Il ricorso al Mes sarebbe un grave errore: ecco le ragioni tecniche
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Il ricorso al Mes sarebbe un grave errore: ecco le ragioni tecniche

Rischiamo un ulteriore indebitamento e di essere percepiti come un Paese vulnerabile da molti investitori privati.

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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

12 Maggio 2020 - 09.07


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Il 18.4 abbiamo pubblicato un articolo dal titolo “Ecco perché il MES non è una buona soluzione per l’Italia”. Adesso che la Commissione Europea ha chiarito definitivamente che l’utilizzo dei finanziamenti avverrà senza altre condizionalità se non quelle legate alla destinazione delle somme al settore sanitario, il dibattito sulla validità dello strumento per il nostro paese anziché attenuarsi è diventato incandescente.

Ritorniamo pertanto in argomento per dare un altro contributo tecnico al dibattito. Innanzitutto cerchiamo di chiarire che cosa è il MES e cosa prevede il suo meccanismo di funzionamento.

Il MES è la sigla del Meccanismo Europeo di Stabilità ed è stato istituito ed approvato dall’Italia nel luglio 2012 (Governo Monti) per sostituire L’EFSF ovvero il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria creato nel 2010 per aiutare i paesi che avevano perso l’accesso ai mercati per finanziarsi, come Grecia, Irlanda e Portogallo. L’EFSF aveva una natura temporanea mentre il MES è stato creato per essere uno strumento permanente per aiutare i paesi in difficoltà finanziaria. Finora hanno chiesto aiuto al MES la Spagna nel 2012 per ricapitalizzare le proprie banche e Cipro per risanare la propria economia. Per ottenere il sostegno del MES è necessario sottoscrivere un MOU (Memorandum of Understanding) che impegna il paese richiedente ad attuare un piano di riforme strutturali molto stringente e a sottoporsi ad un programma di riequilibrio del bilancio statale altrettanto severo.

Il MES è alimentato da risorse versate dai paesi dell’area euro per una parte in denaro e per la parte restante attraverso garanzie. L’ importo in denaro è pari a circa 80 miliardi versati in proporzione della loro quota di pil; per cui la Germania ha versato il 27%, la Francia il 20% e l’Italia il 17% (circa 14 miliardi). Il MES raccoglie il resto delle somme per finanziare gli stati fino a 710 miliardi di euro attraverso emissioni di obbligazioni collocate sui mercati finanziari garantite da tutti gli stati membri dell’euro. Il rating del MES è al massimo livello per effetto del suo elevato grado di capitalizzazione, per cui gode di tassi d’interesse sui bond emessi molto vantaggiosi. La funzione del MES è quella di aiutare gli stati che vengono a perdere l’accesso ai mercati per mancanza di fiducia da parte degli investitori ed evitare in tal modo che questi stati procedano ad una ristrutturazione disordinata del loro debito che avrebbe ripercussioni negative per tutta l’Europa. Si tratta pertanto di un prestatore di fondi di ultima istanza per i paesi che ne fanno ricorso per aiutarli a superare le fasi più acute delle loro difficoltà finanziarie. I prestiti del MES agli stati godono peraltro di uno speciale vantaggio (sono prestiti Senior) che consiste in un rimborso in via prioritaria nel caso di default degli stati finanziati.

Sul sito del MES viene riportato che: ”finora l’ESFS ed il MES hanno erogato 254.5 miliardi di euro a cinque paesi. Hanno contribuito a mantenere insieme l’Euro. Hanno dimostrato che i programmi di riforma finanziaria funzionano, e che i paesi che portano a termine i loro compiti finanziari e strutturali ne emergono più in forma e più predisposti alla crescita economica. Inoltre, questi programmi hanno anche alleggerito l’onere del debito pei i paesi che ricevono i prestiti, stabilendo bassi tassi d’interesse e allungando i periodi di rimborso. Questi strumenti testimoniano la solidarietà tra gli stati dell’Eurozona e sono un esempio di come la crisi abbia reso più unita l’Europa.”

