Più Sanità e Istruzione, meno armamenti. Una “battaglia” di civiltà al tempo del coronavirus. Una “battaglia” che unisce idealità e concretezza. A condurla sono la Campagna Sbilanciamoci!e Rete Italiana Pace e Disarmo.
Secondo i dettagli della Legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento nel 2021 l’Italia – rimarcano in un comunicato congiunto le due organizzazioni – spenderà oltre 6 miliardi di euro per acquisire nuovi sistemi d’armamento: cacciabombardieri, fregate e cacciatorpedinieri, carri armati e blindo, missili e sommergibili. Una cifra complessiva che è in forte aumento rispetto agli ultimi anni, e che deriva dalla somma di fondi diretti del Ministero della Difesa e di quelli messi a disposizione dal Ministero per lo Sviluppo Economico.
Per la Campagna Sbilanciamoci! e la Rete Italiana Pace e Disarmo si tratta di una scelta inaccettabile. “Mentre siamo impegnati a trovare risorse per la Sanità e l’Istruzione pubblica ci troviamo a sprecare 6 miliardi di euro per prepararci alla guerra – sottolinea Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! – ma la sfida realmente importante oggi è un’altra: quella alla pandemia, quella affrontata quotidianamente negli ospedali che non hanno abbastanza posti di terapia intensiva o medici ed infermieri a sufficienza. Quella per un’istruzione di qualità per tutti, mentre invece più di 10.000 scuole hanno strutture che cadono a pezzi e non rispettano le normative di sicurezza”.
Sei miliardi da spendere bene
Le due organizzazioni della società civile italiana sottolineano ancora una volta, come già fatto durante la prima fase della pandemia, che negli ultimi anni le spese militari sono andate aumentando mentre la Sanità pubblica è stata definanziata e le risorse per l’Istruzione pubblica sono ad un livello più basso della media europea.
“Purtroppo – sottolineano ancora nel comunicato – questa tendenza sembra essere confermata anche per il 2021, se il Parlamento non deciderà di modificare la proposta di budget avanzata dal Governo.
Nel 2021 il solo bilancio del Ministero della Difesa prevederebbe infatti al momento un aumento di 1,6 miliardi (quasi tutti per spese investimento) arrivando ad un totale di 24,5 miliardi di euro. Se non è poi facile valutare con precisione la spesa complessiva di natura prettamente militare (ai fondi della Difesa vanno aggiunti quelli di altri dicasteri mentre vanno sottratte le funzioni non militari) è invece più semplice delineare il quadro delle risorse destinate all’acquisto di nuove armi: analizzando i capitoli specificamente legati all’investimento troviamo poco oltre i 4 miliardi di euro allocati sul Bilancio del Ministero della Difesa e circa 2,8 miliardi in quello del Ministero per lo Sviluppo Economico, a cui vanno aggiunti i 185 milioni per interessi sui mutui accesi dallo Stato per conferire in anticipo alle aziende le cifre stanziate per specifici progetti d’arma pluriennale. Ciò porterebbe dunque ad un totale di ben 6,9 miliardi che probabilmente è una sovrastima (nei Documenti Pluriennali di programmazione il Ministero della Difesa esplicita la cifra di 5,9 miliardi) ma che ci consente di confermare la nostra valutazione di 6 miliardi spesi nel 2021 per nuove armi. Risorse che peraltro vengono decise e destinate in un quadro di opacità e mancanza di trasparenza: nei documenti del DDL di Bilancio non vengono infatti fornite informazioni di dettaglio sui sistemi d’arma acquisiti, esplicitate dalla Difesa solo a mesi di distanza. Si chiede dunque ai Parlamentari di votare al buio.
Per questo Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo avanzano a tutte le forze politiche la proposta di una moratoria per il 2021 su tutte le spese di investimento in armamenti: 6 miliardi da destinare alla Sanità e all’Istruzione in un momento di emergenza ed estrema necessità come quello che stiamo vivendo. E’ questa la scelta di cura di cui oggi ha bisogno realmente l’Italia, e di cui hanno bisogno soprattutto i cittadini che stanno drammaticamente soffrendo questa crisi. Da oggi dunque parte una nuova mobilitazione, con iniziative online e materiali informativi, che punterà a far crescere la pressione dell’opinione pubblica sulle forze politiche”.
“L’analisi che abbiamo potuto realizzare preoccupa e pone ancora una volta il quesito sulle priorità della spesa pubblica nel nostro Paese – evidenzia Sergio Bassoli a nome della Rete Italiana Pace e Disarmo – Mai come in questo momento tutti siamo chiamati a fare sacrifici ed agire in modo responsabile e solidale per contrastare il contagio ed uscire al più presto dalla pandemia con meno danni umani, sociali ed economici possibili e consapevoli che il debito pubblico peserà come un macigno negli anni a venire. La moratoria di un anno per sospendere l’acquisto di nuovi sistemi di arma è un atto dovuto all’Italia, a chi lotta quotidianamente per salvare le vite, a chi ha perso il reddito e forse domani il lavoro, a chi è costretto a chiudere la propria attività. Ogni euro speso deve rispondere alla coscienza del Paese. Chiediamo al Governo e al Parlamento di essere anche loro pienamente responsabili e sospendere queste spese oggi insostenibili”.
