di Alessia de Antoniis
Anni 60, Paolo Villaggio cresce a Genova in compagnia di amici, tra cui De André. Lavora alla Cosider e debutta in teatro, guadagnandosi il sostegno del pubblico che lo porterà al successo.
E’ il film per la tv “Com’è umano lui”. Perché tutti conoscono i personaggi creati da Paolo Villaggio: Fantozzi, Fracchia o il professor Kranz fanno parte della cultura popolare del nostro Paese. Ma Paolo Villaggio come è arrivato ad incarnare questi personaggi? Il tv movie “Com’è umano Lui!” è la storia umana di un artista che incarnava entrambe le maschere del teatro: la commedia e la tragedia. Prodotto da Rai Fiction, Oceans Productions, diretto dal regista Luca Manfredi con il cast capitanato da Enzo Paci, “Com’è umano lui”, il film-tv su Paolo Villaggio, dopo la prima visione su Rai 1 è ora disponibile su RaiPlay.
Nel cast anche Vincenzo Zampa, l’amico fraterno di Paolo Villaggio (Enzo Paci).
Diplomato presso la Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, Vincenzo, Premio UBU 2011 come Miglior attore under 30, ha lavorato con Toni Servillo, Salvatores, Terrence Malick, Elio De Capitani. Ma che rapporto ha Vincenzo, nato nel 1984, con un attore come Paolo Villaggio?
Il primo Fantozzi esce al cinema che avevi dieci anni. Come lo hai scoperto?
È stata una scoperta continua. Paolo Villaggio è una scoperta continua. Da bambino mi soffermavo sull’aspetto comico dei suoi film. Ora da adulto, con il cuore e gli occhi di un bambino, mi lascio affascinare dall’aspetto fragile e comicamente drammatico dell’umanità soprattutto nei suoi film
Che rapporto avevi con la comicità di Villaggio prima del film?
Appena diplomato allo stabile di Genova come attore, per un po’ di anni ho fatto cabaret. La comicità per me è un mezzo, e soprattutto uno strumento, per raccontare altro e far riflettere. Scrivo poesie performative. Ho fatto di quegli anni di esperienza su palchi, anche improvvisati, la mia scuola. Ricordo ancora il gelo provato per una risata che non arrivava mai o a una battuta che non lasciava il segno. Una delle frasi che cito spesso è “Ugo, io ti stimo.” Dei famosi film di Fantozzi. Dietro quel “ti amo” mancato c’è un fantastico mondo. Ti fa sorridere ma anche riflettere, profondamente.
Quale Villaggio emerge nel film?
Il film parla del Paolo Villaggio umano, non a caso il titolo appunto. Non è solo un film storico. Parla dell’umana difficoltà del fare il “nostro” mestiere. E dico nostro con tutta l’umiltà del caso.
Com’è stato sul set? Ci sono stati momenti nei quali vi siete presi in giro “alla Fantozzi”, che avete vissuto quei personaggi tra di voi?
Il set è stato un fantastico ritrovo tra amici oltre che tra colleghi stupendi. Con Enzo Paci ricordo ancora le prime serate di Cabaret a Genova. Camilla Semino è una mia amica oltre che attrice stupenda. Certe volte ci si capisce al volo e si entra in sintonia. E ci si prende in giro solo quando si ha massima stima e rispetto.
Come vedi la comicità di Villaggio oggi?
La grandezza di Villaggio è la sua comicità che resta e resterà iconica. Possono cambiare i tempi ma le dinamiche umane restano sempre quelle. La comicità, il comico, devono essere sempre nel presente e al passo con i tempi. Ma la sua comicità resterà nella storia, proprio perché umana.
Tutti conoscono il Villaggio comico, ma lui è stato un bravissimo attore drammatico. Quale delle due anime preferisci?
Le due anime sono inscindibili. Anche la fisicità può essere comica, quella di Villaggio lo è, spesso lo è anche la mia. Ma dietro la comicità si nasconde una potente fisicità drammatica. E il comico e il drammatico vanno a braccetto. Come nella vita. Posso ridere vedendo qualcuno che inciampa o cade da una sedia, la risata è un sentimento umano. Ma chi cade, magari, si fa male e spesso per pudore non lo dice.
Oggi i film di Fantozzi avrebbero successo o sarebbe stroncati dal politically correct?
Avrebbero successo. Il comico per essere comico deve rispettare ed essere informato. Altrimenti restano solo battute vuote e cattive.
Fantozzi era la prima generazione che lavorava nel terziario, in un’Italia che stava per uscire dal boom post bellico iniziato negli anni 50. Lo sfigato Fantozzi era benestante rispetto a tanti lavoratori di oggi: aveva casa, la Bianchina e un contratto a tempo indeterminato. Sei stato uno dei due protagonisti di Home Run, premio special off al Roma Fringe 2022 al Vascello. In scena eravate due vittime della gig economy. I rider sono i nuovi Fracchia?
