In Italia sono quasi 23.000 le cave che come “enormi crateri” aprono “ferite” sul territorio: da nord a sud quelle attive sono circa 6.000, quelle dismesse e monitorate oltre 16.000; si arriva a 17.000 aggiungendo quelle non sorvegliate. Questi i dati che emergono dal nuovo rapporto cave 2014 di Legambiente che, a Palazzo San Macuto, ha lanciato anche l’ebook sui paesaggi delle attività estrattive in Italia.
I numeri – si osserva nel report – rimangono “impressionanti, nonostante la crisi del settore edilizio”: un miliardo di euro di ricavi; sono stati estratti nel 2012 80 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. Circa 50 milioni della sabbia e della ghiaia estratta (che rappresentano il 62,5% del totale dei materiali) vengono prelevato soprattutto nel Lazio, in Lombardia, Piemonte, Puglia. A governare “un settore così importante e delicato per gli impatti ambientali è a livello nazionale tuttora un Regio decreto del 1927” in cui è contenuto “un approccio oggi datato” improntato “allo sviluppo dell’attività”.
Ci sono poi nove regioni senza piani cava: Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Calabria, Basilicata. Prelevare e vendere materie prime del territorio – spiega Legambiente – è “un’attività altamente redditizia (1 miliardo di fatturato) ma i canoni di concessione sono scandalosi (34,5 milioni in totale): in media si paga il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti; in Lazio, Valle d’Aosta, Puglia costano pochi centesimi; in Basilicata e Sardegna si estrae gratis”.
“Occorre promuovere una profonda innovazione per le attività estrattive – afferma Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – attraverso regole di tutela efficaci e canoni come quelli in vigore in Europa, oltre che ridurre il prelievo incentivando filiere per il recupero dei materiali”.
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