Nell’articolo pubblicato il 14.4 (Paesi del sud contro Paesi del nord: chi vincerà la battaglia del 23 aprile?) abbiamo detto che i “corona bonds”o “recovery bonds” voluti dai paesi del sud Europa non saranno accettati ed abbiamo illustrato le ragioni.
Abbiamo anche detto che le soluzioni che saranno prospettate dai paesi del nord non saranno idonee a risolvere i problemi dell’Italia (un paese con grandi problemi nel settore pubblico ma con elevatissime ricchezze private ed un’industria manifatturiera tra le migliori del mondo), descrivendone le motivazioni.
Abbiamo suggerito quindi di non accettare il programma complessivo di aiuti che verrà articolato dai paesi del nord in quanto non risulterà funzionale ad evitare al nostro paese un ulteriore e profondo arretramento economico nei prossimi anni, che ci porterà anche a diventare un paese marginale a livello internazionale (probabile l’uscita dal G7) e a subire rilevantissime perdite sulle ricchezze delle famiglie (è il fenomeno della patrimoniale senza gettito per lo stato che si determina quando il paese subisce una profonda recessione e le sue prospettive di ripresa appaiono remote – vedi articolo Pignataro- Sarcinelli , sole24ore del 13.8.2013).
Coloro che propendono per queste soluzioni, confidando che serviranno ad evitare inasprimenti fiscali su redditi e patrimoni, si illudono fortemente; per rendere operative le iniziative europee in cantiere trascorreranno molti mesi mentre le esigenze sono indifferibili; inoltre i grandi creditori pubblici sono molto meno pazienti dei creditori privati in titoli di stato nel verificare come e quando le condizioni di recupero degli equilibri economici e finanziari si ricostituiscono; i paesi creditori spesso hanno interessi confliggenti con i paesi debitori (se il loro pil cresce e quello degli altri diminuisce, la loro forza relativa accresce sempre più il loro potere e la loro competitività) ed è pressochè impossibile per quest’ultimi sottrarsi ai loro dettami quando si è diventati dipendenti dai loro finanziamenti, mentre i primi possono usare molte armi per indurre i secondi ad accettare le loro condizioni.
Abbiamo poi indicato una strategia alternativa da porre sul tavolo delle trattative da perseguire con grande determinazione; resistendo strenuamente alle enormi pressioni che riceveremo, usando la falsa discriminazione tra europeisti e non europeisti, per schierarci con le soluzioni volute dai paesi del nord; essa ci consentirà uno spazio di azione molto più efficace per realizzare la nostra ripresa.
Questa strategia può essere integrata con una implementazione di cui abbiamo fatto cenno nell’articolo citato, fondata sulla creazione di un altro strumento finanziario che abbiamo classificato con la sigla “ESB” (European Solidarity Bond) che sarà emesso con il supporto di un soggetto giuridico che abbiamo denominato “GFSE” (Guarantees for the Solidarity of European Peoples).
Questi bond hanno lo scopo di contemperare le esigenze dei due fronti opposti di paesi, al fine di permettere ai paesi del sud di finanziare in modo efficiente le esigenze di ripresa economica che si sono determinate e si creeranno a seguito della crisi sanitaria in corso, e nel contempo di eliminare i rischi più rilevanti che i paesi del nord non intendono assumere con gli eurobonds.
