Una vita nel sindacato, nella Cgil, della quale è stato segretario generale dal giugno 1994 al settembre 2002. E poi una esperienza da primo cittadino di una città importante come Bologna, di cui è stato sindaco dal giugno 2004 al giugno 2009. E poi europarlamentare dal giugno 2009 al 1° luglio 2019. In sintesi, Sergio Cofferati. Globalist lo ha intervistato in esclusiva in occasione del Primo Maggio.
Primo Maggio 2020: il primo nell’epoca, si spera breve ma comunque drammatica, del Coronavirus. Da più parti si ripete, come un mantra, che dopo la crisi pandemica nulla sarà più come prima. Come declinare questa asserzione dal punto di vista sociale e dei lavoratori?
“Che ci saranno cambiamenti radicali è evidente. Quali saranno, la loro dimensione e le caratteristiche operative che connoteranno questi cambiamenti, è molto difficile dirlo oggi. Perché cambierà l’organizzazione del lavoro, cambieranno gli orari e andranno ridefiniti salari e protezioni. Sono argomenti molto sottovalutati, bisognerà recuperare rapidamente questo ritardo. Faccio un solo esempio: in un luogo del territorio c’è un’area di produzione: le persone che lavorano in quell’area non potranno più raggiungerla con i tempi di prima, perché sui mezzi di trasporto, per garantire la sicurezza, dovranno viaggiare di volta in volta meno persone. Perché tutte le persone di prima raggiungano il luogo di lavoro ci vorrà molto più tempo. Questa differenza sarà ancora più accentuata dai controlli che ci saranno all’ingresso. Da quando cominceranno a lavorare i primi in azienda, fino a quando arriverà l’ultimo, trascorrerà molto tempo, e più l’azienda è grande, più si estenderà questa fascia di orario. Quello che prima era un solo turno, per garantire l’attività alle stesse persone, il lavoro dovrà estendersi necessariamente su più turni. Organizzare l’attività interna alla platea di prima è indispensabile ma non sarà semplice garantire le stesse modalità del lavoro individuale e la quantità di produzione finale. Ora, se pensiamo a quanti sono i settori e a quali sono le differenze dimensionali delle imprese, ci rendiamo subito conto di quanti e tali cambiamenti si renderanno necessari. Insisto su questo: se vogliamo garantire sicurezza alle persone devono cambiare radicalmente le condizioni di lavoro in molti luoghi in cui si produce. Che di questo si parli poco lo trovo davvero è inquietante. Se ci fosse un riavvio non oculato, con un ritorno di fiamma dell’epidemia il danno sarebbe enorme non solo sul versante sanitario, ma anche sul comportamento delle persone che potrebbe andare dallo scoramento alla ribellione, anche violenta. Non capisco perché non si metta in conto che lo scenario potrebbe avere anche questo profilo e ci si attrezzi per evitarlo”.
Ma la sinistra, non solo i partiti ma i corpi intermedi sociali come il sindacato, la Cgil, è attrezzata a far fronte a queste sfide?
“Non per intero. Io penso che sarebbe utilissimo un accordo tra il Governo, le imprese e i rappresentanti dei lavoratori, cioè i sindacati, per stabilire i criteri di base da utilizzare per la nuova organizzazione. Poi quei criteri dovranno essere applicati localmente, ma così si garantirebbe la coerenza tra il quadro generale e lo specifico. E’ una sfida enorme, però non ha alternative, perché se ognuno fa come vuole o come è capace, le differenze non esalteranno la qualità ma solo i difetti. Serve coinvolgere le persone interessate, è molto importante la partecipazione, perché questa dà fiducia. Peraltro il Paese, nei momenti di grande crisi, ha affrontato l’emergenza con ipotesi di questa natura. Giuseppe Di Vittorio propose il Piano per il lavoro, che poi non fu realizzato per errate scelte dei governi dell’epoca. La crisi finanziaria ed economica degli anni ’92-’93 venne affrontata da Amato prima e da Ciampi subito dopo, con un accordo triangolare che consentì all’Italia di ridurre debito e inflazione, e di entrare nell’Europa dell’euro. Bisogna riproporre la stessa visione. Ovviamente in questo quadro bisognerà, in particolare nella fase transitoria, garantire l’occupazione e il salario con gli strumenti adeguati. Contestualmente la stessa attenzione va data ai diritti individuali e collettivi: quest’anno è il 50° anniversario dello Statuto dei lavoratori. Alla coesione sociale, alla dignità del lavoro e all’economia, gli strumenti contenuti nello Statuto hanno dato un grandissimo contributo. C’è una narrazione, che purtroppo ha attecchito anche nel campo progressista, che legge il passato come un insieme di sconfitte e di arretramenti. A costoro suggerirei di leggere, se mai lo hanno fatto, lo Statuto dei lavoratori: in quel testo c’è qualcosa di straordinariamente attuale, e progressivo, che va difeso soprattutto oggi, quando siamo chiamati a ripensare il futuro in ogni ambito dell’agire umano. Nello Statuto si rivendicano i diritti individuali e collettivi che sono quelli che realizzano la dignità della persona. Ripensare il lavoro, le sue forme e organizzazione, tutelando i diritti e la dignità delle persone. E’ la sfida del futuro su cui, io credo, la sinistra e i progressisti si giocano tutto”.