Cosa ci difende meglio oggi dalla pandemia? Un nuovo cacciabombardiere o 500 posti di terapia intensiva in più e 5mila infermieri e dottori che potrebbero essere assunti per tre anni con gli stessi soldi? Per noi è chiaro: più Sanità ed Istruzione, meno armamenti!
Sempre più armi ai regimi autoritari
“Oltre ai volumi di traffico, negli ultimi anni sono cambiate anche le destinazioni – rannota Sonia Lonzi in un dettagliato report per Sbilanciamoci – Le nostre armi sono dirette sempre più verso Paesi coinvolti in conflitti o regimi autoritari. Il 63% delle autorizzazioni italiane 2019 riguardano Paesi fuori dall’Alleanza atlantica e dall’Unione europea. L’anno prima questa quota era addirittura il 73%. Greenpeace ha visualizzato questo sbilanciamento verso le aree “calde” del mondo con una mappa interattiva, che mette in correlazione le autorizzazioni all’esportazione (e le consegne definitive) italiane con il Normandy Index: un indice del Parlamento europeo che misura la minaccia alla pace considerando non solo fattori tradizionali come i conflitti armati e il terrorismo, ma anche criteri nuovi, come l’insicurezza energetica e il cambiamento climatico.
Sono molti gli importatori di armi tricolore ad alto rischio, a cominciare dai due principali clienti del 2019: Egitto (commesse per 872 milioni di euro) e Turkmenistan (446 milioni di euro). Nella lista dei clienti italiani compaiono anche Arabia Saudita, Turchia, Thailandia, Marocco, Israele, India, Nigeria e Pakistan. Tutti con un Normandy Index sotto la media mondiale, e finiti spesso nel mirino delle ONG a tutela dei diritti umani.
La mappa di Greenpeace mette a confronto anche il budget militare dei Paesi che importano le nostre armi con la spesa pubblica sanitaria. Il risultato è una correlazione stretta tra le nazioni che minacciano maggiormente la pace e quelle che gonfiano il budget per la difesa a scapito della salute collettiva: i Paesi che investono di più nelle attività militari che nella cura della popolazione si concentrano infatti nelle zone di maggior tensione, come Medio Oriente, Nord Africa e Asia meridionale. E a tutti l’Italia vende armi. Spesso aggirando la legge 185, che vieta l’esportazione verso ‘Paesi in stato di conflitto armato’ o responsabili di ‘gravi’ violazioni dei diritti umani”.
Largo all’Egitto!
Nel quadro dei rapporti stretti tra il Made in Italy militare italiano, Medio Oriente e Nord Africa, sta emergendo l’Egitto, Paese chiave della regione, che sale nella classifica del 2019. L’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, e dei servizi implicati nelle torture e nell’assassinio di Giulio Regeni, oltre che della scomparsa di oltre 34mila persone detenute nelle carceri egiziane, ha avuto il maggior numero di licenze (871,7 milioni per 32 elicotteri). Al secondo posto si trova il Paese più antidemocratico dell’Asia centrale, il Turkmenistan, con licenze per 446 milioni. Ma nella top-10 dei clienti di armi italiane nel 2019 c’è anche l’Algeria, Paese gestito da militari.
La recente autorizzazione del governo a vendere all’Egitto due navi da guerra è, perciò, nella scia di un rapporto consolidato. Si tratta di fregate multiruolo Fremm (fregate europee multi-missione), lunghe quasi 150 metri, dotate di sistemi missilistici antiaerei e sistemi lanciarazzi, oltre a numerose altre dotazioni.
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa, ha spiegato a Rainews 24 che “l’esportazione all’Egitto delle due fregate, originariamente destinate alla Marina militare italiana è, secondo diverse e autorevoli fonti di stampa nazionale ed estera, solo una parte di un più ampio affare militare in trattativa tra Roma e il Cairo». Si tratterebbe di un contratto tra i 9 e gli 11 miliardi che include altre quattro fregate missilistiche, 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon, 24 aerei addestratori M-346, nonché un satellite di osservazione. Se le notizie fossero confermate sarebbe un affare con pochi precedenti.
L’opposizione a questo affare si è levata, più che in ambienti politici, nella società civile. La famiglia Regeni si è sentita un’altra volta tradita. Ma i problemi che pone l’Egitto non si limitano alla mancata collaborazione nel fare giustizia per l’omicidio brutale di un ricercatore, cittadino italiano.
Altre questioni sul tappeto riguardano i diritti umani, il trattato sulle armi, la guerra in Yemen, la Libia.
Di tutto ciò sono a conoscenza Palazzo Chigi, la Farnesina, il Ministero dell’Economia e Finanza, quello alla Difesa. Così come il Parlamento. Nessuno può dire: “Non sapevo”.