Il loro meccanismo di funzionamento sarebbe il seguente:
si costituisce un soggetto giuridico (un veicolo) denominato GFSE che avrà la finalità di rilasciare garanzie su titoli di stato dei paesi dell’euro, da collocare sul mercato degli investitori privati fino ad un limite massimo di 1200 miliardi di euro (circa il 10% del pil dell’area euro);
tutti gli stati dell’area euro assumono l’impegno di versare nel fondo una quota pari al 15% delle emissioni complessive che il GFSE può garantire, in proporzione del pil prodotto al 31.12.2019 dai paesi dell’area euro;
ogni stato dell’area euro che ne ravvisi la necessità potrà emettere propri titoli di stato fino ad un importo pari al 10% del proprio pil (per l’Italia circa 170 miliardi) su cui il GFSE rilascerà una garanzia a prima richiesta fino al 30% del valore nominale in linea capitale dell’emissione di titoli effettuati dal paese europeo, denominati “ESB” ovvero, European Solidarity Bonds;
gli ESB avranno una durata trentennale e non saranno rinnovabili alla scadenza;
gli stati che emettono gli ESB dovranno contestualmente versare il 15% della specifica emissione al GFSE in conto deposito di garanzia; tale somma resterà di proprietà del paese emittente, sarà remunerata allo stesso tasso di rendimento degli ESB e sarà svincolata solo ad avvenuto rimborso dei bond emessi;
gli altri stati che per ragioni di convenienza non effettueranno emissioni di ESB, resteranno semplici garanti verso il GFSE anche a seguito delle emissioni di ESB, qualunque sia il valore di tali emissioni, e saranno chiamati ad effettuare i loro versamenti solo in caso di escussione della garanzia da parte del GFSE; e cioè in caso di ristrutturazioni di debito da parte di uno dei paesi emittenti gli ESB;
l’emissione degli ESB da parte degli stati che vi fanno ricorso, e cioè solo quelli che possono trarre un vantaggio di costo rispetto ai loro titoli di stato ordinari o che comunque vogliono rassicurare in maggior misura gli investitori su alcune componenti del loro stock di debito, deve essere finalizzata unicamente a finanziare interventi idonei a favorire la loro ripresa economica e deve essere consentita solo nel periodo di tempo necessario per superare la fase più acuta della crisi (fino al 30.06.2021);
a tal fine gli stati emittenti devono presentare un programma alla Commissione Europea, istituzione presso la quale il veicolo GFSE verrà gestito, per la sua approvazione con modalità molto snelle; non devono essere previste altre condizioni;
le spese che la commissione potrà autorizzare devono essere predefinite e condivise dai paesi dell’area euro e devono quindi essere a titolo di esempio:
sostegni alle imprese per salvaguardare il sistema produttivo;
investimenti pubblici in infrastrutture di grande valore economico;
investimenti in capitale di imprese da rilanciare in settori strategici;
investimenti per attuare riforme strutturali di primaria importanza, come la modernizzazione della PA e della giustizia civile;
investimenti in ricerca ed innovazione;
con l’acquisto degli ESB gli investitori sarebbero protetti dai rischi di eventuali ristrutturazioni del debito dei paesi emittenti con haircuts (decurtazioni in linea capitale) fino al 30% del valore nominale dei bond sottoscritti;
la garanzia opererebbe in questo modo:
i titolari di ESB, in caso di ristrutturazione del debito del paese emittente con un haircut pari al 30%, troveranno immediata copertura nella dotazione del veicolo GFSE (180 miliardi di euro pari a circa il 15% del pil della zona euro) fino al suo esaurimento; per esempio: se tutti gli stati ad eccezione di Francia , Germania, Olanda e Austria, emettono i loro ESB, i depositi in garanzia esistenti c/o il GFSE saranno pari a circa 82 mld (15% del valore totale dei titoli emessi ,circa 550 mld); se va in ristrutturazione l’Italia con un haircut del 30% il GFSE deve coprire un somma pari a 51 mld e troverebbe capienza nei depositi da esso detenuti, se va in ristrutturazione successivamente la Spagna al GFSE occorrerebbe una somma di 39 mld per far fronte agli impegni; in tal caso il GFSE sarà abilitato a chiedere agli stati non emittenti di ottemperare ai propri impegni di garanzia e di concorrere in quota parte ad effettuare i versamenti; se vanno in ristrutturazione tutti i paesi emittenti, ad esclusione dei quattro citati, il GFSE dovrà coprire 165 mld (il 30% di 550mld) e le integrazioni di garanzia che dovrebbero fare i paesi non emittenti sarebbero di 83 miliardi;
di conseguenza la garanzia di GFSE è in grado di coprire i costi di ristrutturazione del 30% di un valore di emissione di ESB pari a 600 miliardi di euro e cioè di tutti gli stati dell’area euro ad eccezione di Germania Francia e Olanda ; questo meccanismo di priorità nella copertura delle garanzie è quindi di fatto più protettivo verso chi acquista titoli di paesi a maggiore rischio di default; la quota di partecipazione dei paesi dell’euro per costituire la dotazione del fondo pari al 15% è finalizzata a coprire integralmente il rischio di ristrutturazione di tutti i paesi più indebitati, solo ulteriori scenari di default più catastrofici (Francia o Germania), e quindi remoti, non sarebbero coperti;
in caso di escussione della garanzia del GFSE si andranno ad intaccare prima i depositi effettuati dagli emittenti e solo ad esaurimento di questi ultimi il GFSE esigerà il versamento degli impegni rilasciati dai paesi che non hanno fatto ricorso alle emissioni di ESB; in pratica la garanzia dei paesi emittenti sarà la prima ad essere escussa ed è escluso il principio della solidarietà con i paesi non emittenti; ogni paese risponde per il limite massimo prestabilito e il loro impegno di garanzia è subordinato alla preventiva escussione delle garanzie rilasciate dai paesi emittenti gli ESB; in questo modo la probabilità che i paesi non emittenti siano chiamati a sopportare oneri effettivi a fronte delle garanzie rilasciate sono sostanzialmente basse in quanto sono legate alla possibilità, abbastanza remota, che vadano in default un numero elevato di stati a cominciare dai più grandi; questa formula di funzionamento della garanzia mira quindi a determinare un grado di rischio per i paesi non emittenti relativamente contenuto e a creare un equilibrio tra vantaggi degli emittenti e rischi dei semplici garanti; serve peraltro a disincentivare i paesi emittenti dal fare ricorso alle ristrutturazioni e li spinge quindi a diventare più virtuosi nel realizzare le riforme che incrementano la loro capacità di produrre ricchezza.
