Wwf Italia: 46 anni di battaglie
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Wwf Italia: 46 anni di battaglie

Una vita in difesa dell’ambiente, con un’attenzione particolare e costante alle specie protette e ai territori minacciati.

Wwf Italia: 46 anni di battaglie
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1 Febbraio 2012 - 14.03


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Roma, luglio 1966. In una stanzetta del suo studio di architettura, Fulco Pratesi fonda il Wwf Italia insieme a dieci amici. Si autofinanziano versando 20.000 lire a testa (valore: un po’ meno dei 200 euro attuali). Lo scopo iniziale, salvare una palude della Maremma. A quarantasei anni di distanza, i numeri parlano da sé: 130 Oasi per più di 35.000 ettari di natura protetta, 400.000 soci donatori, più di 100 sedi locali, 18 sezioni regionali, decine di gruppi di Guardie volontarie, oltre 300 avvocati che, dal 1986 a oggi, si battono contro l’illegalità ambientale in più di 2.000 giudizi cui l’associazione ha preso parte. Dati che fanno del Wwf un vero ”Campione d’Italia” nella difesa dell’ambiente, con un’attenzione particolare e costante alle specie protette e ai territori minacciati.

A quasi cinque decenni di distanza (il Wwf internazionale ha festeggiato 50 anni giusti nel 2011), Fulco Pratesi, che per molti anni ha presieduto l’associazione, di cui oggi è presidente onorario, ne ripercorre l’attività, e racconta storie e aspetti meno noti. A partire dall’episodio che, negli anni Sessanta, segnò la sua conversione: «Ero a caccia di orsi in Turchia e a un certo punto vidi un’orsa con i piccoli. Quest’immagine mi colpì molto, tornai a casa e cambiai stile di vita». L’idea di fondare il Wwf, gli viene nel 1961, anno di nascita, in Svizzera, del primo nucleo: «Volevo salvare un pezzo di palude a Orbetello e non sapevo a chi rivolgermi. Sapevo di quest’associazione per la difesa della natura che era nata in Svizzera e scrissi a loro. Mi dettero la loro disponibilità. Qualche anno dopo, il segretario generale mi disse: “Ok, però dovete autofinanziarvi”».

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Da subito, inizia l’impegno per l’acquisizione delle Oasi, che oggi sono più di 100 e coprono tutto il territorio nazionale, dal Trentino alla Sicilia. «Alcune vengono comprate, altre prese in affitto, altre ancora sono in concessione dal proprietario». La prima, nel 1967, è quella del Lago di Burano, a Capalbio, nella Maremma Toscana. «Allora veniva affittata ai cacciatori per 4 milioni all’anno. Proposi ai consiglieri di affittarla noi, e iniziammo a raccogliere i soldi. Da lì, il numero delle Oasi è aumentato continuamente, e molte volte sono i soci a proporci le aree da acquisire». Dopo Burano, anche un pezzo di Laguna di Orbetello è diventata Oasi. Ma l’iniziativa più coinvolgente, racconta Pratesi, è stata l’acquisto, nel 1985, della Foresta di Monte Arcosu, in Sardegna, grande oltre 3.000 ettari, ultima roccaforte del cervo sardo: «Riuscimmo a raccogliere 1 miliardo di lire per comprarla. Fu molto emozionante perché tutti i soci dettero il loro contributo. Un quarto di quei soldi, circa 250.000 milioni, li raccolsero i bambini vendendo a 500 lire l’uno i francobolli con sopra l’immagine del cervo sardo». Le ultime Oasi, acquisite nel 2011, sono un’area vicina alla Riserva di Valpredina nelle Prealpi bergamasche, e il bosco umido di Foce dell’Arrone nel Lazio.

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Tantissime le campagne che in questi 46 anni hanno educato e sensibilizzato gli italiani sui temi ambientali: tra tutte, quelle a sostegno dei referendum contro il nucleare, la caccia e i pesticidi. E ancora, per la pulizia dei boschi, contro il traffico privato, le spadare, i contaminanti chimici. A cui si aggiungono le iniziative del Wwf internazionale, come gli appuntamenti organizzati in vista della conferenza di Rio+20 o l’Ora della terra, l’evento di attivismo ambientale più grande del mondo.

Tra le conquiste più preziose, Pratesi ricorda la difesa del lupo: nel 1971, quando venne lanciata l’Operazione S. Francesco insieme al Parco nazionale d’Abruzzo, «ce n’erano solo 100 esemplari, oggi sono più di mille». Le specie tutelate dall’azione del Wwf sono tantissime: orso bruno marsicano, cervo sardo, camoscio appenninico, stambecco, gipeto, pernice bianca, gallina prataiola, tartaruga marina, il piccolo anfibio pelobate fosco, i rapaci migratori, insieme agli animali attualmente più a rischio in Italia: «La foca monaca, la lontra, l’aquila del Bonelli, il capovaccaio».

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Volendo tracciarne una carta d’identità sintetica, il presidente onorario non ha dubbi su quali siano le caratteristiche distintive dell’associazione: «Collegamento internazionale, concretezza delle azioni, indipendenza dalla politica». Con la quale i rapporti non sono sempre stati positivi: «In generale, è molto difficile collaborare. Perché i politici sono sempre portati a fare azioni più vicine agli elettori». Con le aziende, il Wwf lavora per l’affermazioni di pratiche più sostenibili, anche se «le grandi industrie italiane sono poco attente agli aspetti ambientali rispetto a quelle del resto d’Europa», spiega Pratesi, e questo gli fa venire in mente l’ultimo aneddoto: «Quando Fiat lanciò la Panda, chiedemmo, visto che noi usavamo quel nome da più di quindici anni, di fare almeno delle iniziative insieme. Loro si rifiutarono, e noi ci appellammo al Giurì della pubblicità. Alla fine, ci dovettero dare 110 milioni».

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