C’era una volta il “giallo”. Quello ad enigmi, che sfidava la razionalità e l’intuito del lettore, affascinandolo con la perversa seduzione del delitto, con trame intricate dal complicato scioglimento. Dai padri fondatori, il geniale Edgar Allan Poe e l’altrettanto ingegnoso Conan Doyle, fino al Novecento, quando si è assistito al prodigioso proliferare di autori che, a partire dalla matrice anglosassone e dalle esplorazioni del romanzo d’appendice francese, hanno seminato la narrativa con un genere fertilissimo. Fecondo a tal punto da battere strade nuove, insinuarsi nei bui anfratti dell’animo umano come nei rivoli delle tentacolari metropoli in cui le storie prendevano forma: ed ecco l’hard boiled americano, e, in Europa, l’eccelso esempio di Georges Simenon. Il giallo si tingeva di nero, dando luogo al cosiddetto “noir”, termine sempre più onnicomprensivo che ha finito per fagocitare ogni forma originaria.
Accogliamo dunque con piacere un libro che getta luce su ciò che è divenuta una vera e propria giungla creativa, spargendo briciole critiche per lettori e appassionati, novelli Pollicini in costante rischio di smarrirsi: Angolature noir, di Valerio Calzolaio, pubblicato da Linea edizioni (pp. 327, 18 Euro). Giornalista, studioso di diritto costituzionale, autore di opere originali (tra cui si segnala Isole carcere, ricerca sulle isole adibite a luogo di detenzione), con un passato di fattiva pratica politica, l’autore è voce autorevole, tra i massimi esperti di letteratura crime. Sforna da anni acute recensioni di romanzi e racconti afferenti a quel macro-genere (e non solo, per la verità), ed è un punto di riferimento per i tanti premi e i festival ad esso dedicati che annualmente si svolgono in Italia.
Massimo Carlotto, tra i nostri più abili giallisti, apre così la sua prefazione al volume: “Angolature noir non è solo un saggio, ma anche una guida, uno strumento di conoscenza e orientamento sulla letteratura poliziesca in Italia e nel mondo, in tutte le sue possibili declinazioni. Un libro unico nel suo genere perché affianca alle analisi teoriche, alla conoscenza degli autori e delle loro opere, delle collane, delle case editrici, un ampio capitolo dedicato ai festival”. Veridica sintesi di uno studio ubertoso, costituito da saggi e riflessioni apparse nell’arco di oltre un ventennio in varie sedi e in occasione di svariati eventi, scritti con mano agile e verve creativa che nulla tolgono al rigore metodologico della ricerca, indagini in quelle “terre di nessuno tra i generi” che non di rado costituiscono motivo d’inciampo per la critica. E sulla questione del genere letterario (ma anche cinematografico, e quant’altro), l’autore non si nasconde dietro un dito: trattasi spesso di una gabbia (semantica, ideologica, comunque esegetica) che non permette di valutare la qualità letteraria di tante produzioni confinate nella cosiddetta letteratura “popolare”. “La scrittura – ci mette in guardia Calzolaio – non è scienza esatta, dipende dall’incipit che aggancia, da struttura, stile, trama, ritmo che reinterpretano e ristrutturano la realtà: evocare e non enunciare, suggerire senza declamare, non sentenziare, accennare a sentimenti rifuggendo il sentimentalismo, muoversi nelle terre di nessuno fra i generi”. Ciò è programmaticamente evidente sin dal sostantivo cruciale del titolo, “angolature”, che si riferisce “sia al rapporto fra tutte le forme di letteratura sia alla storia globale e disorganica di cosa può intendersi per genere noir”.
Sulla scorta di questa griglia critica il volume, provvisto di un’introduzione in cui si traccia una mappa cursoria della genealogia del noir, si divide in tre parti: “Il genere, i generi”, in cui si indagano i confini tra giallo e noir, si ripercorrono le polemiche che considerano queste specifiche narrative come semplice intrattenimento, si ricostruiscono vita e opera di Dashiell Hammett, Georges Simenon, la speculative fiction di Margaret Atwood, e si presenta un’intervista a Gianrico Carofiglio. Segue la sezione più succulenta, “Scrittore e scrittori”, dove l’autore si lancia in un’apprezzabile quanto complicata cartografia degli autori (anglosassoni, nordici, d’oltralpe, “mediterranei”, latinoamericani, africani, cinesi): da Agatha Christie e il suo giallo classico allo “scientifico” Michel Bussi, e poi Alicia Giménez-Bartlett, Anne Holt, Hunter-McBain, Jean-Claude Izzo, Moussa Konaté, Deon Meyer, Jo Nesbø, Daniel Pennac, Qiu Xiaolong, Paco Ignacio Taibo, Fred Vargas, Don Winslow: in questo tentativo di tracciare “un arcobaleno di geografie ed ecosistemi di generi e colori, personalità capaci di giocare su più registri emotivi”, ce n’è davvero per tutti i gusti. Infine l’ultima parte, originale e preziosa per la sua unicità: “Il festival, i festival”, dove si mappano le manifestazioni organizzate annualmente lungo la nostra penisola, anche quelle ormai scomparse ma di provata importanza storico-culturale. Insomma, siamo davanti ad un’impressionante mole di dati, gestita con acume critico e coinvolgente passione.
Ovviamente, i punti di vista dell’autore – espressi con scrittura godibilissima, mai altezzosa né accademica – sono personali, dunque dialetticamente stimolanti, formulati “senza garanzia di ordine e completezza” (ci vorrebbe un meditato lavoro collettivo per questo), ma con il desiderio di fornire al lettore gli strumenti per orientarlo in un’offerta divenuta ormai pantagruelica, renderlo più consapevole di quel che legge, incuriosirlo su autori non sempre “spinti” dal nostro mercato editoriale. Un libro che, una volta terminato, ci stimola ad aprire un bel romanzo noir, a calarci nelle sue rilucenti atmosfere nere, magari con l’intento di percepire qualcosa di più profondo del nostro mondo e di noi stessi.