Vediamo ora di definire quali sono i vantaggi che questa proposta prospetta per i vari attori in campo.
I vantaggi per i paesi emittenti sarebbero:
migliorano sensibilmente la capacità di soddisfare le loro esigenze di liquidità, in quanto gli ESB, potendo godere di una garanzia sufficientemente protettiva per gli investitori troveranno un mercato di collocamento sufficientemente ampio; la garanzia rilasciata da tutti gli altri stati fino al 15% del valore massimo di emissione di ESB, anche se produce un effetto meno tonificante degli eurobonds, che garantiscono il 100% in linea capitale, rappresenta un ottimo scudo per coprire eventuali perdite degli investitori (le perdite per gli investitori privati subite a seguito della ristrutturazione del debito della Grecia nel 2012 è stata pari al 50%; tuttavia si è trattata di una situazione del tutto eccezionale dovuta a situazioni negative molto particolari);
riducono adeguatamente i costi dei finanziamenti in quanto i titoli con garanzia GFSE essendo meno rischiosi, avranno fisiologicamente rendimenti più contenuti dei normali titoli di stato; orientativamente lo spread degli ESB sarebbe tra il 30 ed il 50% più basso di quello richiesto sui titoli di stato ordinari;
la finalizzazione delle congrue risorse ottenute con gli ESB ad iniziative idonee a favorire un adeguato sviluppo economico abbasserebbe anche la tensione degli investitori sui normali titoli di stato in quanto le prospettive di ripresa economica che ne deriverebbero infonderebbero in loro maggiore fiducia;
si eviterebbe il ricorso a finanziamenti di natura interstatale ( diretta o indiretta) che sono accompagnati inevitabilmente da cessioni di quote di sovranità e inducono gli investitori a ritenere che le politiche economiche necessariamente restrittive che ne conseguirebbero porterebbero ad elevare i rischi di ristrutturazione del debito.
I vantaggi per i paesi solo garanti sarebbero:
concedono aiuti agli stati dell’area euro più in difficoltà, senza alcun bisogno di emettere tioli di debito in comune, senza alcun esborso monetario immediato, rilasciando puri impegni di firma, assumendo un valore di impegni massimi ben definiti, e con rischi reali di subire perdite effettive diluite nel tempo ed abbastanza contenuti; in caso di escussione delle garanzie diventano creditori verso gli stati che hanno fatto ricorso alle ristrutturazioni in forma paritetica con tutti gli altri creditori;
evitano quindi tutte le maggiori criticità collegate all’accettazione degli eurobonds quali: garanzie solidali su valori molto consistenti di debiti non di loro pertinenza; indeterminatezza dell’onere che gli impegni assunti potrebbero effettivamente comportare nel tempo; rischi di dover essere costretti a fornire altri sussidi per tentare di evitare l’escussione delle garanzie prestate in caso di peggioramento delle situazioni finanziarie dei paesi garantiti; rischi di compromettere i propri equilibri finanziari in caso di default di alcuni paesi beneficiari degli eurobonds; restrizione delle proprie capacità di manovra per fronteggiare nuovi shock avversi.
