Cosa c'è di buono e di cattivo nel 'decreto rilancio'?
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Cosa c'è di buono e di cattivo nel 'decreto rilancio'?

Il decreto ha una potenza di fuoco molto consistente in termini di utilizzo di risorse pubbliche pari a 55 miliardi e ha l'obiettivo di: “gettare le basi per la ripresa economica del nostro paese”.

Conte e Gualtieri
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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

16 Maggio 2020 - 14.40


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Il decreto chiamato ”Rilancio” dal governo ha una potenza di fuoco molto consistente in termini di utilizzo di risorse pubbliche pari a 55 miliardi ed ha un obiettivo dichiarato molto ambizioso: “gettare le basi per la ripresa economica del nostro paese”, così come affermato dal ministro Gualtieri.

Ciononostante, sono partite da varie fonti una serie di critiche piuttosto severe, così formulate:

  • si tratta di una pioggia di cerotti per sanare ferite profonde;
  • è un insieme di toppe messe un po’ di qua e un po’ di là in modo disordinato;
  • sono provvedimenti assistenziali a pioggia a fronte dei quali non c’è alcun progetto di base di rilancio del paese a cui fanno riferimento.

Si tratta di critiche fondate?

Per definire compiutamente e nel modo più oggettivo possibile, su basi macroeconomiche, la validità del decreto governativo è necessario fare in primo luogo una rifocalizzazione sulla diagnosi della situazione creatasi nel nostro paese:

 

  1. l’economia mondiale, e quella di alcuni paesi in particolare, è stata colpita all’improvviso da un violento shock avverso determinato dall’incubo sanitario connesso alla rapida diffusione su base planetaria di un contagio, potenzialmente molto insidioso verso il quale non esistono al momento farmaci efficaci di contrasto; in tale contesto l’economia italiana, molto dipendente dai rapporti di interscambio con gli altri paesi del mondo, risulta traumatizzata dall’interruzione improvvisa di tali rapporti, e tale ferita appare profonda perché tocca  pesantemente alcuni punti nevralgici, si ripercuote su base psicologica anche sull’economia interna, risulta imprevedibile nei tempi  di superamento pieno e apre seri rischi di tenuta del sistema;
  2. lo stato italiano prima della crisi aveva un rapporto debito/pil del 135%; un livello molto elevato essendo più alto della media europea del 50% ca , distante dai paesi più virtuosi di 70/80 punti percentuali, e che lo poneva inoltre al terzo posto nel ranking mondiale dei paesi più indebitati; a seguito della crisi in atto, con la caduta del pil prevista a fine anno  2020 di almeno 150 miliardi, il rapporto è destinato in modo inerziale ad attestarsi intorno al 155%; a questo livello finora tutti i paesi al mondo (escluso il Giappone) sono stati costretti al default; l’’Europa tuttavia ha adottato alcuni provvedimenti utili a fronteggiare in modo positivo la situazione, ed ha sospeso tra l’altro temporaneamente alcuni vincoli di bilancio per consentire a tutti i paesi di mettere in campo azioni di contrasto adeguate alla caduta del pil ; in un tale contesto è divenuto possibile accrescere ulteriormente il nostro indebitamento per sostenere le famiglie e le imprese in difficoltà, ma abbiamo spazi comunque ristretti rispetto alla dimensione dei fenomeni da gestire;
  3. siamo entrati, in una economia di emergenza in cui il mondo delle persone e delle imprese, per motivi del tutto esogeni a fatti di natura economica, si è di fatto spaccato in due categorie: cittadini ed imprese che non subiscono alcun danno sostanziale dalla pandemia perché collocati in aree o settori “protetti” e cittadini ed imprese che subiscono danni rilevantissimi o devastanti;
  4. gli aiuti giunti dall’Europa sono molto positivi e consistenti su alcuni punti (QE rafforzato della BCE, revisione delle norme sugli aiuti di stato, revisione di alcune regole sulla vigilanza bancaria, rimozione temporanea dei vincoli di bilancio), mentre non lo sono su altri ( MES e Recovery Fund, nella configurazione in cui quest’ultimo si va prefigurando; vedi nostri artt. “ Ecco perché il MES non è una buona soluzione per l’Italia” del 18.4 , “Il fondo di ripresa europeo è risolutivo per l’Italia? Otto punti per una risposta” del 26.4));
  5. invocare soluzioni tipo “helicopter money” , “anno bianco per le tasse”, “ riduzioni generalizzate delle imposte”, “contributi a fondo perduto per tutto e per tutti”, è un esercizio sterile ed appartiene al mondo delle pure fantasie e delle illusioni;
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La situazione è quindi chiarissima, l’Italia è un paese:

con pesanti patologie pregresse, colpito per primo in Europa da una gravissima e particolarissima crisi sanitaria, con una riserva limitata di risorse pubbliche da mettere in campo per tentare il rilancio in rapporto alle esigenze, con un livello di vulnerabilità finanziaria giunto ai limiti della sostenibilità e con una necessità ineludibile ed indifferibile di sottoporsi ad una terapia intensiva di risanamento, di ammodernamento e di rilancio;

che ha un estremo bisogno di adottare nell’immediato un regime di “economia di emergenza e di solidarietà” per affrontare il pesante stato di devastazione dell’economia provocato dalla crisi;

che si trova di fronte alla sua ultima chance di salvezza e pertanto deve utilizzare le ultime riserve terapeutiche a sua disposizione (debito) in modo infallibile.

A tal fine c’è un solo programma di interventi che si può mettere in campo per ritrovare una strada di sano recupero, ed è quello che risulta imperniato su tre assi principali strategici di azione:

  • sostenere il sistema produttivo (imprese e lavoratori) tendendo a salvaguardarlo nel suo complesso, mobilitando tutte le risorse necessarie, pubbliche e private;
  • produrre una imponente combinazione di interventi finalizzati a far decollare la domanda interna (consumi ed investimenti privati e investimenti infrastrutturali pubblici);
  • agire parallelamente con il massimo senso di urgenza per mettere in sicurezza il paese a seguito della crescita cospicua della sua vulnerabilità dovuta alla crescita esponenziale del debito, pianificando ed attuando un piano di riforme realmente incisive, finalizzato ad accrescere in forma tangibile il potenziale di sviluppo.

Il primo obiettivo costituisce una priorità assoluta, in quanto il nostro sistema produttivo è un patrimonio di grande eccellenza e la sua salvaguardia è il modo per preservare la capacità di produrre ricchezza nel tempo del paese.

Il secondo obiettivo è di cruciale importanza poiché, in un contesto dove l’export ed il turismo sono settori destinati a soffrire a lungo, in modo sostanzialmente incontrastabile a causa di una pandemia presente in tutti i paesi del mondo in forme differenziate, per cercare di non perdere eccessive quote di pil rimane una sola strada: fare tutto il possibile per dare una spinta poderosa a consumi ed investimenti privati e pubblici di origine interna.

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Il terzo obiettivo è altrettanto preminente in quanto fondamentale per mantenere la fiducia degli investitori e scongiurare il pericolo di andare sotto stress nella gestione del debito pubblico.

Il governo finora ha agito mettendo in campo risorse ingenti con il decreto “Cura Italia” e con il decreto “liquidità”.

Tuttavia, come tutti abbiamo constatato, alle buone intenzioni non hanno corrisposto le buone azioni rispondenti al senso dell’urgenza che il momento richiede, poiché entrambi gli interventi hanno denotato scarsissima efficacia nell’applicazione pratica, come avevamo purtroppo preannunciato (vedi nostri artt. “Perché il decreto “Cura Italia” non è una cura risolutiva” del 19.3 ed “Il decreto sulla liquidità delle imprese: un bazooka o un colpo di mortaio? del 9.4).

Il decreto “Rilancio” contiene una serie consistente di grandi e piccoli interventi che possono essere singolarmente ricondotti alle tre linee di azione che abbiamo indicato.

Sulla prima linea le misure appaiono connotate da uno sforzo apprezzabile sotto il profilo quantitativo (circa 25 miliardi) ma non sufficiente rispetto alle esigenze che stanno emergendo.

Sulla seconda linea le misure appaiono del tutto inadeguate sia sotto l’aspetto volumetrico (circa 10mld riconducibili a questa linea d’azione) che quello della incisività (interventi molto frammentati e disarticolati tra loro).

Sulla terza linea le misure sono solo abbozzate e sembrano mancare totalmente di spessore e di visione strategica.

