Due giorni fa la Commissione Europea ha pubblicato le sue previsioni sul pil e sul debito degli stati dell’Unione Europea per gli anni 2020 e 2021.
A riguardo la Commissione dice che: “la ripresa economica di ciascuno stato membro dipenderà non solo dalla evoluzione della pandemia in quel paese, ma anche dalla struttura delle loro economie e dalla loro capacità di rispondere con politiche di stabilizzazione”.
Quindi giunge alla conclusione che sia la recessione che la ripresa saranno disomogenee.
Da Bruxelles aggiungono comunque che i dati previsionali partono dalla supposizione che nel secondo semestre dell’anno le misure di contenimento vengano gradualmente tolte e che la pandemia rimanga sotto controllo, altrimenti il quadro peggiorerà ancora. Di conseguenza la situazione è incerta con rischi al ribasso non marginali.
E proseguono dicendo che: “la crisi riguarda tutti gli stati membri, ma la ripresa varia a seconda della severità del contagio, della durata delle misure di contenimento e dello stato dell’economia”.
Come emerge amaramente dalle tavole allegate siamo ancora una volta gli ultimi della classe.
Tra tutti i 27 paesi dell’Unione Europea avremo nel 2020: la crescita del deficit più elevata (11%), il livello della recessione più ampio insieme alla Grecia (-9.5%) e la crescita del rapporto debito/pil più consistente (158.9%, con un incremento di oltre 24 punti percentuali sul 2019).
Nel 2021 avremo un rimbalzo in termini di crescita più alto (+6.5%) della media europea ma la nostra situazione nel raffronto 2021 verso 2019 sarà la peggiore tra tutti i paesi, sia quelli della zona euro che dell’intera UE; la distanza del prodotto interno lordo dai livelli pre-crisi sarà la più ampia e lo scostamento dal rapporto debito/pil il più accentuato in assoluto.
Questa situazione di retroguardia, purtroppo non nuova (vedi tav. previsione pil 2020 febbraio) è ormai diventata così angosciante per tutti gli italiani da risultare in buona misura anche superiore a quella che ci ha provocato la diffusione del Covid-19 sul piano sanitario.
Il quadro generale che emerge è di conseguenza molto desolante: siamo il paese che si colloca ai primi posti nel mondo per gli effetti nefasti della pandemia sia sotto il profilo sanitario che economico.
La pandemia a fine 2020 ci costerà circa 200 miliardi di euro di debito aggiuntivo e circa 150 miliardi di euro di minore pil. Numeri da brivido che danno una indicazione chiara della vastità dei problemi che si aprono davanti a noi e che pongono in modo ineludibile un tema di tenuta complessiva del paese.
Ne deriva la necessità altrettanto ineludibile di fare una grande e profonda riflessione sulle ragioni di una situazione negativa così macroscopica.
E di conseguenza sono tanti gli interrogativi che dovremmo porci e a cui è indispensabile dare una risposta se vogliamo trovare la giusta via di uscita, evitando sciocche, semplicistiche ed inopportune banalizzazioni della situazione.
Siamo certi di aver gestito in maniera appropriata la pandemia?
Potevamo e possiamo permetterci di attuare misure di contenimento molto severe o più severe di altri paesi?
Possiamo permetterci di lasciare che sia il comitato scientifico a decidere le sorti del futuro economico del nostro paese?
Si può attribuire alla fatalità il fatto che usciamo come il paese più devastato d’Europa e tra i primi nel mondo, sul piano economico, da questa situazione?
In che cosa abbiamo sbagliato?
Se ci sono delle responsabilità, queste sono solo del governo?
Il governo in carica è idoneo a gestire una fase emergenziale così delicata?
Abbiamo una classe politica capace di affrontare l’enormità dei problemi che abbiamo davanti a noi?
Tutto quello che è successo era assolutamente inevitabile, c’erano margini per gestire meglio le situazioni?
Cosa bisogna fare per risalire da questo precipizio? Ce la possiamo fare?
