Nel 2020 l'Italia piegata dal Covid: chiusi 22mila pubblici esercizi
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Nel 2020 l'Italia piegata dal Covid: chiusi 22mila pubblici esercizi

È quanto emerso dal Rapporto Ristorazione 2020 di Fipe-Confcommercio: i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro. Il Paese ha perso inoltre 243mila lavoratori a tempo indeterminato

Ristoranti in Svizzera
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18 Maggio 2021 - 12.24


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Lo scorso anno l’Italia è stata messa in ginocchio dalla pandemia ed ha subito danni economici molto importati.
Dal Rapporto Ristorazione 2020 di Fipe-Confcommercio è emerso che nel 2020 sono oltre 22mila i pubblici esercizi, bar e ristoranti, che hanno chiuso a fronte delle 9.190 che hanno aperto, un saldo negativo di oltre 13mila imprese.
Costretti a casa dai lockdown, gli italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno.
Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro.
Un dato che certifica come gli italiani abbiano speso meno soprattutto per prodotti agroalimentari di qualità superiore (vino, olio, piatti elaborati), comunemente consumati in maniera maggiore all’interno dei ristoranti. In termini si spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994, emerge ancora dal Rapporto.
Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi.
Se a luglio 2020, periodo nel quale i locali sono tornati a lavorare a buoni ritmi, la colazione rappresentava il 28% delle occasioni di consumo complessive, a febbraio 2021 la percentuale è salita al 33%.
L’esatto contrario di quanto accaduto con le cene, passate dal 19% a meno dell’11%. A conti fatti, a febbraio di quest’anno colazioni, pranzi e pause di metà mattina hanno costituito l’87% delle occasioni di consumo fuori casa. Mentre è completamente scomparsa l’attività serale.
Lo scorso anno “abbiamo perso 243mila lavoratori a tempo indeterminato, in larga parte giovani e donne malgrado il blocco dei licenziamenti”, fa presente il vicepresidente di Fipe Luciano Sbraga che sottolinea: “Molti di loro si sono dimessi per trovare un altro lavoro. Non potevano vivere con la cassa integrazione, spesso pagata in ritardo”. Nel mirino del vicepresidente di Fipe finiscono anche i ristori: “Il 23,7% delle imprese non li ha avuti, perché i meccanismi burocratici le hanno tagliate fuori. Codici Ateco, chiusure e altri impedimenti le hanno rese le esodate dei ristori”.
Quanto al 2021 si apre in modo complicato per i pubblici esercizi. A metà marzo, prima della nuova zona rossa imposta a seguito della terza ondata, oltre il 75% delle imprese risultava parzialmente aperto, il 22% era chiuso pur prevedendo di riaprire ‘un giorno’, il 2% non riaprirà mai più e si andrà ad aggiungere ai bar e ai ristoranti che hanno già chiuso.
Nel primo trimestre 2021 è crollatto l’indice di fiducia sul futuro per gli imprenditori della ristorazione rispetto allo stesso periodo del 2020: -68,3%. Oggi l’84,3% degli imprenditori scommette su una ripresa del settore, subordinata però alla fine dell’emergenza.
Secondo gli intervistati da Fipe-Confcommercio, il 2021 sarà ancora un anno di fatturati in calo, mediamente del 20%. Il 66% dei responsabili di grandi aziende della filiera (industria, distribuzione e ristorazione) prevede una ripresa non prima del 2022-2023, mentre il 27% pensa che solo nel 2024 ci sarà una vera inversione del trend.
Il dato ancor più preoccupante è l’incertezza che i titolari manifestano verso il futuro. Il 33,4% delle imprese non ha idea di cosa potrà riservare loro il 2021.
Un altro terzo delle imprese ritiene che certamente nel 2021 andranno incontro ad una ulteriore riduzione dei ricavi, il 2%, in linea con la prospettiva di non riaprire, dichiara che nel 2021 non sarà conseguito fatturato.

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