Assolutamente sì. Ma lo sono anche tanti lavoratori dello spettacolo. Perché ricordiamolo, sono prima lavoratori che artisti e come tutti i lavoratori vanno tutelati. In scena, in quello spettacolo, sono assieme ad un collega fantastico e grande amico Alessio Genchi per la regia di Damiano Nirchio e Anna Maria De Giorgio della compagnia Senza Piume. Il mio lavoro, tra i pochi privilegi che ha, ha il poter scegliere e loro sono esseri umani fantastici. Poi anche il nostro lavoro, che non è fatto solo di nomi famosi, deve essere rispettato e supportato meglio.
Ti definisci un lavoratore dello spettacolo. Ci sono lavoratori dello spettacolo che stanno manifestando al teatro di Roma. Circa il 45% sono precari in un teatro stabile che riceve ingenti finanziamenti pubblici. Per ogni attore famoso ben pagato, cosa c’è dietro? Qual è il vero volto dello spettacolo? Cosa significa oggi essere un lavoratore dello spettacolo?
Spesso definisco eroi quelli che continuano a vivere di questo lavoro. Molto spesso si sopravvive. Ma se l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro questo diritto al lavoro, con merito, certo, ci deve essere per tutti. Dopo il covid molti lavoratori dello spettacolo hanno cambiato lavoro per necessità. Il cambiamento deve partire dalle scuole. Ho scoperto questo mestiere al liceo. Se non lo avessi conosciuto allora, probabilmente ora farei altro. Ma un Paese senza culto della cultura, che Paese è? Ci sono tante dinamiche dietro la scelta di un attore per un progetto, ma per ogni attore famoso ce ne sono tanti dietro che letteralmente fanno fatica. Certo non solo per demerito ma per tanti, tantissimi fattori. Il mio pensiero va a queste persone. Perché è anche grazie a loro, esseri umani appunto, che si fanno film, serie e spettacoli.
Dieci anni fa eri in “Ricorda con rabbia” con Lino Musella. Inizia con la battuta: “gli spettacoli cambiano le recensioni no”. Suona un po’ alla Gattopardo. Eppure continui a fare il lavoratore dello spettacolo. Cosa ti spinge?
Il cuore. Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce – diceva Pascal. Non amo essere un divo. Mi piace regalare qualcosa, un sorriso o un emozione. Più che un “bravo” preferisco un “grazie” alla fine di un mio lavoro.
I registi o gli attori con i quali hai lavorato per cui ti senti fortunato ad aver fatto questo mestiere?
Tutti. Da Vanzina, a Salvatores a Vicari e Malick ma anche tutti gli Elfi del teatro dell’Elfo. E Paolo Rossi. Tutto. Tutti.
Prossimo progetto?
Poesie dal basso. L’8 Giugno presso ArteMadia a Milano. All’interno del Fringe Milano Festival. Porto in scena canzoni e poesie scritte da me, fatte con cuore, appunto. Racconto di me e di altri esseri umani e della condizione umana dell’artista. Ad alternarsi con me un cantante bravissimo Ansiah con la supervisione di Ksenija Martinovic e prodotto da “Il menu della poesia” un collettivo di attori e compagnia che ho fondato anni fa assieme ad amici e colleghi con cui cerchiamo di portare la poesia in luoghi non convenzionali. In questo spettacolo suono il basso elettrico, altra mia passione. Unisco la musica e la scrittura. Parte tutto da dentro. Cuore e Pancia.
“Come è umano lei” è una battuta che chiunque ha detto almeno una volta nella vita. Hai mai pensato che certe frasi, certe battute, certi modi di pensare possono contribuire a sdoganare generazioni di lavoratori che subiscono più che in passato, magari ridendo della loro condizione di schiavi 3.0?
Certo. Spesso alcune frasi e citazioni mi hanno permesso di svoltare sia nella vita che in alcuni contratti lavorativi. Immagino un rider dei nostri giorni ricevere una mancia bassissima dopo una consegna e rispondere “Come è umano lei!”.
Hai fatto cabaret. Zelig ci ha dato generazioni di comici. Dove sono le nuove generazioni di comici, quelli che sanno reinventarsi per anni con personaggi sempre nuovi, che segnano un’era?
Su internet, sui social, su tik tok, anche se a questo ho sempre preferito la strada. Per strada si scambiano sguardi, si incontrano persone, ci si parla negli occhi. In uno dei mie pezzi dico “un gioco virtuale che dà fuoco e poi fa male” ma è sempre meglio farsi male dal vivo che dietro uno schermo. Poi almeno dopo è più facile fare e darsi pace. Perché dal vivo è tutto più vivo. Appunto umano. Come Lui!