi, ma hanno talmente impaurito il regime che vi sono state centinaia di arresti di persone il cui unico torto era di stare ai seggi attorno a mezzogiorno. Vengono riproposti spesso i sondaggi di un istituto indipendente – l’istituto Levada, che è stato ritenuto anch’esso «agente straniero» come tutte le associazioni messe fuori legge, ma che viene lasciato operare – dimenticando di dire che quando nei risultati sostiene che l’80% dei cittadini sta con Putin, vuol dire che l’80% di quelli che hanno voluto rispondere stanno con Putin, anche se magari sono solo il 5% di tutti quelli a cui è stato chiesto.
La capacità di Putin è stata quella di creare un’autocrazia sempre più repressiva e minacciosa a piccole tappe, nel corso ormai di più di un quindicennio, abituando così alla perdita continua di diritti e libertà e assuefacendosi a una società da Grande Fratello orwelliano. È così, ha raccontato Boris Belenkin nel libro appena uscito (Non lasciare che ci uccidano, Rizzoli) che Putin è riuscito a ipnotizzare la società russa. Che al momento non dà segni di lotta, se non in piccole e coraggiose minoranze tra cui occorre ricordare l’associazione delle madri dei soldati in guerra, ma il cui consenso è in gran parte passivo e silenzioso, per mancanza di alternative possibili e credibili ma non perché i russi sono convinti – come sembra credere Salvini forse perché lo crede lui – che Putin sia per la Russia la soluzione migliore.