Per 130 anni della storia italiana, dalla proclamazione dello stato italiano nel 1861 fino agli inizi degli anni 1990, il problema è stato quello allargare, rafforzare o mantenere l’unità d’Italia. In questo spirito anche i governi italiani dell’epoca riformarono la costituzione e concessero un’ampia gamma di poteri alle regioni.
Doveva essere un compromesso nei fatti e invece mise ancora più benzina sul fuoco delle spinte centrifughe che hanno tormentato l’Italia politica sin dalla sua fondazione. L’attuale legge sull’autonomia differenziata che devolve delicate competenze sull’educazione alle regioni pare una spallata ulteriore in questa direzione.
Negli ultimi 20-30 anni, infatti la Lega, al di là dei suoi risultati alle urne, è riuscita a imporre una egemonia culturale sulla direzione politica del paese, sottolineando che i centri di viluppo sono le varie regioni, con le loro diverse velocità, e non invece le scelte politiche di Roma.
Questa è la tesi centrale del volume di Francesco Sisci che guarda l’Italia come una specie di animale anfibio, italiano, per decenni vissuto all’estero e poi tornato a Roma di recente. L’Italia della sua gioventù, scrive, non c’è più. Non è una questione generazionale che capita a tanti vecchi, è un problema, afferma, di direzione generale della nazione.
Il libro è essenzialmente politico ma vuole alzarsi oltre le polemiche quotidiane della politica e riportare il discorso nell’alveo di quello che è stata la tradizione “italiana” (raggiungere, allargare o mantenere l’unità) oppure rinunciarvi.
La sensazione alla lettura è un po’ straniante. Questi temi sono noti, ma oggi visti di sbieco, in un’altra prospettiva. Il libro ha un fuoco diverso. Come quando un miope alla fine mette gli occhiali e tutto ha luce e contorni insoliti. Alla fine della lettura del libro non sappiamo se abbiamo messo o tolto gli occhiali, se è l’autore che vede male o siamo noi.
Il libro ripercorre la storia del paese a grandi pennellate per arrivare al risorgimento e la storia della chiesa, intrecciata con quella dell’unità politica italiana. Sulla base di queste grandi linee individua poi tendenze internazionali che l’Italia deve cercare di navigare per sopravvivere, altrimenti verrà travolta con conseguenze inimmaginabili.
L’appello quindi è rompere l’egemonia culturale leghista e guardare le cose in un altro modo. Ma forse il paese non è pronto nemmeno a pensare in questo modo. L’ansia di tutti i partiti invece è raggiungere e mantenere il potere, che significa raccogliere più voti, stare in testa nei sondaggi quotidiani, tenere viva l’attenzione sui titoli dei giornali e tweet e retweet del cicaleccio delle piattaforme digitali.
Ma, suggerisce l’autore, se i partiti non riconoscono l’orizzonte più ampio il cicaleccio diventa sordo. Il crescente assenteismo elettorale, il crollo delle vendite dei giornali sembra essere una riprova che l’autore sta parlando di qualcosa di vero.
Molti partiti però forse pensano che meno persone alle urne non cambiano la chimica del potere dei partiti, forse anzi la semplifica, con meno elettori a cui rispondere. Tra e due visioni c’è un punto di contatto, sicuramente ma non si sa quale e qui forse anche il problema.