L’improvvisa scomparsa di Francesco Biscione, oltre ad essere un grandissimo dolore per i familiari, ha gettato nello sconforto una intera comunità politica e culturale che in questi anni, anzi decenni, ha avuto in lui un punto di riferimento.
Francesco è stato un intellettuale. Sì, intellettuale, parola che da qualche lustro viene oltraggiata da molti che perseguono il revanscismo dell’ignoranza e la secessione della ragione nel nome di uno sfascismo (con la S) culturale che dovrebbe rappresentare la vera essenza del ‘popolo’, anche se non si capisce quale popolo.
Francesco Biscione, però non è stato solo un intellettuale. Ce ne sono di tanti tipi. È stato un intellettuale elegante e garbato mentre la volgarità e la tracotanza sono sempre più considerati meriti politici e – perfino – una chiave d’accesso a molti media nei quali nel nome della tele-rissa i fenomeni da baraccone hanno la stessa dignità (dignità si fa per dire) di coloro che parlano a ragion veduta e perché hanno studiato e – a volte – studiato per decenni.
Francesco Biscione è stato, dunque, una personalità contro corrente perché è rimasto fedele a ciò che è sempre stato da ragazzo fino a ieri: uno scrittore, un divoratore di libri, uno studioso uno che quando parlava o scriveva sapeva perfettamente di cosa stesse parlando o scrivendo.
I suoi libri sono dei veri e propri gioielli, Dal golpe alla P2. Ascesa e declino dell’eversione militare 1970-75 del 2022 a partire da quello che lanciò Francesco nel mondo degli esperti della storia dell’eversione italiana, Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano del 1993 nel quale attraverso una analisi del testo dimostrava che quello rinvenuto fosse solo una parte del memoriale di Aldo Moro e che parti essenziali non c’erano.
Oltre a capire che quel Memoriale altro non era che un ‘interrogatorio’ al quale Moro rispondeva per iscritto alle domande delle Brigate Rosse. E poi ha scritto molti altri libri ancora.
Probabilmente in futuro non mancherà occasione di ricordare Francesco Biscione attraverso le sue pubblicazioni ed esaminare il contributo storico-politico che ha dato sugli anni dell’eversione in Italia ma più in generale sulla politica degli anni Settanta e non solo.
Ma oggi è un po’ il giorno nel quale tra chi l’ha conosciuto tornano in mente tanti ricordi. E di questo vorrei parlare.
La morte di Francesco Biscione, forse anche perché avvenuta poche settimane dopo la scomparsa di mio padre e quindi mi ha trovato in uno stato emozionalmente provato, è stata un macigno e lo è anche in questo momento nel quale scrivo.
Ma nello stesso tempo, in queste ore, mi sono tornati in mente tanti splendidi e importanti momenti di una storia comune che – per quando possa sembrare strano se si parla di studiosi di eversione e terrorismo – sono sempre stati all’insegna dell’allegria e, in particolare modo, di una qual certa goliardia. Un po’ come ‘Amici miei’.
Per questo se penso a Francesco non posso che pensare ai tanti scherzi, alle battute ma soprattutto non posso che riconoscere che se siamo diventati quello che siamo diventati è stato anche perché da ragazzi ci siamo ‘contaminati’ a vicenda.
Francesco l’ho conosciuto a Tendenze, quella straordinaria esperienza ideata e diretta da Tommaso Verga che – inaspettatamente – si è trasformata in una fucina di talenti. Francesco era già l’intellettuale problematico e riflessivo del gruppo ed era stato consigliere comunale. Io il ragazzino di belle speranze animato dal sacro furore di denunciare le ingiustizie e di mettere i miei studi e conoscenze al servizio della democrazia e della giustizia sociale. E posso dire che in questo non sono cambiato.
Lì nacque l’amicizia e anche – chiedo scusa a Lollobrigida, Vannacci e Salvini – quell’affinità intellettuale che sarebbe andata avanti per anni.
Ma quello che potrei definire il ‘salto di qualità’ dei nostri rapporti – e arrivo alla ‘contaminazione’ – arrivò qualche anno dopo. Negli anni ’90 ero approdato a L’Unità e avendo parlato per primo dell’esistenza di Gladio ero diventato un giornalista molto popolare a sinistra (e detestato dai fascisti) con l’aggiunta di alcune esternazioni dell’allora presidente della Repubblica Cossiga nelle quali ero stato chiamato in causa.
All’epoca l’Unità era in via dei Taurini, a San Lorenzo. E Francesco a poche centinaia di metri aveva un appartamentino. Così da bravi ‘vitelloni’ spesso e volentieri usciti dalla redazione ci vedevamo per una birra o una pizza e soprattutto tante chiacchiere.
Eravamo diventati la ‘benedizione’ di un ristorante di San Lorenzo (non dirò il nome) che noi chiamavamo Sparafucile non solo per la comune passione per l’opera, ma perché in quel periodo il capo-cameriere, marito di una delle proprietarie, aveva sparato ad un piede ad un cliente con il quale era scoppiata la lite su un conto contestato.
E fu così che da Sparafucile le nostre storie si sono intersecate. Francesco Biscione fu colui che spinse me e mio fratello Antonio a scrivere il nostro primo libro trovandoci un editore e -di fatto – facendoci da agente letterario. “Sovranità limitata – storia dell’eversione atlantica in Italia” fu un successo.
