Alessandro Arrighi: "Nell'economia della mediocrazia contano soltanto i like"
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Alessandro Arrighi: "Nell'economia della mediocrazia contano soltanto i like"

L'intervista di Antonello Sette ad Alessandro Arrighi, autore del libro "L'antidoto all'economia della mediocrazia" edito da Male Edizioni

Il libro di Alessandro Arrighi
Il libro di Alessandro Arrighi
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17 Dicembre 2020 - 17.07


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di Antonello Sette 

Arrighi, come nasce “L’antidoto all’economia della mediocrazia”, un libro, che mi ha appassionato, lo voglio dire subito, dalla prima all’ultima pagina?
Il primo passo è stato l’incontro con una editrice competente, coraggiosa e fuori dal coro, come Monica Macchioni – rivela Alessandro Arrighi rispondendo all’Agenzia SprayNews – Le ho spiegato che avrei voluto trasmettere un messaggio sui nuovi orizzonti di un sistema, che ha sostituito l’economia politica con quella aziendale, cercando di capire e approfondire quali siano le nuove strategie del consenso, applicate a qualsiasi prodotto, compreso quello politico. Nuovi e “rivoluzionari” sistemi di consenso, creati sulla spinta della nuova “scienza”. Pensiamo, per fare un esempio, a Chiara Ferragni, che è un prodotto di se stessa, con un valore altissimo, molto più riconoscibile, rispetto ai marchi, che rappresenta. Il prototipo del consenso basato su una persona, che non è un prodotto, non è un sistema politico, non è niente di quello che poteva esistere in un’economia di solo vent’anni fa. Un prodotto, che esiste solo perché tu lo spingi. Lo abbiamo visto con i partiti. Un tempo c’erano la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e quello Socialista, oggi ci sono Salvini, Meloni, Berlusconi e Renzi.
È giusto dire che il suo libro, edito dalla Male Edizioni, è un tentativo di risposta alla crisi intellettuale e al decadimento dei valori. che rischiano di travolgere la società?
È giustissimo. Il valore tradizionale, quello che ci lega a profondi convincimenti dell’anima, è stato banalmente sostituito dai like su Internet. Non interessa più corrispondere a valori, che si sono sedimentati nella storia, dentro l’uno. L’unico strumento di produzione del valore è la riconoscibilità dalla società telematica. Questo comporta delle implicazioni economiche devastanti, perché un tempo la credibilità, che uno acquisiva sul mercato, era una credibilità consolidata, costruita nel tempo. Oggi, invece, si può raggiungere una credibilità molto importante, che, può essere, poi, distrutta in un attimo, solo perché qualcun altro ha fatto un salto triplo nella tecnologia e i tuoi prodotti, a quel punto, non li vuole più neppure vedere nessuno.
Nel suo libro parla del rischio dell’ignoranza. Che cosa rischiamo?
Rischiamo di non capire più il perché succedono le cose. È la differenza fra un ingegnere e un meccanico. Il meccanico può anche sapere che, girando quel bullone, il carburatore funzionerà meglio, ma, non sapendo il perché, tutte le volte che si sovrappone un cambio di tecnologia, non può capire quello che è successo e regolarsi di conseguenza. Noi abbiamo perso l’abitudine a verificare che cosa sta dietro il fenomeno. Considerando solo quello che accade nell’immediato, non si è, ovviamente, più in grado di produrre valore destinato a durare nel tempo. Pensi ai consensi elettorali al tempo della Democrazia Cristina. Erano stabili negli anni. Oggi si schizza da un dato a un altro, ad ogni sondaggio. Tutto può cambiare, anche nel tempo effimero di una settimana.
Che cosa ci attende in futuro? Una nuova economia ridisegnata su nuovi valori? O la crisi è irreversibile?
La crisi è irreversibile. L’Europa è debolissima sul mercato globale. Il vecchio continente è veramente vecchio. Non ha più la capacità di andare al fondo del fenomeno e questo comporta una grande debolezza previsionale e progettuale, al punto che, ormai, arriva sempre dopo gli altri. Non siamo competitivi sul piano intellettuale e, conseguentemente, su quello operativo. Se non so quello che faccio e dove va il sistema, taglierò il traguardo, quando hanno già tolto lo striscione.
Da dove può partire una possibile rinascita? Crede nella ribellione delle generazioni futura a una decadenza, che al momento galoppa, senza freni e senza ostacoli?
Quello, che accadrà a lungo termine, non lo possiamo sapere. Nel breve periodo sono pessimista. La mediocrazia è la cultura dominante. L’unico vero antidoto alla decadenza e alla totale perdita di competitività sarebbe investire in conoscenza. Ma nessuno lo fa. Nessuno ci pensa. Neppure le università, asservite, come sono, all’idea di dover produrre risultati nell’immediato, che sia condivisibili sulla rete. La condivisibilità sulla rete è diventato un dogma, se possibile, ancora più sacro nell’epoca del Covid e dei lockdown. Nella nostra economia, non esistono più relazioni umane, ma solo like, e per l’appunto, condivisioni effimere. Ed è per questo che il sistema orientale soppianterà totalmente il nostro. Quando ero ragazzino, i cinesi lavavano i vetri delle nostre automobili. Il mio timore è che, in un futuro non troppo lontano, saranno i nostri figli a lavare i vetri delle automobili cinesi.

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