Vantaggi per gli investitori sottoscrittori di ESB:
investono in titoli di stato di paesi con livelli di indebitamento elevati ma con rischi di perdita notevolmente attenuati e rendimenti superiori a quelli di bond di paesi più solidi;
l’attenuazione dei rischi è anche dovuta ai segnali forti che i paesi dell’euro danno rilasciando garanzie sui debiti dei paesi più in difficoltà per favorire la loro ripresa economica in termini di commitment a voler garantire la salvezza dell’euro e di autorizzazione a considerare accettabili livelli di indebitamento più elevati di quelli attuali; una scelta che vede necessariamente associata una politica monetaria molto accomodante per un lungo periodo;
questi segnali costituiranno un elemento molto più rassicurante anche per gli investitori in titoli di stato ordinari che sono normalmente detenuti dai medesimi investitori.
Ci sono delle obiezioni che i fautori di altre soluzioni potrebbero fare alla soluzione oggetto della presente proposta?
Si, le obiezioni che i detrattori di questa soluzione potrebbero fare sono le seguenti:
non sono uno strumento migliore rispetto alla soluzione prospettata dall’ Eurogruppo di costituire un fondo europeo per il rilancio gestito dalla commissione europea (tramite il MES o un altro fondo) in quanto con questo intervento tutti gli stati dell’unione potranno usufruire di risorse per il rilancio e non solo alcuni, così come avverrebbe con gli ESB;
L’ obiezione non sarebbe fondata per le seguenti ragioni:
tutte le iniziative che si stanno immaginando di creare in sede europea per fronteggiare la crisi in atto, fanno leva sulla possibilità di far emettere titoli di debito ad una istituzione giuridica sovranazionale, con la garanzia di tutti gli stati, affinchè poi vengano concessi dalla commissione europea i finanziamenti ai singoli stati che ne fanno richiesta; tutti questi stati pertanto non riceveranno aiuti a fondo perduto ma diventeranno debitori verso una entità giuridica sovranazionale che avrà il potere di stabilire le condizioni per il loro utilizzo e per il loro rimborso; ciò implica necessariamente una delega di fatto, presente e/o futura, sulle politiche fiscali dei paesi debitori per tutta la durata del prestito; con gli ESB, che non sono una iniziativa a sè stante ma che si inquadrano in una strategia di più vasta portata, basata su un coinvolgimento più consistente della BCE e sul riequilibrio delle bilance commerciali dei vari paesi (vedi articolo del 14.4), tutti gli stati potranno soddisfare i propri fabbisogni per il rilancio assumendo nuovo debito finalizzato a precisi obiettivi, ma senza introdurre forme di condizionamento di natura ipotecaria sulle politiche fiscali future degli stati europei; non è questo un approccio di tipo ideologico ma di natura sostanziale: ogni stato si indebita nei livelli massimi prestabiliti e risponde della proprie capacità di aver ben investito le risorse verso i singoli soggetti privati verso cui ha assunto il debito e non verso una istituzione sovranazionale, dominata dagli stati più forti, che in qualunque momento possono mettere, per varie ragioni, in condizione di totale subordinazione i paesi debitori; in un area monetaria comune i livelli di autonomia nella gestione delle politiche fiscali devono mantenere uno spazio di manovra deciso con criteri uniformi e all’interno di regole uniformi, e non imposte da meccanismi di relazione tipici di un rapporto fra creditori e debitori; ecco perché va evitata la creazione del presupposto che può innescare la nascita di un problema reale; peraltro già sperimentato: i paesi del nord ( Germania in primis) hanno dei problemi macrostrutturali definiti tali dalle regole europee ( eccesso di surplus nella bilancia commerciale tra stati membri), tuttavia sui deficit macrostrutturali dei paesi più indebitati vengono imposte regole ferree di risanamento mentre sui paesi creditori ciò non avviene: si tratta di una situazione equa ed accettabile?
Per contro, c’è un problema che i fautori del MES o di altri fondi della stessa specie trascurano; con la creazione di fondi comuni europei di rilancio, se uno o più stati vanno in ristrutturazione del proprio debito, le perdite per tutti i creditori pubblici sarebbero molto più elevati rispetto all’uso degli ESB; con quest’ultimo strumento invece sarebbero gli investitori privati ad essere maggiormente impattati, essendo stati loro a concedere i finanziamenti per il rilancio; nel caso del ricorso ai fondi europei, aumenterebbero le debolezze e le fragilità dei paesi più indebitati come l’Italia, in quanto gli investitori in titoli di stato italiani percepirebbero chiaramente il rischio che il nostro paese, avendo partecipato per la propria quota di pil a creare a dotazione del fondo e a garantire le emissioni di titoli di debito comune per importi considerevoli, in caso di eventuali ristrutturazioni del debito greco, portoghese o di altri stati molto deboli finanziariamente anche nel settore privato (ipotesi nient’affatto remota nel contesto attuale), vedrebbero appesantirsi ancora di più la situazione delle proprie finanze pubbliche.