Ora che siamo giunti ad un punto indiscutibilmente molto critico, dobbiamo attendere che ci venga ricordato dall’esterno che abbiamo bisogno di entrare al più presto in un regime di “economia speciale di emergenza” o dobbiamo capirlo al più presto da soli?
Se vogliamo migliorare lo stato delle cose è da questi punti di domanda che dobbiamo partire per fare riflessioni accurate e giungere a conclusioni corrette, evitando di continuare a fare i soliti errori di sottovalutazione dei problemi che non ci fanno poi mai uscire dal pantano.
Non possiamo di fronte a questo scempio continuare ad addossare le colpe all’Europa anche se di colpe ne ha e non sono poche; comunque l’Europa agisce in modo uniforme per tutti e noi non brilliamo mai in nessuna classifica.
Non possiamo continuare ad accettare di convivere con i nostri pesanti fardelli che ci portiamo dietro da molto tempo pensando che tutto sommato possiamo andare avanti comunque, convivendo bene o male con essi all’infinito; questa volta occorrono reazioni forti per rimuoverli, altrimenti ci travolgeranno.
Non dobbiamo più accettare, così come già avvenuto nelle crisi del 2008/9 e 2011/12, che vengano affrontate situazioni di particolare avversità con misure disarticolate tra loro e senza che venga elaborato ed attuato un vasto piano di rilancio e di risanamento di medio termine davvero credibile e capace di coinvolgere tutte le forze del paese a fare il massimo per risalire la china, in uno spirito di squadra, in cui ognuno fa tutto ciò che può.
Per elaborare questo piano dobbiamo innanzitutto comprendere le ragioni di fondo che determinano le nostre performance ultra negative nella crisi in atto. Ci sono cinque elementi contingenti che giocano un ruolo chiave e che condizionano le politiche di stabilizzazione perseguite:
a) la severità del contagio subito e le misure di contenimento adottate;
b) Il livello del debito accumulato;
c) la dipendenza del sistema dall’export;
d) la dipendenza del sistema dal turismo;
e) la struttura economica e la sua solidità.
Il grado di esposizione/dipendenza a questi cinque fattori chiave determina la diversità delle conseguenze negative della crisi tra i vari paesi europei. Nella tabella “fattori di influenza sulla crisi pandemica ” allegata abbiamo rappresentato la situazione per i primi 6 paesi per produzione di pil dell’area euro. Abbiamo assegnato un valore da A ad E, in funzione del livello di esposizione/dipendenza (A indica minore dipendenza/esposizione, E maggiore dipendenza/esposizione) e dalle risultanze appare chiaro il perché l’Italia è il paese che performa peggio di tutti gli altri.
Ha avuto il periodo più lungo di lockdown, ha il debito più alto fra tutti i paesi europei e ha quindi margini minori per trovare risorse di contrasto alla crisi, ha un livello elevato di prodotto dipendente dall’export, ha una quota elevata di produzione di ricchezza dipendente dal turismo, ha una struttura produttiva caratterizzata da una soverchiante predominanza di piccole e micro imprese con una scarsa capacità di reggere gli impatti degli shock avversi, senza ricevere robusti interventi di sostegno. Presenta quindi Il mix perfetto di fatalità negative (partenza del contagio) e dati strutturali più vulnerabili in assoluto alla tipologia della crisi.
In relazione all’ analisi di queste situazioni oggettive vanno adottate le misure eccezionali di emergenza più appropriate, affrontando il contesto con grande coraggio e con grande visione strategica.
Tenendo ben presenti alcuni punti cruciali:
- 1) non possiamo continuare a fare altro deficit ed altro debito, altrimenti i disequilibri che creeremo saranno e appariranno presto davvero irreparabili;
- 2) le misure messe in campo dal governo e quelle adottate in sede europea non sono idonee ad evitare che il nostro sistema produttivo, la spina dorsale del paese, ne esca gravemente danneggiato; sono quindi necessari altri interventi per sciogliere i nodi critici che questa crisi ha creato;
- 3) data la peculiarità della situazione, ci sono alcuni punti nevralgici del nostro sistema economico come la domanda interna che in presenza di una debolezza dell’export e del turismo destinata a durare per molti mesi, costituiscono il nucleo centrale del problema e pertanto necessitano di interventi molto robusti ed innovativi per risultare davvero efficaci; è chiaro infatti che date le grandi incertezze sul futuro, non basterà riaprire le attività commerciali per far ripartire in misura adeguata i consumi e gli investimenti.
