“Che sarà, che sarà, che sarà di Scanzano, chi lo sa, non vogliamo nucleare ma qualcosa in cui sperare, magari un futuro da realizzare…”: le sentivo cantare così, una ventina di ragazze attorno a un bivacco improvvisato sulla statale jonica lucana in una lontana domenica di metà novembre dell’anno 2003.
Perché in quei giorni, il mitico deposito unico nazionale delle scorie nucleari volevano costruirlo proprio a pochi chilometri dal mare, nei pressi di Scanzano Jonico, una delle zone più floride della Basilicata, regione già allora in forte spopolamento e oggi ancor più in caduta libera demografica.
Di quel periodo ricordo bene i blocchi stradali e ferroviari e le grandi marce che mobilitarono duecentomila persone, praticamente un lucano su tre era lì a protestare negli improvvisati accampamenti, terre occupate da giovani, no-global, contadini, operai e semplici studenti, al grido di “La terra è nostra!”.
All’epoca si rifletteva sugli americani che avevano sistemato le loro scorie in un deserto, mentre il governo italiano di Berlusconi, dopo aver cercato invano di piazzarle prima nell’entroterra sardo e poi sulla Murgia barese, incontrando la ferma opposizione delle popolazioni e dei vari movimenti ambientalisti, puntò alla fine su una delle zone lucane in cui la produzione agricola era elevata e di ottima qualità e il turismo cominciava a far scintille (6 villaggi turistici in costruzione ed investimenti, anche statali, per centinaia di miliardi di vecchie lire!) con una costa tra le più belle e ancora in buona parte intatta.
In quel novembre del 2003 l’attenzione del paese era drammaticamente concentrata sull’emergenza legata al terrorismo, il 12 novembre c’era stato il terribile attentato alla base dei carabinieri a Nassirya. Il giorno dopo, in un Consiglio dei Ministri in cui il tema delle scorie non era neppure inserito nell’ordine del giorno e rovesciando l’iter concordato (la rosa di nomi fra i quali scegliere il sito più adatto, dopo consultazioni con gli enti locali), passò il decreto che stabiliva la costruzione del sito unico nazionale a Scanzano Jonico-
Ma l’insurrezione dei lucani fu totale, persino le forse dell’ordine furono solidali con i manifestanti e il 27 novembre, dopo due settimane di lotta, il governo fece marcia indietro.
Da quel novembre 2003 sono trascorsi 17 anni di pressochè totale silenzio sulla problematica, le scorie sono rimaste sparse nei vari depositi in otto diverse regioni. Il 5 gennaio 2021 è stata finalmente diffusa, dopo anni di segrete discussioni, la mappa con i 67 siti “papabili” e l’illeggibile sigla CNAPI ( Carta Nazionale delle Aree Più Idonee) con i vari colori: verde smeraldo (punteggio più alto), verde pisello (buono), celeste (isole) e giallo (zone possibili ma meno adeguate).
Detto che le aree più “appetibili” sono nelle province di Alessandria, Torino e Viterbo e che le scorie che dovrebbero confluire nel deposito non sono quelle altamente pericolose (che finiranno presumibilmente in un deposito europeo nei prossimi anni) ma solo quelle a media e bassa pericolosità, la diffusione della mappa ha naturalmente allarmato le varie popolazioni interessate. Le petizioni si intrecciano nel web, in sole 48 ore 43.000 sardi e oltre 50.000 lucani hanno espresso la loro contrarietà ad accogliere le scorie, ma anche siciliani e toscani fanno sentire la loro voce, unitamente ai vari amministratori locali. Valga per tutti il presidente della regione Basilicata, Vito Bardi, che afferma “Non siamo regione pattumiera, la Basilicata ha già dato” e lo sa bene, visto che nemmeno un anno fa proprio la sua giunta ha dato il via libera alla più grande discarica di rifiuti speciali in Europa, in quella Guardia Perticara, giusto nel cuore dei paesi trivellati e “crivellati” dal petrolio in questi anni. O come il presidente siciliano Musumeci, che ha già convocato la sua giunta, pur essendo le aree siciliane inserite nella fascia meno probabile, quella gialla.
Ma per le scorie nucleari una soluzione va trovata. Visto che il grande deposito unico nazionale fa tanta paura e dato che il pericolo terrorismo, che nei primi anni duemila era molto avvertito, sembra oggi alquanto ridotto, mi chiedo se non sia il caso di raccogliere le scorie a media e bassa pericolosità (sono scorie che provengono in parte da ospedali e industrie) in sei o sette depositi, magari proprio nei pressi delle zone in cui le scorie sono già allocate. Insomma, visto che le sostanze più pericolose sarebbero destinate a finire all’estero, non sarebbe meglio evitare grandi spostamenti di materiali comunque pericolosi dai circa venti depositi già esistenti in varie regioni italiane? Anche perché, una volta spostate quelle scorie, si dovrebbe comunque procedere alla bonifica ambientale di quei venti siti…o no??
Ma lo sport nazionale è ormai diventato, complice la sedentarietà pandemica, l’adesione alle petizioni: e allora che il gioco continui, firmate pure contro i rifiuti nel vostro giardino, ma ricordate che queste scorie non potranno attendere altri 17 anni!