Nel frattempo, tramite noi, Francesco entrò nel ‘mondo’ dei giornalisti di inchiesta e degli studiosi che a inizio anni Novanta diedero un grande contributo di conoscenza sui cosiddetti ‘misteri d’Italia’
Tant’è che allora gli presentammo il senatore Flamigni e dopo l’esperienza della Treccani Francesco è diventato una della colonne della Fondazione Flamigni.
Questa condizione da ‘contaminati’ ha portato sia me che Francesco Biscione a diventare insieme consulenti della commissione Stragi e successivamente della Mitrokhin. Oltre a centinaia di iniziative, dibattiti e presentazioni in tutta Italia nelle quali è accaduto di tutto e di più e ci siamo divertiti.
Penso che alcune piccole storie possano testimoniare come quegli anni di impegno politico e culturale fossero vissuti anche con grande allegria.
Un viaggio a Praga durante celebrazioni del bi-centenario della morte di Mozart per vedere un ‘Don Giovanni’ e un ‘Flauto magico’ (c’era anche Federico Biscione) nel quale tra un’opera e l’altra abbiamo passato giornate intere a bere fiumi di birra (ma fiumi fiumi) a ragionare di politica e dei misteri d’Italia, a scherzare e a raccontarci di tutto e di più.
E poi, come dicevo, il clima da ‘Amici mieì’ che raggiunse il massimo con una burla che, tra noi compagni, fece epoca.
Il libro sul Memoriale di Moro, come detto, lanciò Francesco Biscione nel mondo degli esperti di eversione italiana e fu un successo di critica. Così capitò che una volta fossimo tutti e due ospiti in una trasmissione di Santoro. Ma io in studio, ossia in quel ring dove ti facevano dire tre o quattro mezze frasi perché c’era l’ossessione del ritmo. Francesco invece era stato intervistato a casa sua da Bianca Berlinguer – all’epoca inviata di Santoro – ed ebbe un bello spazio nel quale parlare delle scoperte del suo libro.
Fu un trionfo nel trionfo perché in quel periodo un passaggio da Santoro dava un’enorme visibilità ma Francesco aveva avuto un ritorno ancora più ampio per l’intervista dedicata solo a lui e altri giornalisti iniziarono a chiamarlo.
Lui, nei nostri incontri da Sparafucile, non nascondeva il suo compiacimento. E qui, con lo spirito di un Sassaroli o di un Perozzi, il colpo d’ala.
In epoca pre-internet Francesco aveva una segretaria telefonica che lasciava accesa mentre era alla Treccani per poi la sera ascoltare i messaggi. E fu così che chiesi ad una collega de l’Unità di chiamarlo mentre lui era assente, di presentarsi con un nome di fantasia per chiedergli un’intervista. Il tutto lasciando un numero di telefono per essere ricontattata l’indomani in determinati orari.
La sera stessa Francesco mi chiamò per chiedere se conoscessi una giornalista con quel nome. Io feci il vago dicendo che sì, l’avevo sentita e che mi pareva lavorasse per ill Mattino di Napoli.
Poi per una settimana Francesco non si fece più sentire nonostante ci chiamassimo non solo tutti i giorni ma talora più volte al giorno.
E che era successo? Poiché, come diceva il Marchese del Grillo, gli scherzi sono una cosa seria, mi ero premurato di dare alla mia collega non un numero di telefono qualsiasi ma uno di quelli degli annunci a luci rosse delle massaggiatrici che comparivano sul Messaggero. Ma, attenzione, un numero dove non scattava la segreteria telefonica, ma dove direttamente rispondeva la signora, come avevo personalmente constatato con una verifica da bravo giornalista d’inchiesta.
Dopo una settimana Francesco ruppe il silenzio (non mi voleva dare soddisfazione, si giustificò) e mi raccontò divertito la ‘disavventura’ e di una telefonata surreale durante la quale per un minuto circa lui aveva parlato con la massaggiatrice pensando che fosse una giornalista (in fin dei conti si doveva fissare un appuntamento…) e lei pensando di avere a che fare con un cliente e non con uno storico. Se esistesse la registrazione….
Alla fine Francesco, che sapeva stare allo scherzo, mi raccontò che smaltito il disappunto per essere stato gabbat alla fin fine fu molto divertito per la macchinazione ai suoi danni che aveva accettato come il malcapitato di turno di ‘Amici miei’.
Così, seguendo più le emozioni e la vita vissuta che la mente, mi piace ricordare Francesco Biscione. Rendere omaggio al grande intellettuale, al suo impegno politico e culturale, ma senza dimenticare l’uomo che impersonava l’umorismo e l’ironia (anche molta auto-ironia) la cui voglia di leggerezza non è mai sfociala nella volgarità.
Mentre scrivo il cuore palpita e la gola si stringe per la commozione – ed è vero, non un modo di dire – ma sorrido anche per le tante avventure.
Francesco Biscione è stato un inno alla vita. Ed è crudele che se ne sia andato così presto, quando aveva ancora tante cose da dire e soprattutto da insegnare.
Oggi c’è tanto dolore. Ma sarà bello ricordare per sempre Francesco Maria Biscione per quello che è stato: un intellettuale perbene, gentile e sorridente.