Si tratta di affermazioni solo parzialmente veritiere in quanto omettono di dichiarare che gli interventi dei Fondi Salva Stati (EFSF e MES) hanno avuto finora forme d’attuazione diverse in funzione della situazione di crisi dello stato richiedente, e nei casi più complessi a causa dell’eccesso di debito accumulato (Grecia) questi risultati sono stati ottenuti applicando programmi di risanamento che mirano ad abbassare drasticamente ed in un tempo molto ristretto il fabbisogno finanziario statale e per tale ragione contemplano il passaggio preventivo da un processo di grave deprivazione della popolazione e da profondi ridimensionamenti delle ricchezze complessive che rendono il ritorno a fasi di sviluppo del pil e la formazione di surplus di bilancio del paese sottoposto alla cura, una conseguenza pressochè meccanica. Si tratta pertanto di procedure di risanamento a volte utili ed opportuni come per i casi di Spagna ed Irlanda e a volte estremamente dolorosi in quanto impongono lunghissimi periodi di sofferenze socio-economiche ed una totale assenza di autonomia nella gestione delle politiche economiche e fiscali, prima di ritrovare un accettabile livello di benessere sociale. E’ uno strumento peraltro definito impropriamente di “Solidarietà” verso i paesi più in difficoltà in quanto serve in realtà anche agli stati creditori (tra cui c’è fino ad oggi anche l’Italia) per evitare che essi subiscano danni ingenti dalla dissoluzione dell’euro o da crisi a catena degli stati europei più vulnerabili. Questo strumento ora è stato utilizzato per una quota parte del suo potenziale (240 miliardi su 710) per fornire aiuti agli stati più in difficoltà a seguito della crisi epidemica, solo per scopi di rafforzamento sanitario. Questa vincolo stringente di destinazione, non razionale e poco comprensibile, è stato il frutto di un compromesso tra gli stati del sud Europa che volevano i Corona Bonds, ossia l’emissione di un debito in comune tra i vari stati per finanziare tutte le esigenze legate alla ripresa economica, secondo le esigenze specifiche dei vari paesi e gli stati del nord che si oppongono da sempre a qualsiasi forma di mutualizzazione del debito. Non è quindi certamente uno strumento che risponde alla principale esigenza che si è determinata con la peculiare crisi in atto che è quella di evitare che un evento eccezionale non economico, che sta provocando danni in forma più o meno omogenea in tutti gli stati che hanno scelto di usare una moneta comune e che hanno quindi assunto l’impegno di far convergere le proprie economie verso un tasso di sviluppo e di benessere uniforme , produca danni strutturali permanenti solo in alcuni stati a causa delle differenti capacità di reazione che ognuno di essi è capace di esprimere a fronte di un evento così imprevedibile e traumatico.

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Quali sono le argomentazioni dei fautori e dei detrattori del MES nella versione di aiuto alla crisi epidemica?

I fautori sostengono che non ha senso rinunciare a 36 miliardi di risorse a costi molto bassi e senza particolari condizioni per finanziare la modernizzazione della sanità pubblica. Anche perché queste risorse andrebbero tra l’altro ad attivare nuovi investimenti pubblici che darebbero una buona spinta allo sviluppo economico del paese e quindi al pil. Si tratta pertanto di uno strumento che esprime un apprezzabile livello di solidarietà europea. I detrattori politici dal canto loro sostengono che il MES è un sistema di finanziamento che mette in condizione di subordinazione lo stato che riceve i fondi dalle istituzioni Europee e di conseguenza dagli stati che hanno maggiore influenza al loro interno che coincidono con gli stati finanziatori; quest’ultimi in questo modo acquistano un diritto implicito di condizionare le politiche economiche e fiscali degli stati debitori a prescindere da quanto è scritto nei contratti di finanziamento e ciò fa perdere loro sovranità.

Il confronto, posto in questo modo, appare impostato come una pura contrapposizione tra “europeisti” e “sovranisti”. Una modalità di affrontare il problema non corretto e fuorviante, in quanto riduce a una questione essenzialmente ideologica una tematica molto delicata per le sue rilevantissime implicazioni di carattere strategico, economico e finanziario. Ed è solo sotto questi aspetti che ha un senso logico fare delle attente valutazioni per stabilire se e quanto lo strumento in questione è davvero utile al nostro paese.

Pertanto cerchiamo di fare un’analisi dei costi/benefici del MES sotto i profili citati, focalizzando l’attenzione sugli elementi chiave che lo caratterizzano, precisando che chi scrive è un convinto europeista.

