"Tutte le mie cose belle sono rifatte": il nuovo memoir di Fumettibrutti
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"Tutte le mie cose belle sono rifatte": il nuovo memoir di Fumettibrutti

Nel suo nuovo memoir, Josephine Yole Signorelli racconta tutto: corpo, identità e una vita di lotta e rinascita.

Fumettibrutti
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1 Dicembre 2024 - 00.33 Culture


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Josephine Yole Signorelli, conosciuta come Fumettibrutti, si racconta senza filtri nel memoir Tutte le mie cose belle sono rifatte, pubblicato da Feltrinelli Comics. Un titolo che è già una dichiarazione di intenti, una provocazione contro ogni reticenza. A ventisette anni, con una carriera che l’ha resa una delle voci più distine del fumetto italiano, Signorelli mette su carta la sua storia con la franchezza e la spregiudicatezza che l’hanno resa celebre. È il continuo della sua “Trilogia esplicita”, che ha già scosso lettori e critica con Romanzo esplicito, P. La mia adolescenza trans e Anestesia.

Il libro è un viaggio intimo nella scoperta di sé, che riporta il lettore a quel momento critico della sua adolescenza in cui Josephine, a diciassette anni, capisce di essere una ragazza. Da lì, si snoda un percorso difficile, segnato da una terapia ormonale che, come racconta, le ha cambiato la vita. La modifica della voce, spiega, è stato l’intervento più importante, capace di restituirle la possibilità di vivere con una parvenza di normalità. Azioni banali come andare a comprare il pane o ordinare al ristorante, che prima sembravano insormontabili, sono diventate gesti possibili, ma c’è sempre una nota di amarezza: perché una persona transgender deve modificare qualcosa per essere accettata? È questa la domanda che serpeggia tra le pagine, e che si manifesta con la forza di un pugno attraverso uno dei personaggi simbolici del libro, un guerriero armato di katana, che esclama: “Una società che accetta i corpi transgender solo se medicalizzati è una società fascista”.

Il racconto alterna la realtà della transizione a momenti onirici, come la comparsa di Sailor Moon, icona di un mondo dove tutto sembra più semplice. “Peccato non vivere in un cartone animato”, si legge, e la frase ha il sapore dolce-amaro di un sogno impossibile, ma lei non si arrende alla nostalgia; pagina dopo pagina è un atto di resistenza, un’affermazione di identità che passa attraverso la celebrazione del corpo. Un corpo, il suo, che non è mai stato solo un involucro, ma un campo di battaglia. “Celebro il mio corpo perché me lo sono combattuto”, scrive, rivendicando con orgoglio ogni cicatrice, ogni modifica, ogni conquista.

C’è una sincerità brutale nelle sue parole, quella stessa autenticità che l’autrice riconosce come il motore della sua scrittura. “Essere fumettista significa essere sempre sola, senza ferie o malattia”, riflette in un passaggio che non lascia spazio a romanticismi. Il fumetto, per lei, non è mai stato solo una professione, ma un atto di liberazione, uno spazio dove confrontarsi con le proprie paure e i propri limiti. Eppure, c’è anche frustrazione. Un anno di lavoro, dice, viene consumato in un paio d’ore di lettura. È un destino ingiusto, ma inevitabile, per chi ha scelto di esprimersi con un linguaggio visivo tanto immediato quanto penetrante.

Non c’è nulla di facile o consolatorio in questo memoir, eppure è impossibile non sentirsi toccati dalla sua forza. Tutte le mie cose belle sono rifatte è il racconto di una vita, un manifesto parlante che si rivolge a chiunque abbia sentito il peso del conformismo e la fatica di essere accettato per ciò che è. Per coloro che non smettono mai di chiedersi perché, per essere liberi, bisogna lottare tanto? E soprattutto quando mai questa lotta avrà fine?

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