L’economia classica ha da sempre imputato i movimenti dei prezzi sui mercati finanziari non giustificabili dai dati fondamentali (ovvero quelli desumibili dai bilanci delle società quotate) ad un generico “rumore” non quantificabile né tantomeno prevedibile nel tempo.
Di recente, una branca dell’economia nata in realtà nella seconda metà del XVIII secolo, nota con il nome di “Economia comportamentale” ha guadagnato popolarità grazie all’interessante unione tra gli strumenti della scuola economica classica e una serie di teorie appartenenti al mondo della psicologia. L’economia diventa una sorta di “psicologia dei gruppi sociali”. Tra l’altro a partire dall’inizio del XXI secolo il numero di economisti comportamentali che hanno ricevuto premi Nobel è decisamente aumentato, dando finalmente il giusto riconoscimento a questa realtà, inizialmente costretta a limitare la propria esistenza ai margini delle teorie economiche più tradizionali.
Secondo AbileTrader.com, ogni trader dovrebbe essere al corrente del ruolo della psicologia sui mercati finanziari, al fine di evitare l’apertura di posizioni sul mercato con un rischio ben maggiore di quello inizialmente pronosticato.
Come nasce l’economia comportamentale
Sorprendentemente, la prima considerazione circa il forte ruolo della psicologia nelle scelte economiche di un individuo nasce già con Adam Smith nel suo trattato “Teoria dei sentimenti morali”, con la famosa affermazione dell’economista che attribuiva le scelte economiche di un individuo al puro interesse personale.
Con il passare degli anni, il numero di economisti che trattava, in maniera più o meno superficiale, il tema della psicologia di mercato, aumentò costantemente. Negli anni successivi a Smith nacque il concetto di homo economicus, ovvero un individuo ipotetico creato dagli studiosi per creare modelli economici, con una fondamentale ipotesi dalla quale nessuno all’epoca poteva trascendere: sebbene il ruolo della psicologia fosse sostanzialmente noto a tutti nella sfera economica, l’homo economicus era fondamentalmente un individuo razionale.
È solo nel XX-XXI secolo che prende piede nel mondo accademico la possibilità che assumere perfetta razionalità per tutti gli individui possa essere un errore. Nel 1996 Alan Greenspan, l’allora presidente della banca centrale americana – la Federal Reserve – espose chiaramente il problema della difficoltà nel redigere una politica monetaria adeguata ad un contesto economico non razionale:
“Ma come è possibile riconoscere quando l’esuberanza irrazionale ha erroneamente portato a lievitare i prezzi degli asset finanziari, con successivi crolli improvvisi e protratti nel tempo […]? Come inserire questo tipo di valutazioni all’interno della politica monetaria?”
L’espressione “esuberanza irrazionale” prese piede rapidamente nel mondo economico, e, ironicamente, l’inizio della bolla speculativa dei titoli legati al mondo di internet (nota alla Storia come “bolla dot-com”) iniziò a comparire pochi mesi dopo la dichiarazione di Greenspan sul tema.
Quando l’irrazionalità genera drammi economici: le bolle speculative
Il miglior esempio che viene utile per spiegare l’importanza della psicologia sui mercati finanziari è, senza ombra di dubbio, il caso delle bolle speculative. Per bolla speculativa si intende una situazione nella quale il prezzo attribuito dal mercato ad un particolare asset risulta essere particolarmente inconsistente con i valori attuali del sottostante di quell’asset e/o sulle sue previsioni future.
La prima bolla speculativa tracciata nei libri di Storia fu quella dei tulipani nei Paesi Bassi avvenuta nel XVII secolo. Esistono libri sul tema ma, per semplificare, il prezzo dei bulbi di tulipano in fiorini aumentò in maniera inverosimile nel giro di pochi mesi, con una crescita record registrata vicina al 2000%. Dietro a questa rapidissima crescita c’era la folle speculazione di mercanti – o, se preferiamo usare un termine più moderno, di trader – che, senza talvolta nemmeno aver mai visto un bulbo di tulipano, ne aumentavano costantemente la valutazione, un po’ come avviene oggi con i contratti futures sulle materie prime.