PRIMO ELEMENTO

E’ un dato ineludibile che il ricorso al MES nella versione post-crisi pandemica implica l’assunzione di nuovo indebitamento per il nostro paese, per un importo consistente, di natura pubblica o interstatale a cui il nostro paese non ha fatto mai ricorso dal dopoguerra ad oggi; non è pertanto una donazione ma al contrario farvi ricorso comporta un cambiamento radicale nelle modalità di finanziare i fabbisogni dello stato e cogenti impegni di restituzione delle somme ricevute. Tutte le volte che un soggetto privato di grande dimensione (una impresa di qualunque natura) decide di accrescere il proprio indebitamento conduce una valutazione accurata dei costi/benefici che esso prospetta, soprattutto quando si cambia sistema di finanziamento. Nella fattispecie in esame non consta a nessuno che questa analisi sia stata effettuata; tutti si esprimono in un senso o in un altro sulla base di propri convincimenti teorici e/o guardando a cosa è successo in passato ai paesi che vi hanno fatto ricorso, trascurando che le situazioni non sono affatto standardizzate ma anzi sono tutte molto diverse tra loro. Data la estrema delicatezza del tema e la totale novità della iniziativa in argomento per l’Italia, prima di assumere una decisione definitiva andrebbe pertanto quantomeno commissionato, o presentato dalle nostre istituzioni pubbliche preposte, un lavoro ben strutturato che descriva chiaramente tutti i vantaggi e gli svantaggi dello strumento e metta in evidenza gli impatti sul nostro sistema economico e sul nostro bilancio pubblico che una tale scelta può determinare. Solo dopo questo passaggio si può fare una scelta consapevole di convenienza sotto il profilo anche politico, mentre limitare la valutazione solo ad un problema di tasso di interesse applicato è un approccio quantomeno semplicistico. A riguardo è sintomatico il fatto che la Francia (e non solo) che pure beneficerebbe di un apprezzabile risparmio di costo del finanziamento non prende minimamente in considerazione il ricorso al MES.

Ed appare per queste ragioni sorprendente che nessun esponente politico senta il bisogno di reclamare uno studio di fattibilità ben articolato pima di prendere una posizione netta sulla questione.

Nella speranza che comunque ciò accada, in questa sede non possiamo comunque mancare di fare alcune considerazioni di ordine tecnico. Il nostro paese è al terzo posto nel mondo per livello di debito accumulato e si avvia a consolidare in modo robusto questa posizione; la sua capacità di accrescere ulteriormente il proprio indebitamento è quindi assai limitata; di conseguenza se si decide che, nella situazione data, è necessario/opportuno ricorrere a nuovo debito, un modo serio di decidere se e come seguire questa strada è quello di stabilire se e dove è prioritario indirizzare le risorse, in una logica tipica delle analisi accurate costi/benefici. Elencare in primo luogo quali sono le sfide e le esigenze strategicamente più significative che il paese ha davanti a sé rappresenta in questa ottica un passaggio imprescindibile.

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Proviamo quindi ad elencarle in ordine di importanza:

salvare il tessuto imprenditoriale sano del paese nel suo complesso che era tale prima della crisi o comunque evitare un suo vasto indebolimento; senza questo intervento perderemo quote consistenti di ricchezza, tanti posti di lavoro, entrate per lo stato in forma strutturale e accresceremo i costi sociali;

rilanciare i consumi e gli investimenti privati con robusti stimoli fiscali, in quanto senza interventi di sostegno queste motori dell’economia, quanto mai essenziali in questo momento, sono destinati a rimanere inerzialmente deboli fino al ritorno alla normalità e ad accentuare i problemi di tutto il sistema produttivo;

