I disastri della Chernobyl pugliese: ma adesso si tenta la bonifica
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I disastri della Chernobyl pugliese: ma adesso si tenta la bonifica

Cominciata la rimozione dei fusti radioattivi custoditi nel deposito di scorie nucleari Cemerad di Statte

Il deposito Cemerad di Statte
Il deposito Cemerad di Statte
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Fulvio Colucci Modifica articolo

20 Maggio 2017 - 17.34


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Primo passo per fugare l’incubo di una “Chernobyl pugliese” e nazionale. Dalla notte di venerdì scorso, il deposito di scorie nucleari Cemerad di Statte, Comune in provincia di Taranto a pochi passi da una delle aree industriali più inquinate d’Europa, dove si concentrano aziende come Ilva, Eni, Cementir, è sottoposto alle opere di rimozione dei 3 mila 480 fusti radioattivi custoditi da oltre vent’anni. Per lungo tempo, le condizioni di estrema insicurezza e pericolosità del sito ne facevano una bomba ecologica tra le più pericolose al mondo. Ironia della sorte, i primi 86 bidoni portati via sono proprio quelli contenenti i filtri dell’Ilva (all’epoca Italsider) che raccolsero le particelle radioattive sparse in tutt’Europa dalla nube sprigionatasi, dopo l’incidente del 27 aprile 1986, dal reattore nucleare di Chernobyl in Ucraina.

Per capire la pericolosità del sito Cemerad basta andare un po’ indietro nel tempo. Il 26 novembre del 2012, un tornado si abbattè su Taranto uccidendo il gruista dell’Ilva Francesco Zaccaria e colpendo lo stabilimento siderurgico con notevoli danni ambientali come la dispersione di amianto. Le raffiche di vento, a oltre 200 chilometri l’ora, lambirono il deposito. Si corse il rischio di una devastante dispersione radioattiva se solo il tornado avesse investito i capannoni. Senza dimenticare che al loro interno, oltre alle scorie nucleari, sono stipati altri 13 mila e 20 fusti di rifiuti speciali pericolosi di origine ospedaliera (in tutto sono 16mila e 500), anch’essi prossimi alla rimozione.

L’azienda Nucleco realizza le operazioni di bonifica in base all’accordo concluso da Luca Desiata, amministratore delegato della Sogin, società incaricata dello smantellamento degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e da Vera Corbelli, commissario straordinario alle bonifiche di Taranto, nominata dal governo Renzi. Le scorie saranno smaltite nel sito romano della Casaccia. Con la rimozione dei primi fusti, è stata rilevata nel sito Cemerad una riduzione della radioattività dell’80 per cento.

Per il trasferimento di tutto il materiale contenente scorie nucleari occorrerà un anno secondo le stime degli operatori. L’attività di rimozione proseguirà, in base ai piani, fino al maggio del 2018. Più lunga, invece, la fase della bonifica che si esaurirebbe, sempre secondo le previsioni, nel dicembre del 2018 con una spesa complessiva di circa 7 milioni di euro.

Il caso Cemerad scoppiò addirittura il 19 giugno del 2000, quando il tribunale di Taranto dispose il sequestro del deposito. Secondo l’Azienda sanitaria locale e i Vigili del fuoco, il sito rappresentava un gravissimo pericolo per l’incolumità pubblica. Ma, come ricordava tempo fa il giornalista Gianmario Leone nelle pagine internet del Corriere di Taranto, sulla vicenda si contano interpellanze parlamentari a partire dal 1995.

La storia del deposito di scorie radioattive ha registrato strascichi giudiziari. Nel 2014 i giornalisti del Corriere della Sera Andrea Palladino e Andrea Tornago realizzarono un’inchiesta sulla vicenda Cemerad pubblicando immagini inedite del capannone girate a fine anni ‘90, durante un sopralluogo, dall’ex ispettore del Corpo forestale dello Stato di Brescia William Stivali e da Giuseppe Giove, dirigente del Corpo forestale per la Lombardia e l’Emilia Romagna (da gennaio il Corpo forestale è confluito nell’Arma dei carabinieri).

Servirà ancora un po’ di tempo per chiudere il capitolo Cemerad, una delle grandi vergogne ambientali nazionali. L’ombra di una “Chernobyl pugliese” viene così fugata. Nel frattempo nessuno saprà dire con precisione quale impatto sulla salute delle popolazioni locali avrà avuto la permanenza di migliaia di scorie radioattive aggiuntesi a oltre mezzo secolo di inquinamento industriale di aria, acqua e suolo nella martoriata terra tarantina.

 

 

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