In precedenza hai fatto riferimento all’Europa, che tu hai conosciuto molto bene e da vicino con la decennale esperienza all’Europarlamento. Che immagine sta dando di sé l’Europa, questa Europa in un frangente così drammatico?
“Una brutta immagine, che ripropone tutte le contraddizioni dell’Europa di oggi, che riguardano i valori, perché è inquietante la mancanza di una solidarietà forte, e dall’altra parte è clamorosa l’inefficacia di molte norme e regole attuali. Valga un esempio per tutti: la politica fiscale. Non essendo il fisco materia sulla quale le istituzioni europee possono decidere a maggioranza e resta indispensabile l’unanimità, basta il veto anche di un piccolo Paese, per impedire scelte efficaci. Nel 2011, il Parlamento europeo, a larghissima maggioranza, per affrontare la crisi iniziata nel 2008, propose politiche espansive e l’istituzione degli Eurobond. Non se ne fece nulla perché le istituzioni europee non hanno mai raggiunto l’unanimità, cancellando così la proposta del Parlamento e, contemporaneamente, un pezzo di democrazia. Ergo, bisogna riscrivere i trattati per trasferire sovranità dai singoli Paesi all’Unione europea”.
Non c’è il pericolo che da questa crisi pandemica globale se ne esca con il rafforzamento dei sovranismi ultranazionalisti?
R)”Sì, il pericolo c’è, ma a maggior ragione proprio per questo l’area progressista dovrebbe proporre la riorganizzazioni delle istituzioni europee partendo dalla riscrittura dei trattati. L’Europa così non ha futuro, perché se vengono meno i valori e non c’è la volontà di trovare strumenti per affrontare le crisi insieme, non si va avanti. Ci sono paradisi fiscali in Europa: Lussemburgo, Olanda, Paesi dove aziende italiane hanno stabilito la loro sede per pagare meno tasse. Bisogna riscrivere i trattati se non vogliamo che l’Ue esploda”.
Riscrivere Trattati o loro regolamentazioni, penso a quello di Dublino, ci porta ad un altro tema caldo: quello dei migranti.
“Quello delle politiche dell’emigrazione e dell’immigrazione è uno dei grandi temi, come quello fiscale, che non sono di competenza esclusiva dell’Europa. E questo rende complicatissima la ricerca di punti di equilibrio, perché la sensibilità e il rapporto con le platee dei deboli e dei poveri, è diversissimo tra destra e sinistra, tra Paese e Paese”.
Ma è di “sinistra”, un decreto come quello dei porti chiusi per l’emergenza Covid-19, preso dal Governo Conte II?
“Io credo che l’emergenza sanitaria non abbia bisogno di barriere ma di politiche efficaci. Personalmente provo grande irritazione quando sento dire che bisogna regolarizzare le migliaia e migliaia di immigrati clandestini, solo perché abbiamo bisogno di persone che lavorino in agricoltura. Queste persone andavano regolarizzate prima, per ragioni umanitarie. Adesso questa richiesta di regolarizzarli appare come una ipotesi esclusivamente strumentale”.
Il che ci porta alla conclusione che la sinistra perde quando rincorre la destra sui terreni, come quello securitario, ad essa più congeniale…
“Sì, agendo così la sinistra perde identità e di conseguenza credibilità”
Siamo in giorni di celebrazioni. E di polemiche. Come quella che ha investito il 25 Aprile con la proposta avanzata esponenti della destra, di trasformare la celebrazione della Liberazione della Resistenza al nazifascismo, in una giornata di commemorazione delle vittime della “guerra” al Coronavirus. Per non parlare delle polemiche sulla Festa dei Lavoratori…Siamo al rilancio di una politica dell’oblio per la quale il 25 Aprile e il 1° Maggio sono feste di parti, divisive, che vanno riposte nell’armadio della storia?
“Questo tentativo è del tutto evidente e pericolosissimo. Peraltro la storia alle nuove generazioni va fatta conoscere e non rimossa”.