Centinaia di jihadisti di Erdogan sono già in Libia per sostenere il governo in Tripoli
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Centinaia di jihadisti di Erdogan sono già in Libia per sostenere il governo in Tripoli

Come già detto da Globalist si tratta degli stessi mercenari usati dal Sultano per massacrare i curdi nel Rojava dove le città del nord della Siria sono state occupate dai turchi

Jihadisti filo-turchi mostrano una combattente curda catturata nel Rojava
Jihadisti filo-turchi mostrano una combattente curda catturata nel Rojava
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Gennaio 2020 - 15.27


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I soldati turchi arriveranno. Ma già adesso sul territorio libico agiscono i “tagliagole” al servizio di Erdogan: fonti indipendenti a Tripoli rivelano a Globalist che miliziani qaedisti provenienti dalla Siria sono già stati inquadrati nelle forze che sostengono il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Sarraj. Le fonti sostengono che i ribelli siriani sono stati individuati nel distretto di Salah al-Din, a sud della capitale libica, e risultano acquartierati nell’accampamento di al-Takbaly, già in mano a milizie locali filo-turche. “Non si tratta solo di manovalanza armata – sottolineano le fonti – ma di combattenti esperti già inseriti nella catena di comando”.

Sono oltre 1.600 i combattenti mercenari siriani trasferiti nei campi di addestramento turchi, in attesa di essere inviati in Libia per combattere a fianco delle forze di al-Sarraj contro l’offensiva del generale Khalifa Haftar. Lo rende noto l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus). Secondo l’Ong i combattenti fedeli ad Ankara sarebbero giunti da Afrin, l’ex enclave curda nel nord della Siria, conquistata dalla Turchia nel 2018.  Stando ad Ondus circa 300 miliziani sono già stati trasferiti dal territorio siriano controllato dalla Turchia alla Libia: sono uomini – aggiunge l’organizzazione, che ha sede nel Regno Unito, ma una vasta rete di collaboratori sul terreno – che “provengono dal movimento Hazm”, una fazione armata siriana che è stata disciolta diverso tempo fa. Ai combattenti, aggiunge l’Osservatorio, viene offerto uno stipendio che oscilla tra i 2.000 e i 2.500 dollari al mese e il loro soggiorno in Libia va dai tre ai sei mesi. Pochi giorni fa, l’Osservatorio ha denunciato che la Turchia ha istituito centri di reclutamento per combattenti nella Siria nordoccidentale, in zone sotto il controllo delle fazioni fedeli ad Ankara, per inviarli in Libia.

Jihadisti reclutati

Stando all’Osservatorio, il numero di uomini che hanno raggiunto i militari turchi nel nord della Siria per ricevere addestramento e trasferirsi in Libia è tra i 900 e i 1.000. A dare maggior vigore alle accuse anche alcuni video che, come specifica il sito SpecialeLibia.it, mostrerebbero miliziani siriani filo turchi già arrivati in Libia. In queste immagini, in particolare, si sentirebbero combattenti parlare del contesto libico con un accento arabo non corrispondente agli idiomi più tradizionalmente sentiti nel Paese nordafricano. Da parte sua, Mervan Qamishlo, portavoce della principale alleanza armata che combatte le truppe di Ankara, le forze democratiche siriane, ha detto alla Efe che centinaia di combattenti del cosiddetto Fronte al-Nusra (considerato per lungo tempo la filiale siriana di al Qaeda), dello Stato islamico e dell’Esercito libero siriano, una fazione più moderata, si sono trasferiti in Libia: alcuni si trovavano nei territori a Est del fiume Eufrate e altri a Ovest, a Idlib e Afri’n, dove sono presenti le truppe turche che hanno espulso le forze curde con il sostegno dei miliziani siriani che si opponevano al governo di Damasco. Qamishlo ha confermato che “ci sono uffici di reclutamento nel territorio attualmente dominato dalla Turchia”: “alcuni miliziani dell’Esercito libero siriano non hanno accettato l’offerta”, ma “i battaglioni turcomanni fedeli alla Turchia e le fazioni jihadiste (come lo Stato islamico) hanno accettato”. Secondo il portavoce dell’alleanza composta principalmente da curdi, “sono stati offerti stipendi molto alti, tra i 1.000 e i 2.000 dollari al mese”.

