Shakespeare torna a Venezia
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Shakespeare torna a Venezia

Veronica Cruciani dirige *Molto rumore per nulla*, esplorando manipolazione, verità e disparità di genere, attualizzando Shakespeare con una prospettiva contemporanea su potere e linguaggio.

Shakespeare torna a Venezia
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

16 Novembre 2024 - 23.07


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Debutterà dal 15 al 17 novembre al Teatro Goldoni di Venezia, con la regia di Veronica Cruciani, una nuova riproposizione dell’immortale opera shakespeariana Molto rumore per nulla, protagonisti Lodo Guenzi e Sara Putignano, per una tournée nazionale le cui repliche proseguiranno fino a gennaio. Prodotta da Valerio Santoro per La Pirandelliana in collaborazione con il Teatro stabile del Veneto, la classica commedia del Bardo, giocata su scambi di persona, intrighi, duelli e giochi di parole, è incentrata sul potere del linguaggio e della sua interpretazione, una vicenda in cui vero e falso non sono altro che le diverse versioni di una stessa realtà. Abbiamo intervistato la regista, anche attrice, docente e artista visiva, dalla carriera particolarmente densa e ricca di riconoscimenti, che si confronta ancora una volta con il grande drammaturgo inglese.

Dopo La dodicesima notte, portata in scena nel 2022 per il Teatro stabile del Veneto, si cimenta di nuovo con Shakespeare. Quale prospettiva ha adottato nel dirigere opere di così straordinaria pregnanza?
“In Molto rumore per nulla, la mia lettura del testo è partita dall’idea di come il linguaggio, in Shakespeare, diventi uno strumento di manipolazione, inganno e potere. Piuttosto che concentrarmi sulle convenzioni della commedia, ho voluto indagare il tema della verità e dell’illusione, mettendo in risalto come le parole possano essere un’arma che plasma la realtà. In questa commedia, infatti, i personaggi si trovano intrappolati in un labirinto di equivoci generati proprio dalle parole che pronunciano e che ascoltano. La scelta di lavorare su un testo così complesso mi ha permesso di esplorare, anche i temi della disparità di genere che emergono con forza, a distanza di secoli.

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Lei spazia dal teatro classico a quello contemporaneo. In che modo è possibile attualizzare la tradizione e preservare la modernità?
“Nel caso di Molto rumore per nulla, il mio obiettivo non era tanto quello di modernizzare l’opera, quanto piuttosto di estrarre da essa i temi che restano universali e sempre attuali. La disparità di potere tra uomini e donne, la manipolazione delle parole, il gioco di maschere sociali e il ruolo dell’inganno sono tutti elementi che ancora oggi influenzano le nostre vite. Ho cercato di portare in scena una riflessione che partisse dal contesto originale, ma che toccasse corde più profonde, capaci di parlare al pubblico contemporaneo. 

Potrebbe rintracciare nel suo percorso artistico un fil rouge lungo cui si snoda la multiforme attività che ha svolto?
Il fil rouge che collega il mio lavoro è l’esplorazione delle dinamiche di potere e della condizione umana, con un’attenzione particolare al rapporto tra realtà e finzione, tra ciò che è vero e ciò che appare. In Molto rumore per nulla, questo si traduce nell’analisi del linguaggio come strumento di controllo e inganno, capace di costruire e distruggere relazioni. Tematiche simili emergono in altre opere che ho messo in scena, come Le serve di Genet, dove la lotta di potere si consuma in un gioco perverso tra i personaggi, o I creditori di Strindberg, che esplora il conflitto tra passato e presente nelle relazioni umane. Anche in The Trials ho affrontato questioni legate alla giustizia, al potere e alla verità, indagando le implicazioni morali del nostro tempo. In tutti questi lavori, cerco di svelare i meccanismi nascosti che regolano le interazioni umane e che spesso si trovano al confine tra reale e immaginato.” 

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Quale impegno comporta mantenere la propria autonomia creativa nel mettersi a servizio del testo teatrale?
La mia autonomia creativa in Molto rumore per nulla non è stata quella di riscrivere il testo, ma di interpretarlo e adattarlo in modo personale, arricchendolo con momenti inediti che amplificassero le voci dei personaggi. Un esempio significativo è la trasformazione di Antonia, la moglie di Leonato: in Shakespeare è presente ma silente, mentre qui le ho dato una voce, perché sentivo la necessità di portare in scena una prospettiva femminile più articolata. Anche il monologo di Ero nel cimitero, scritto insieme a Lodo Guenzi, riflette questa volontà di far emergere la complessità delle figure femminili, dando ad Ero lo spazio per confrontarsi con Claudio e sfidarlo a crescere. Ho cercato di esplorare come le parole possano ferire e costruire, essere strumenti di dominio ma anche di liberazione. Questo approccio attraversa molti dei miei lavori, dove tento di rendere i testi classici rilevanti per il pubblico contemporaneo, esaltandone le potenzialità nascoste senza tradirne l’essenza.

Quali tematiche sente più vicine alla sua sensibilità umana e professionale e come riesce a veicolarle?
I temi principali che attraversano il mio lavoro riguardano la disparità di potere, la riflessione sul linguaggio teatrale e il confine tra finzione e realtà, insieme alla rappresentazione di spaccati sociali che evidenziano la fragilità delle relazioni e la ricerca di autenticità nelle interazioni umane. Questi elementi si intrecciano in molti dei miei progetti, dove cerco di mettere in luce la complessità dei rapporti umani. In Molto rumore per nulla, per esempio, le parole coprono e nascondono la verità dei personaggi e dei loro veri sentimenti, mostrando come il linguaggio possa essere una maschera. Ho lavorato affinché le parole, pur apparentemente banali o ironiche, lasciassero intravedere l’intensità e la vulnerabilità di ciascun personaggio. Qui, come in altre produzioni, cerco di evidenziare le ambiguità del linguaggio e di svelare quanto spesso nasconda la solitudine, la fragilità e la ricerca di senso che caratterizzano l’animo umano. In Le serve di Genet e I creditori di Strindberg, il focus sulla disparità di potere emerge in situazioni di tensione e desiderio di affermazione, con personaggi che cercano di riaffermare la propria identità o di sovvertire una gerarchia oppressiva. Anche in opere come Due donne che ballano di Jornet e La palestra di Scianna, esploro il bisogno di autenticità nei rapporti umani. Mi interessano le relazioni che mostrano la vulnerabilità e la resistenza dei personaggi, spesso immersi in un contesto sociale che evidenzia la loro solitudine e la loro lotta interiore. In Il ritorno di Pierattini, inoltre, l’autenticità e la finzione si scontrano sul piano familiare, dove il desiderio di riconciliazione si alterna a dinamiche irrisolte che affondano le radici nel passato. In ogni produzione, il mio obiettivo è che il teatro rifletta queste tensioni profonde, valorizzando la verità nascosta dietro le maschere e offrendo uno spazio di riflessione su ciò che significa davvero essere umani.”

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Come immagina il futuro del nostro teatro?
“Il futuro del teatro, dovrebbe essere un luogo di ricerca, di confronto e di riflessione. Il teatro deve continuare a essere un luogo in cui si mettono in discussione le dinamiche di potere, le ingiustizie e le contraddizioni della società. La mia speranza è che, attraverso il teatro, si possa sempre parlare di ciò che è umano, vero e urgente, non solo rifacendosi alla tradizione, ma utilizzando quella tradizione per illuminare il nostro presente.”

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