Dalla bolla dei tulipani olandesi a quella dei mutui sub-prime del 2008 è trascorso molto tempo, ma il concetto rimane, inesorabilmente, lo stesso: ogni pesante scostamento dei prezzi generato da eccessi speculativi è condannato a non durare nel tempo, con il rischio di generare perdite ingenti nei trader che hanno deciso di provare a cavalcare l’onda dell’euforia.
Come misurare l’irrazionalità sui mercati? Distinguere un toro da un orso
Capire l’importanza della psicologia sui mercati è un conto, ma misurarne l’esatto effetto è davvero complesso. A tal fine è stato creato il concetto di sentiment, ovvero una sintesi dell’espressione dei sentimenti dei trader verso il futuro andamento dei mercati finanziari.
Per misurare il sentiment esistono oramai una miriade di tecniche differenti, è possibile ad esempio studiare l’andamento nel tempo del rapporto tra prezzo di un’azione e utili a bilancio. A tal fine viene spesso citato lo Shiller Index, creato dall’omonimo premio Nobel per l’economia (autore, tra l’altro, del best-seller “Esuberanza Irrazionale”, tornando sul tema di Greenspan), che studia appunto l’evoluzione del rapporto P/E (Price to Earnings, in inglese) nel mercato azionario statunitense. Sebbene ad oggi non sia perfettamente chiaro quale sia il livello di P/E oltre al quale nasce una bolla speculativa, questo strumento è considerato essere un importante indicatore di “salute” dei mercati.
C’è poi l’interessante categoria degli indici di volatilità, che cercano di quantificare quanto il prezzo di un titolo sia volatile al ribasso. In questo gruppo troviamo il famoso CBOE Volatility Index (noto più semplicemente come VIX), che, tramite lo studio dei derivati sull’indice azionario S&P 500, va a tracciare un vero e proprio “indice della paura” di Wall Street.
Lo strumento di analisi giusto per il corretto orizzonte temporale
Dire che l’analisi fondamentale sia in grado di giustificare con completezza l’andamento dei prezzi sui mercati finanziari è, purtroppo, errato. Sarebbe bello possedere un libro di regole matematiche e contabili ben note da applicare su un mercato razionale che valuta ogni società quotata con un prezzo in linea con una serie di valori contabili noti a tutti.
Dal momento che i mercati valutano l’aspettativa più che la realtà, occorre cercare di proiettare i valori contabili del presente nel futuro, un esercizio molto complesso che non può trascendere da elementi psicologici. Sebbene l’analisi fondamentale sia uno strumento di partenza utile per valutare un investimento, la definizione di un prezzo-obiettivo basato sui dati emersi da 4 bilanci trimestrali ogni anno non può che essere, per sua natura, una previsione di medio-lungo periodo vista l’elevato numero di ore di trading tra un dato trimestrale ed il successivo.
Sui mercati finanziari, i prezzi variano con una frenesia tale che, per cercare di raccogliere guadagni, un trader orientato al breve periodo deve continuamente chiedersi come stiano ragionando gli altri trader, utilizzando, consciamente o meno, strumenti propri dell’economia finanziaria comportamentale.
Infine, occorre tenere conto che la Storia è colma di casi in cui l’andamento di breve periodo sui mercati ha completamente contraddetto le regole di buon senso dell’analisi fondamentale: con il caso estremo di aziende che, una volta dichiarata bancarotta, diventano oggetto di forte speculazione, con estrema volatilità nel prezzo delle loro azioni impossibili da giustificare con gli strumenti dell’economia classica. Il segreto in questo caso è muoversi con estrema cautela, cavalcare l’onda di un’euforia ingiustificata può portare a grossi guadagni e, irrimediabilmente, ad ingenti perdite. Una buona strategia potrebbe essere quella di assicurarsi di investire solo una parte limitata del proprio portafoglio in titoli oggetto di forti sbalzi dettati dall’alternarsi di esuberanza e terrore, assicurandosi di mantenere un’esposizione maggiore su strumenti finanziari più solidi.