di Gianluigi Torchiani
La fame nel mondo è un problema, purtroppo, di dimensioni e portata ancora immani. Eppure, come ha messo in evidenza un recentissimo rapporto della Fao, circa un terzo del cibo che viene prodotto nel Pianeta non viene consumato. Oltre al drammatico problema sociale, le conseguenze sono anche economiche e si aggirano intorno all’iperbolica cifra di 750 miliardi di dollari l’anno, con effetti significativi anche dal punto di vista ambientale: per produrre il cibo non consumato si sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga, si occupano 1,4 miliardi di ettari di terreno e si emettono 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Non si deve però commettere l’errore di pensare che questo costoso sperpero avvenga soltanto nelle spazzature del ricco e opulento Occidente. Secondo lo studio FAO, il 54 per cento degli sprechi alimentari si verificano “a monte”, ossia in fase di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il restante 46 per cento avviene invece “a valle”, nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. In linea generale, nei Paesi in via di sviluppo le perdite di cibo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono a essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito.
A fare la differenza tra Nord e Sud del mondo è la disponibilità di energia, che – anche se spesso non ci si pensa – costituisce la precondizione necessaria per contribuire alla sostenibilità (economica, ambientale e sociale) dell’intera filiera agroalimentare. Il punto è che alle nostre latitudini siamo abituati a dare per scontata la presenza dell’energia elettrica, ma una larga fetta del pianeta deve farne a meno quotidianamente: secondo le recenti stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie), ben 1,3 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’elettricità e 2,7 miliardi si affidano ancora all’uso della biomassa tradizionale (ossia legna) per cucinare. Circa un 20% della popolazione mondiale, insomma, vive senza energia elettrica: la maggior parte di queste persone vive nell’Africa sub sahariana (585 milioni senza energia), in India (407 milioni) e negli altri Paesi asiatici in via di sviluppo (387 milioni). L’assenza di energia impatta inevitabilmente anche sulla filiera agroalimentare: l’elettricità rappresenta, infatti, un aspetto fondamentale per una ottimale lavorazione dei terreni e la gestione delle colture, nonché per la produzione di fertilizzanti.
L’accesso all’energia, inoltre, è importantissimo anche nella fase successiva alla produzione vera e propria: basti pensare alla corretta conservazione delle derrate alimentari, al trasporto e distribuzione, al confezionamento, nonché alla conservazione (refrigerazione, inscatolamento, ecc). Nei paesi in via di sviluppo, ad esempio, spesso i cibi si alterano a causa di sistemi di processa mento e conservazione inadeguati. Si calcola che in molte nazioni dal clima caldo si perda fino al 60% dell’ortofrutta nel tragitto dal campo al mercato di città. Altrettanto importante è l’ultimo anello della catena, spesso trascurato, ossia la fase della cottura, che ha un impatto fortissimo sulla vita di milioni di persone, che si trovano ancora costrette a utilizzare legname per la preparazione dei propri pasti. L’impiego della legna comporta gravissimi danni sia ambientali (perdita di biodiversità) che sanitari (morti premature e malattie polmonari legate all’uso di stufe inefficienti), senza contare l’impatto sociale: nelle zone rurali, infatti, sono spesso i bambini e le donne ad avere il compito di provvedere all’approvvigionamento di legname, rinunciando magari alla scuola o ad altre attività. L’accesso universale all’energia potrebbe, insomma, garantire un apporto decisivo alla fine della fame nel mondo e infatti da anni l’Onu è impegnata in tal senso (il 2012 era stato proclamato l’anno dell’energia sostenibile). Le rinnovabili, il fotovoltaico in particolare, sono chiamate a fornire un importante contributo soprattutto in quelle aree rurali e montane dove è troppo costoso far arrivare pali e cavi della rete elettrica ordinaria.
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