Per ora l’Italia non segue altri Paesi europei alle prese con l’emergenza gas. Se in Francia e Germania si spengono prima le vetrine dei negozi, se Parigi ha già messo in conto il razionamento per le imprese, Roma parte con cautela. Non si spegneranno prima le vetrine, né tantomeno si ragiona sull’ipotesi di mandare i dipendenti pubblici in smart working, rumors circolati nei giorni scorsi. L’unica misura immediata, che arriverà con un decreto ministeriale che verrà firmato a giorni, è spegnere i termosifoni un’ora prima nelle abitazioni private e negli uffici pubblici, abbassandoli di un grado per portarli da 20 a 19. Questo, stando all’informativa del responsabile della Transizione ecologica Roberto Cingolani in Consiglio dei ministri, l’unico intervento immediato. Oltre al decreto che arriverà la settimana prossima, con sostegni per famiglie e imprese e che sarà “importante”, assicura uno dei ministri coinvolti nel dossier.
Ma – sul fronte del piano di risparmio energetico messo a punto da Cingolani – non sono previste accelerazioni, perché “la situazione non lo richiede”, avrebbe chiarito il responsabile del Mite durante il Cdm. Arriveranno degli spot, nelle tv e nelle radio, dove si tenterà di sensibilizzare gli italiani sull’importanza del risparmio energetico, su quanto possa fare la differenza – in termini di metri cubi di gas risparmiato – non fare docce infinite o dimenticare la luce accesa. Su quanto si possa sforbiciare la bolletta con dei piccoli accorgimenti, come spegnere la tv anziché lasciarla in stand by o acquistare lampadine alogene. E quando, nel corso della riunione, qualcuno chiede chiarimenti sulle scuole – perché l’ipotesi accarezzata dai dirigenti scolastici di tornare alla Dad o di ridurre la settimana in aula per favorire il risparmio energetico è stata cavalcata in campagna elettorale – la presa di posizione del governo è netta: non se ne parla. “Non scherziamo”, sbotta Cingolani; “le scuole non si toccano, i ragazzi hanno già pagato sulla loro pelle la pandemia…”, il ragionamento che alcune fonti presenti alla riunione attribuiscono al premier Mario Draghi, raccontano all’Adnkronos.
Sul fronte imprese, Cingolani avrebbe confermato che arriveranno due pacchetti di prezzi calmierati per le energivore e le gasivore, si farà leva sulla produzione interna di energia per aiutare chi in queste ore minaccia di chiudere i battenti. Al momento, avrebbe inoltre chiarito il responsabile del Mite, non è previsto alcun razionamento dei consumi industriali: a tanto si arriverà – ma su base volontaria con il servizio di interrompibilità – solo se la situazione dovesse precipitare, ovvero se Mosca dovesse chiudere i rubinetti.
Cingolani ha ricordato che lunedì prossimo volerà a Bruxelles – dove il 9 è convocata la riunione straordinaria del Consiglio Ue dei ministri dell’Energia – e ha assicurato che l’Italia è pronta a battagliare per il tetto al prezzo del gas, rimarcando che dalla Germania sono arrivate aperture sul price cap. Soprattutto il responsabile del Mite ha ricordato ai colleghi che l’Italia ha fatto i compiti a casa, i numeri del governo parlano chiaro: la dipendenza dal gas di Mosca è stata sforbiciata dal 40 al 18%, il livello di riempimento degli stoccaggi ha superato l’81%. Ma c’è l’incognita rigassificatore a preoccupare Cingolani, cruccio anche per il presidente del Consiglio: se a Piombino non verrà realizzato, c’è il “rischio concreto di andare in emergenza nel marzo 2023”, avrebbe messo in guardia il titolare del Mite.
Il piano verrà inviato a Bruxelles entro il 15 ottobre, termine indicato perentoriamente dall’Europa. Su quelle pagine – che Cingolani dovrebbe presentare alla stampa a stretto giro – sono tracciati tutti gli scenari, dagli attuali a quelli a tinte più fosche, ovvero se la Russia dovesse optare per una linea ancor più dura e fermare i rifornimenti di gas. In tal caso, per le imprese non dovrebbe essere chiesto il razionamento, ma l’attivazione del servizio di interrompibilità su base volontaria, lasciando alle imprese la possibilità di decidere.