sostenere adeguatamente i lavoratori che perdono il lavoro e i lavoratori autonomi che perdono il loro reddito fino al recupero dei livelli di pil pre-crisi perché rappresentano un fattore socio-economico molto rilevante, non trascurabile e non secondario; investire in riforme strutturali per accrescere il potenziale di sviluppo del paese; una azione indispensabile se si vuole rendere credibile la sostenibilità del maggior debito creato per sostenere l’economia in questa fase ed allontanare il rischio di sfiducia degli investitori e il conseguente eccessivo appesantimento nella gestione del debito; modernizzare le nostre strutture sanitarie per fronteggiare altre situazioni critiche future. Si tratta nell’insieme di grande priorità ma le prime quattro linee d’intervento hanno un livello di rilevanza esiziale per il nostro futuro; e se vogliamo evitare un grave impoverimento ed arretramento del paese dobbiamo veicolare tutte le risorse a cui abbiamo possibilità di accesso su di esse, in via privilegiata e preminente in senso assoluto. I finanziamenti europei per la sanità peraltro prevedono sulla base dei regolamenti del MES un’assunzione di debito immediata ed un impatto sullo sviluppo del paese diluito nel tempo, essendo correlati alla materializzazione degli investimenti infrastrutturali ospedalieri. Il pil sta collassando ora ed abbiamo bisogno di interventi che ne contengano il fenomeno e che producano effetti positivi di contrasto con la massima celerità.

Tutte le 5 priorità richiedono il ricorso a risorse finanziarie che comportano una crescita del livello di indebitamento.

Dato il livello di indebitamento che avevamo già in essere prima della crisi, abbiamo la capacità di finanziarle tutte in modo sufficientemente adeguato?

La risposta è tautologica: no! Non l’abbiamo!

Di conseguenza il problema non va posto in termini di MES si o MES no ma se è opportuno/conveniente o meno indebitarsi ulteriormente ed in misura rilevante in questo momento per modernizzare il sistema sanitario oppure per dare sostegno alle altre quattro priorità; ed in ogni caso non possiamo non chiederci se è opportuno accrescere il nostro indebitamento in misura così rilevante per la specifica destinazione che ci viene imposta, visto che siamo già su livelli altissimi e che destano non poche preoccupazioni per tutti. E’ fuor di dubbio infatti che ormai siamo già molto vicini alla soglia massima di debito che possiamo assumere (a fine 2020, senza considerare l’utilizzo del MES saremo vicini al 160% nel rapporto debito/pil, un livello mai raggiunto da nessuno stato in Europa nel dopoguerra con esclusione della Grecia) senza travalicare la soglia della insostenibilità. Non può pertanto non apparire chiaro ed evidente che ogni scelta che ne comporta una ulteriore crescita va fatta con grande profondità di analisi ed oculatezza sia in termini assoluti che relativi.

SECONDO ELEMENTO

Il MES è un fondo salva stati finanziato con risorse di tutti i paesi dell’area euro, tuttavia i paesi che vi fanno ricorso sono solo i paesi che si trovano in situazione di seria difficoltà finanziaria; pertanto esso crea due categorie di paesi: i paesi creditori e i paesi debitori. I detrattori politici del MES dicono che in questo modo si crea un sistema di subordinazione dei paesi debitori verso i paesi creditori i quali essendo anche coloro che hanno maggiore influenza nel determinare le politiche europee acquistano un potere implicito di condizionare le politiche economiche e fiscali dei paesi debitori a prescindere da ciò che viene riportato nei contratti di finanziamento specifici.

Ed in effetti questa obiezione non è priva di fondamento essendo evidente che i paesi creditori tenderanno a vigilare attentamente sulla capacità dei paesi debitori di creare le condizioni affinchè i propri crediti vengano rimborsati, e per far sì che ciò accada pretenderanno che i paesi debitori generino avanzi di bilancio sufficienti, che in altre termini significa politiche di austerity di lungo termine; e tale controllo può essere esercitato indirettamente, attraverso le istituzioni europee e cioè mediante l’atteggiamento che esse possono assumere sul rispetto dei patti di stabilità che noi abbiamo sottoscritto e a cui siamo sempre vincolati.