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Stando a una fonte dell’opposizione siriana, Ankara sarebbe già in contatto con diversi gruppi di ribelli siriani per il dispiegamento e le Brigate Suqour al-Sham avrebbero già accettato ‘l’invito’ tanto che alcune unità avrebbero raggiunto la Turchia in attesa del dispiegamento in Libia. A queste indiscrezioni si aggiungono quelle di una fonte turca, secondo cui la Divisione Sultan Murat, gruppo armato di turcomanni siriani, arriverà in Libia insieme ad altre forze. Stando alle rivelazioni di Middle East Eye, il gruppo ribelle Faylaq al-Sham dovrebbe essere al comando. “Le forze di Tripoli hanno inviato armi e munizioni per aiutare i ribelli siriani nel 2011. Hanno persino inviato loro comandanti ad aiutarli – ha detto la fonte siriana – Faylaq al-Sham ha ricambiato il favore nel 2013 con l’invio di ufficiali con compiti di consulenza a favore delle forze di Tripoli contro le forze di Bengasi”. Nei giorni scorsi in dichiarazioni al sito di notizie Erm News, il direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani  già accusava la Turchia di aver “inviato combattenti dalla Siria alla Libia  a sostegno alle forze di Fayez al-Sarraj” “Non è la prima volta, ma questa volta i combattenti sono di nazionalità siriana”, diceva Rami Abdel Rahman, aggiungendo che si tratta di ribelli che hanno “partecipato all’offensiva contro i curdi” nel nord della Siria. A ottobre, sottolineava ancora i il direttore dell’Osservatorio a Erm News, la Turchia ha invece inviato “jihadisti stranieri” dalla Siria in Libia.

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L’Isis si riorganizza

L’attivismo di formazioni ispirate ai valori di al- Qaeda è segnalato ovunque. A preoccupare di più però è lo Stato islamico, che nel 2015 sembrava cancellato dalla Libia dopo la durissima battaglia di Sirte. Oggi invece i segnali di ricostituzione sono sempre più forti, con il sospetto che alcuni veterani sfuggiti dalle disfatte in Medio Oriente abbiano raggiunto il Maghreb. L’Isis è di nuovo in grado di rialzare la testa, sia a Tripoli che nell’est del Paese si teme un ulteriore peggioramento sul fronte della sicurezza. E a Sirte, città in gran parte controllata dai miliziani di Misurata, c’è ha timore che i raid Usa possano spingere più a nord i terroristi del califfato islamico: “Abbiamo già individuato alcuni movimenti sospetti a sud di Sirte”, dichiara all’Agenzia Nova il comandante delle forze poste a difesa della città, Adel Bouchema.  Dal sud della Libia, in particolare dalla zona del Fezzan, i miliziani dell’ex Califfato hanno intrapreso una campagna di riconquista di interi settori lasciati colpevolmente indifesi da parte delle due principali fazioni in lotta per il potere nel Paese nordafricano. Dai campi allestiti dai miliziani islamisti partono continuamente raid diretti verso i villaggi circostanti che consentono un approvvigionamento di viveri quasi quotidiano ai combattenti del Daesh, che traggono giovamento anche dal sequestro di camion-cisterna contenenti carburante e dai proventi delle tassazioni imposte ai trafficanti di esseri umani e di armiDalle piste del Sahara carovane di camion caricati con armi, droga o esseri umani, imboccano la principale arteria di comunicazione che da Ghat, con un giro tortuoso conduce a Sebha, e da qui si diparte verso la costa mediterranea in direzioni di Tripoli e Sirte. Il percorso, ufficialmente controllato dalle forze del governo di Tripoli, è in realtà costellato dalla presenza di avamposti dell’Isis e di check point improvvisati dai miliziani islamisti che mantengono il più stretto controllo sui traffici anche attraverso la comune pratica della corruzione nei confronti delle forze di sicurezza operanti nella zona.

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Gli accordi sanciti tra il Daesh e le fazioni locali di Ansar al Sha’aria e Al Qaeda nel Maghreb islamico, hanno reso possibile un comune arricchimento con i proventi del commercio di immigrati e con il traffico di droga. Fattori che contribuiscono, in modo sostanziale, alla continuità operativa dei vari gruppi e ai pericoli derivanti da un loro rafforzamento locale.

Tragico paradosso

Annota Fulvio Scaglione, profondo conoscitore della realtà libica e mediorientale: “Erdogan si appresta a mandare in Libia, a sostegno di Al-Sarraj, un bel gruppo di quei miliziani di stampo islamista (che sono poi dei mercenari sotto altro nome) che da tempo controllano la provincia siriana di Idlib e che ora sono sotto la pressione dei russi e dei siriani che vogliono recuperare ad Assad anche quella porzione di territorio. Da dieci anni, ormai, Erdogan li finanzia, li arma, li organizza e non può certo abbandonarli. Al Nusra e altri gruppi hanno sedi e militanti (oltre a conti correnti) in Turchia. Se Erdogan li ‘tradisse’, dovrebbe con ogni probabilità affrontare un’ondata di attentati e rappresaglie nel suo stesso Paese. Così trova loro un altro incarico, appunto in Libia. Avremo così un altro paradosso da affrontare: quello di un governo sostenuto politicamente dall’Onu (oltre che, per fare un esempio, dall’Italia) ma militarmente dalla Turchia con un branco di tagliagole. Quegli stessi che, affiancando l’esercito turco nella recente offensiva contro i curdi del Nord della Siria, hanno indignato il mondo intero per le loro violenze contro i civili”. E ora la storia rischia di ripetersi in Libia, la “nuova Siria” alle porte dell’Italia.

 

 

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