In ogni caso lo strumento ESB può essere introdotto come una iniziativa aggiuntiva e non sostitutiva delle soluzioni prospettate dai paesi del nord, in modo tale da lasciare ai singoli stati la libertà di scegliere di utilizzare lo strumento più idoneo alle proprie esigenze;
Con la creazione degli ESB si verrebbero a formare due categorie diverse di titoli di stato che potrebbero generare difficoltà di collocamento per la categoria meno garantita, penalizzando fortemente la loro gestione.
L’obiezione non è fondata in quanto:
la soluzione ESB si inquadrerebbe in un programma di aiuti per i paesi del sud Europa costituito dall’impegno della BCE a fornire adeguato sostegno alla gestione del debito pubblico attraverso il QE potenziato e altri impegni (vedi nostro articolo pubblicato il 14.4);
la sostanziale differenza di rendimento tra le due categorie di titoli (-30/50% di rendimento) mitigherebbe sensibilmente il rischio di vedere polarizzare l’interesse degli investitori solo sui titoli più garantiti; l’esistenza di titoli meno rischiosi come ad esempio i “bund” non implica che gli investitori comprano solo questi titoli; gli investitori hanno propensioni al rischio diverse e ricercano forme di allocazione dei loro investimenti in funzione del profilo rischio/rendimento differenziati e corrispondenti alle loro scelte d’investimento; quindi non sussiste alcun rischio di restringere le opportunità di collocamento dei titoli di stato ordinari collegato al ricorso a questo strumento;
C) I mercati potrebbero essere indotti a considerare il ricorso ad una assistenza di altri stati per finanziare il proprio fabbisogno come un chiaro segnale di debolezza finanziaria e potrebbero essere quindi indotti a vendere massicciamente i titoli di stato ordinari di quel paese.
L’obiezione non sarebbe fondata in quanto vale il ragionamento opposto: poiché le somme raccolte con gli ESB non vanno a finanziare spesa pubblica improduttiva ma sono finalizzate ad iniziative di rilancio economico, vagliate da un organismo sovranazionale, per recuperare capacità di sviluppo a seguito degli impatti negativi provocati da uno shock avverso, e sono peraltro ottenute a costi più contenuti, si tratta di una iniziativa funzionale a preservare la capacità del debitore di rendere sostenibile o più sostenibile, il debito in precedenza assunto; la garanzia rilasciata da tutti gli stati dell’area euro risulterebbe peraltro come già detto una forma di validazione ad accettare livelli di debito pubblico molto più elevati di quelli attuali (cfr. dichiarazioni di Mario Draghi del 26.3.2020)
D) alcuni stati non otterrebbero alcun vantaggio dall’introduzione di questo strumento, per quale motivo allora dovrebbero partecipare?
L’adesione ad un’area monetaria comune comporta degli impegni espliciti ed impliciti a far sì che non si verifichino forti asimmetrie di sviluppo economico e finanziario fra i vari paesi partecipanti all’accordo; in caso contrario l’impianto è destinato a crollare; la solidarietà nei momenti di rottura degli equilibri non è una opzione per questi stati ma una necessità ed un interesse dall’alta valenza reciproca; i destini di questi stati sono decisamente interconnessi , quindi non è possibile considerare come estranee ai propri interessi le difficoltà di stati appartenenti all’area monetaria comune.
Con questo articolo concludiamo la serie degli interventi iniziati il 3 marzo (con dieci articoli complessivi) finalizzati a fornire un contributo di idee e di riflessioni sulla tragica crisi economica che ci accingiamo ad affrontare e che potrebbe nella riunione dei capi di governo europei del 23 aprile avere un epilogo esiziale per il nostro paese.
Il momento è uno dei più drammatici della nostra storia ed il nostro futuro e quello dei nostri figli dipenderà da come sapremo affrontare quella giornata, tenendo ben presente che al di là delle dichiarazioni ufficiali, ci sono interessi palesemente confliggenti tra fronti di paesi. Noi abbiamo provato a dare il nostro contributo di analisi, di riflessioni e di suggerimenti. Ora non possiamo far altro che sperare che chi ci rappresenta sappia fare le scelte giuste. Incrociamo le dita!
Argomenti: covid-19