Il decreto è quindi carente su alcuni fronti cruciali che la peculiarità della situazione richiede:

  • non mobilita affatto le risorse private per rilanciare l’economia per compensare lo spazio di manovra limitato sul versante della attivazione delle risorse pubbliche;
  • non prende in considerazione per niente la necessità di attivare iniziative robuste e strutturali di “economia della solidarietà” tra le categorie di famiglie ed imprese citate in precedenza; un passaggio dovuto, inevitabile e vantaggioso per tutta la collettività, vista la tipologia della crisi;
  • trascura fondamentalmente la necessità di investire in modo incisivo sul potenziale di sviluppo del paese per allontanare la sfiducia, incombente ed assai insidiosa, sulla nostra capacità di procedere in direzione di un risanamento stabile in modo credibile e di decisa discontinuità con il passato.

Sul piano pratico il governo avrebbe dovuto declinare la propria strategia di risanamento e rilancio con tempestività in un unico progetto di riferimento, offrendo subito la percezione di saper padroneggiare bene la situazione, pur nella sua enorme difficoltà, e seguendo il percorso tracciato in forma organica e strutturata avrebbe  quindi dovuto puntare su iniziative più incisive quali per esempio:

creare un “Fondo Strategico di ricapitalizzazione” delle imprese alimentato non solo da fondi pubblici ma dalla partecipazione di tutti i soggetti privati in grado di contribuire; al fine di dotarlo di una potenza di fuoco davvero efficace nel sostegno al settore imprenditoriale;

creazione di una “Cassa per l’emergenza Italia” a cui affidare la gestione di “fondi strategici settoriali” finalizzata a dare sostegno finanziario in forma collaterale ed integrativa rispetto al normale circuito bancario, mediante sistemi d’intervento diversi;

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creare per i soggetti economici effettivamente colpiti in modo più duro dalla crisi delle “categorie protette” a cui riservare regimi fiscali agevolati per tutto il periodo necessario al ritorno alla normalità negoziati con l’agenzia delle entrate sulla base di criteri prestabiliti;

creare un “Fondo di Solidarietà” alimentato con il prelievo di una commissione su tutte le transazioni finanziarie di pagamento (con esclusione di quelle relative a operazioni con fasce deboli della popolazione) per ottenere fonti di finanziamento destinate a sostenere gli altri provvedimenti;

rilanciare il mercato dell’edilizia  nella forma più ampia possibile, attraverso piani di riqualificazione e ristrutturazione urbana di rapida realizzazione e prevedendo consistenti incentivi fiscali;

avviare un piano di realizzazione di investimenti pubblici molto robusto, adottando per un periodo di almeno tre anni procedure semplificate nella concessione degli appalti pubblici;

introdurre meccanismi fiscali per privati ed imprese finalizzati ad incentivare in modo davvero incisivo lo sviluppo dei consumi ed investimenti (bonus fiscali trasferibili concessi a famiglie ed imprese, agevolazioni fiscali progressive della serie più spendi più risparmi ecc.. vedi nostro articolo ”Si può attivare  un intervento di helicopter money in Italia? Una proposta alternativa per realizzarlo” 3.5);

eliminare tutte le misure più restrittive in tema di concessione dei prestiti da parte delle banche;

incentivare la crescita dei prestiti bancari favorendo le banche le banche che dimostrano di avere un approccio anticiclico e penalizzando le altre;

pianificare ed investire con decisione su riforme strutturali quali:

uno smantellamento massiccio della burocrazia;

una modernizzazione ed un efficientamento della giustizia civile e penale;

la introduzione di nuove forme di lotta alla evasione fiscale;

una profonda semplificazione fiscale;

un riorientamento di tutta la pubblica amministrazione al servizio dello sviluppo produttivo mediante incentivazioni finalizzate a realizzare tale scopo;

istituire un “Fondo di Rilancio dell’economia” alimentato da un contributo da porre a carico di tutte le attività economiche e delle persone fisiche che registrano situazioni di sostanziale prosperità economica; tale contributo deve assumere la forma di un prestito allo stato da rimborsare a decorrere dal terzo anno attraverso la concessione di benefici fiscali di vario genere; deve trattarsi di un vero e proprio credito iscrivibile nei bilanci delle imprese.

Il decreto “rilancio” non contiene tutto questo, non segue affatto una logica di politica economica appropriata alla gravità della situazione e non è in grado di gettare le basi per mettere il paese su un percorso virtuoso di risanamento e di recupero.

Dovrebbe essere pertanto opportunamente riformato ed adeguatamente integrato, anche perché rappresenta di fatto l’ultimo passaggio rilevante che ci possiamo permettere per fronteggiare la situazione in atto.

In caso contrario il destino che si presenterà tra non molto sarà ineluttabile: un lungo periodo di politiche di austerity, di impoverimento generalizzato e di grandi sacrifici per tutti.

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