Le foto scattate dai volontari che fanno riferimento al gruppo Bracciano Smart Lake, mostrano che ci troviamo a meno 153 centimetri dallo zero idrometrico del lago.
L’anno scorso eravamo a meno 154. Si tratta di un solo centimetro, in più che però è indicativo. Con il caldo il lago sta scendendo, ma lo fa meno velocemente dell’anno scorso, quando Acea continuava a prelevare acqua e – all’inizio di luglio – cominciava ad esplodere su tutti i media, nazionali e internazionali la crisi idrica di Roma. Nonostante questo, l’asta che per mesi ha raccontato, centimetro dopo centimetro, una delle crisi idriche più importanti della storia di Roma, continua a parlare e a raccontare la sua storia: il lago si trova almeno ad un metro al disotto del livello in cui dovrebbe essere se si analizzano i dati medi degli ultimi venti anni. Vuol dire che mancano all’appello circa 57 milioni di metri cubi d’acqua. Sono quelli della riserva strategica, quelli da utilizzare in caso di problemi che potrebbero – per esempio – mettere fuori uso le sorgenti del Peschiera.
Il prossimo 25 luglio, il Tribunale Superiore delle Acque si dovrà esprimere sul contenzioso che vede il gestore del servizio idrico, Acea, contro la Regione Lazio, che con una determinazione, lo scorso dicembre aveva imposto lo stop alle captazioni al di sotto di una soglia, che è ancora lontana dall’essere raggiunta (mancano circa 37 centimetri). Nel frattempo ieri l’ingegner Lorenzo Parritano di Acea, quando ha fatto la sua presentazione nel corso della riunione dell’Osservatorio istituito dall’Autorità di distretto idrografico dell’Appennino Centrale sugli utilizzi idrici, sul lago di Bracciano non ha speso neanche una parola.
Ormai dal 12 settembre dello scorso anno, Acea non prende più acqua dal lago e per il colosso dei servizi idrici, la questione lago di Bracciano è più legata a una questione di asset patrimoniale che non di sicurezza per la fornitura dei servizi. Del resto dopo circa due passaggi e mezzo di controlli sugli oltre 5400 chilometri della rete idrica di Roma e Fiumicino, – ha spiegato Pirritano – i tecnici dell’Acea sono riusciti ad effettuare un numero considerevole di riparazioni: 3183 su un totale di 3248 segnalazioni che hanno permesso di ridurre considerevolmente la quantità di acqua immessa nella rete romana. Il confronto con i dati dello scorso anno e quelli di quest’anno, rilevati fino al due luglio scorso, mostra una riduzione “di 2253 litri al secondo”. Praticamente il doppio di quanto Acea prelevava dal lago di Bracciano a luglio del 2017.
Proprio il tema della riduzione delle perdite, in vista di una gestione ottimale delle risorse idriche e della salvaguardia degli ecosistemi ad esse connesse, è stata dedicata la riunione straordinaria dell’Osservatorio Permanente per gli Usi Idrici convocata dall’Autorità di Bacino dell’Appennino Centrale, l’ente che monitora le risorse idriche di Lazio, Abruzzo, Umbria, Marche e, in parte, di Toscana ed Emilia Romagna. Oltre ad Acea alla riunione hanno partecipato anche altri rappresentanti dei vari Ambiti territoriali, anche amministratori e ricercatori dell’Istat e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).
“Nei circa 80.000 km di reti comunali dell’Italia centrale la media delle perdite è del 47,4 per cento contro una media nazionale che è del 41 per cento. Per ogni litro di acqua immesso nella rete – ha spiegato il Segretario Generale dell’Autorità di Bacino, Erasmo De Angelis – quasi metà si perde in tubi colabrodo vecchi in media oltre il limite dei 40 anni, con quote che, in alcuni casi, arrivano anche oltre 80”. È davvero inammissibile che questa acqua sia sprecata, “non solo per il danno diretto in termini ambientali, ma anche per i costi che sono ad essa collegati. Dietro a questo spreco, c’è infatti il lavoro delle aziende che gestiscono il servizio e un enorme impatto in termini e di consumi energetici” ha spiegato De Angelis.
In valore assoluto vuole dire che “nel 2015 sono stati prelevati ed immessi in rete 1,39 miliardi di metri cubi di acqua e vengono erogati solo 0,73 miliardi di metri cubi” ha spiegato Stefano Tersigni che raccoglie i dati del servizio idrico per Istat. Vuol dire una perdita su tutto il bacino pari a un flusso di circa 21mila litri al secondo, quasi il doppio del fabbisogno di una città come Roma. Serve dunque investire in maniera considerevole per far fronte a tutti i problemi di rinnovamento delle reti idriche in Italia.
“Abbiamo presentato al Ministero delle infrastrutture – ha precisato De Angelis – un piano di interventi che punta a potenziare le infrastrutture idriche. Si tratta in tutto di circa 650 milioni di euro di interventi di cui circa 350 sono destinati al raddoppio dell’Acquedotto Peschiera-Capore, mentre altre risorse sono destinate ad interventi sull’acquedotto Marcio, sempre nel Lazio e poi in Umbria, con la condotta di abduzione tra il Lago Trasimeno e la Diga del Chiascio, in Abruzzo con la messa in sicurezza delle Sorgenti del Gran Sasso e di altri interventi nell’area della Marsica e dei comuni di Celano- Cerchio-Aielli e nelle Marche con gli interventi per la rete di Ascoli Piceno e per la diga delle Grazie”.
Si tratta di un primo intervento che però non è sufficiente a coprire tutti i costi relativi all’ammodernamento delle reti. Per esempio, per rimodernare almeno il 50 per cento della rete romana servirebbe un investimento di almeno 800 milioni di euro ha stimato Lorenzo Pirritano di Acea nel corso del suo intervento, mentre Utilitalia stima che in tutto il territorio nazionale sia necessario investire almeno 7 miliardi di euro.