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I prestiti del MES peraltro a differenza dei titoli di stato di lungo termine prevedono delle rate di rimborso annuale. Un aspetto questo estremante rilevante ai fini della validità e dell’effettiva efficacia dello strumento, tenuto conto che chi ricorre a tali prestiti deve mettere in conto che ogni anno deve finanziare il rimborso del prestito con il proprio bilancio e cioè ricorrendo a maggiori entrate (imposte) o minore spese (servizi sociali). Nel caso dell’Italia a fronte di finanziamenti per 36 miliardi occorrerebbe rimborsare una rata di circa 4 miliardi all’anno per 8 anni, visto che come sembra nel piano di rimborso sarà contemplato un periodo di preammortamento di 2 anni. In altri termini l’impulso espansivo iniziale derivante dall’utilizzo del finanziamento verrebbe riassorbito gradualmente per effetto della necessità di trovare risorse per il rimborso, senza sforare i vincoli del deficit di bilancio. Questo impatto restrittivo sulle politiche economiche e fiscali e quindi depressivo sul pil, potrebbe risultare ancora più accentuato se i paesi creditori per assicurare il rimborso del loro credito fossero indotti a richiedere il rispetto più stringente dei patti di rientro dal debito stipulati tra il 2011 ed il 2012 (Six Pack e Fiscal Compact); una ipotesi altamente probabile tenuto anche conto del fatto che per il mantenimento delle nuove strutture ospedaliere create aumenterà la spesa corrente per gestirle. Alla luce di queste oggettive considerazioni risulta evidente che non basta esaminare il costo del finanziamento in termine di tasso d’interesse corrisposto sul debito per poter esprimere una valutazione di favore ma occorre ponderare attentamente tutti gli impatti economici e finanziari che si produrranno sulla nostra economia, sulle nostra finanza pubblica e sulle conseguenze fiscali con l’accettazione dello strumento. Ed in ogni caso il ricorso dovrebbe avvenire solo in casi estremi di necessità irrinunciabile.

TERZO ELEMENTO

Il ricorso al MES nella versione ante pandemia prevede che i paesi che vi fanno ricorso devono sottoporsi ad un preventivo esame della sostenibilità del loro debito. Questo vincolo impone di fatto la necessità del ricorso ad una ristrutturazione del debito di fatto certa, in quanto i paesi che chiedono il ricorso sono solo quelli che perdono l’accesso ai mercati, ossia che non riescono più a finanziare il proprio debito con l’emissione dei propri titoli di stato perché ritenuto ormai insostenibile. Ed il MES nella cui governance dominano i paesi creditori la chiederebbero certamente per fare in modo che i loro prestiti abbiano buone possibilità di essere ripagati. La ristrutturazione comporta effetti pesantissimi per i detentori privati di titoli di stato (cittadini e banche) e conseguenze depressive enormi per l’intera economia del paese e per le ricchezze delle famiglie. Con il ricorso al MES per finanziare la sanità da parte dell’Italia, gli investitori istituzionali privati potrebbero considerare questa scelta senza precedenti nella storia post bellica del nostro paese, una crescita di rischio per i loro investimenti, in quanto oltre a fare le stesse considerazioni da noi esposte nei due punti precedenti, lo considererebbero un pericoloso indizio della propensione ormai acquisita di farvi ricorso in caso di nuove avversità. Pertanto in presenza di un rischio ormai ritenuto alto inizierebbero a vendere massicciamente i titoli di stato italiani. In tal modo la pressione sullo spread accrescerebbe l’onere sul stock di debito in rinnovo e la situazione potrebbe tendere anche a diventare insostenibile rendendo il ricorso al MES per problemi di gestione del debito, e cioè nella versione originaria, inevitabile. Questo rischio non è affatto di scarso peso per un paese già troppo indebitato e va quindi attentamente ponderato dai decision makers e dai policy makers. In definitiva il ricorso al MES per finanziare gli investimenti nella sanità anche se non prevede particolari condizionalità contrattuali, non è una scelta neutrale rispetto alle politiche economiche e fiscali che il nostro paese si troverà ad affrontare in futuro, ma al contrario esso implica: un ulteriore incremento di indebitamento del tutto inopportuno per ragioni di scala delle priorità; un maggiore rischio di essere percepito come un paese ad alta vulnerabilità dagli investitori privati; una presa d’atto che il paese è entrato nel club dei paesi che fanno ricorso a strumenti di finanziamento interstatali che sono normalmente i paesi più deboli ed in difficoltà finanziaria e che comportano vincoli consistenti sulle politiche di sviluppo economico future. Per queste ragioni per un paese del G7, con la seconda industria manifatturiera in Europa e la settima nel mondo, con un livello di ricchezze private tra le più alte a livello globale, il ricorso al MES per assumere nuovo debito non finalizzato ad abbassare la sua vulnerabilità, sarebbe un grave errore strategico. Anzi quasi certamente fatale.

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