Se questi sono i punti chiave da tener presente per agire in modo incisivo allora quello che va fatto con estrema urgenza sul piano contingente (ci sono comunque anche problemi strutturali da risolvere) consiste nel:
- A) trovare fonti di alimentazione delle risorse necessarie per evitare lo scivolamento rovinoso verso un impoverimento generalizzato e strutturale in grado di non accrescere ulteriormente l’indebitamento dello stato;
- B) intervenire massicciamente per creare flussi consistenti di consumi ed investimenti privati con strumenti innovativi, in grado di non appesantire il bilancio pubblico nell’immediato, diluendo l’onere per lo stato nelle fasi in cui la ripresa economica consente il loro assorbimento.
Sul primo punto abbiamo fatto delle proposte nel nostro articolo del 4.4 2020 (“La guerra in economia la vinceremo con le nostre forze: 15 misure da mettere in campo“) e sul secondo nell’articolo del 3.5.2020 (“Si può attivare un intervento di helicopter money in Italia? Una proposta per realizzarlo“).
Con il primo abbiamo presentato tre proposte finalizzate ad agire con formule da vero approccio di sistema:
un “fondo di ricapitalizzazione” delle imprese alimentato con risorse raccolte da tutte le istituzioni pubbliche e private del paese (banche, grandi imprese, fondazioni, ecc..) in grado di poter sostenere tale impegno finalizzato a salvaguardare il nostro tessuto produttivo;
un “fondo di solidarietà” alimentato da una commissione marginale applicata a tutte le transazioni finanziarie di ogni tipologia (con l’esclusione di quelle a più elevato impatto sociale) per creare “fondi strategici settoriali” finalizzati a fornire tutto il supporto finanziario di cui hanno bisogno tutti i settori economici più duramente colpiti dalla crisi epidemica;
un “fondo di rilancio” alimentato da prestiti fatti allo stato da tutte le persone fisiche e giuridiche in grado di parteciparvi, e finalizzato ad attuare tutti gli interventi necessari ad accrescere il potenziale di crescita del paese; si tratterebbe di veri e propri crediti fiscali da riscuotere in un arco di medio termine (tre-cinque anni) da poter iscrivere regolarmente in bilancio (per le persone giuridiche).
Con il secondo articolo citato abbiamo proposto di utilizzare uno strumento che abbiamo chiamato “Certificati Fiscali di Spesa”, da erogare a titolo di puro trasferimento a fondo perduto a tutte le persone fisiche e a tutte le imprese più duramente colpite dalla crisi per intervenire su un nodo nevralgico di cruciale importanza per la nostra economia: la domanda interna. La domanda interna sarà, come detto, molto debole anche con la fine del lockdown per cui è assolutamente necessario ed indifferibile ricorrere a strumenti innovativi per spingere in modo robusto questo fattore di sviluppo senza appesantire il debito pubblico. Tali “certificati” dovrebbero avere un preciso vincolo di spesa settoriale per chi li riceve, in modo tale da dare specifico supporto ai comparti più bisognosi di sostegno (turismo, commercio, trasporti, servizi ecc..) e contribuire a ridare slancio in tal modo allo sviluppo economico.
Queste ed altre misure indicate negli articoli citati sono indispensabili per dare uno shock positivo di credibilità e cambiare radicalmente uno scenario che ci vede sempre in fondo alle classifiche.
Altrimenti con gli interventi sostanzialmente convenzionali a cui stiamo ricorrendo sul piano interno e con gli aiuti (tutti rappresentati da nuovo debito) che stiamo accettando in sede europea potremo nel migliore dei casi fare una sola cosa: alleviare qualche pena e consolidare la nostra posizione di ultimi della classe.
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