L’ottima performance dell’economia italiana in questo anno sta sbalordendo anche gli addetti ai lavori.
La manifattura italiana infatti non solo è risalita dal baratro della crisi globale seguita alla pandemia, ma scalza la locomotiva tedesca nel ruolo di motore dell’Eurozona.
Se il nostro paese, infatti, è riuscito a recuperare i livelli pre-covid, per Francia e Germania il pieno riassorbimento di quello shock appare “ancora lontano”.
Lo dice un rapporto sugli scenari industriali del Centro Studi di Confindustria, che segnala per il nostro Paese anche un cambio di passo sul fenomeno delle esternalizzazioni: sempre più aziende, infatti, optano per il rimpatrio delle forniture, il cosiddetto ‘backshoring’.
A differenza di quanto accaduto con le precedenti crisi globali, la manifattura italiana, dopo il tracollo di oltre 40 punti percentuali di marzo-aprile 2020, “ha recuperato sensibilmente i volumi di attività già nei mesi estivi dello scorso anno, ed è poi tornata, dal secondo trimestre 2021, stabilmente sui livelli di fine 2019″, evidenzia il rapporto.
Un recupero che non si è invece ancora verificato nelle altre principali economie industriali europee: la Germania e la Francia, pur avendo avuto un calo meno drastico dei volumi, sono ancora rispettivamente 10,5 e 4,6 punti percentuali al di sotto dei livelli di febbraio 2020.
E così, grazie a questa capacità di reazione, il nostro paese, da ‘inseguitore’ delle altre grandi economie dell’Eurozona, si trova ora a trainare la ripresa dei volumi di produzione dell’area.
A dare un “contributo deciso” alla ripresa è stata soprattutto la dinamica della componente interna della domanda, grazie alle misure governative di sostegno ai redditi di lavoro e di stimolo alla spesa.
Un ruolo fondamentale l’ha giocato anche il basso grado di esposizione delle imprese manifatturiere italiane alle strozzature che stanno affliggendo le catene globali del valore (solo il 15,4% ha lamentato vincoli di offerta alla produzione per mancanza di materiali o insufficienza di impianti, contro il 44,3% della media Ue o il 78,1% della Germania).
Il rapporto evidenzia anche un’accelerazione sul fronte del rimpatrio delle forniture (il 23% delle imprese interpellate ha già avviato, negli ultimi 5 anni, processi totali o parziali di backshoring): una scelta dettata dalla disponibilità di fornitori idonei in Italia e dalla possibilità di abbattere i tempi di consegna.
In tema di sostenibilità ambientale, infine, la manifattura italiana si conferma, anche nel 2020 tra le più virtuose al mondo in termini di ridotte emissioni, insieme a quella tedesca e francese.
A questa fotografia plaude il ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini che, intervenendo alla presentazione del rapporto, indica la necessità di pensare anche oltre l’orizzonte del Pnrr.
“Il bisogno di una visione di più lungo percorso, oltre il 2026 è proprio la logica che come Ministero e come governo stiamo perseguendo, cioè l’idea che nei prossimi 10 anni il rapporto tra investimenti pubblici e Pil sia stabilmente oltre il livello del 3%”, spiega Giovannini.
L’impegno del ministero è massimo, aggiunge, ricordando come con le linee guida sul piano di fattibilità tecnico-economica per la realizzazione delle opere, si sia fatto un “salto di qualità”, che sarà “permanente”, in termini di qualificazione delle imprese.
Le sfide, tuttavia, non mancano. A partire dalla transizione energetica, che è “molto costosa per il mondo produttivo”, avverte il vicepresidente di Confindustria per le Filiere e le Medie Imprese Maurizio Marchesini, stimando 650 miliardi di investimenti nei prossimi 10 anni.
“Per questo bisogna pianificare con attenzione”, per non vanificare gli sforzi fatti finora, avverte Marchesini, che più in generale, di fronte a questa transizione “molto complessa”, sollecita industria e istituzioni a collaborare per definire una road map che definisca strumenti e tempi coerenti con gli obiettivi da raggiungere.