C’è un elemento fortissimo in quello che accade in queste ore in Medio Oriente. Questo elemento è l’urgenza di trovare un honest broker per superare le narrative dell’odio indispensabile alle due eresie, quella wahhabita e quella khomeinista, che vogliono conquistare militarmente l’Islam. Non è questo ciò che ha ottenuto il raid di Trump, anzi.
Il generale Qasem Soleimani era certamente un cantore dell’odio, in particolare dell’odio tra sunniti e sciiti, che ovviamente ha importanti terminali anche nell’altro campo.
Lui comunque era il braccio armato dell’esportazione della rivoluzione iraniana, cioè il braccio armato di un’ideologia che vuole conquistare l’Islam eliminando dal suo spazio strategico – Iraq, Siria e Libano- quanti più sunniti sia possibile.
Per fare questo lui per anni ha gestito la sistematica eliminazione dei sunniti illuminati e la milizianizzazione delle comunità sciite. La sua eliminazione equivale alle eliminazioni di altri cantori dell’odio, contro gli sciiti e non solo ovviamente, quali Osama bin Laden, Abu Musab al Zarqawi e il sedicente califfo al-Baghdadi. Ma, il ma è enorme. La sua eliminazione rischia di glorificarlo.
Ora che il drone militare lo ha ucciso è difficile pensare che le malefatte di Soleimani non troveranno un erede e che lui non diventi un simbolo, addirittura un martire anche per molti occidentali intrisi di antiamericanismo ideologico; è chiaro il rischio di aprire un nuovo solco politico, umano e militare tra sunniti e sciiti. Sono tutte le forze che hanno operato per questo, nel campo filo iraniano e nel campo filo saudita, che si adopereranno perché questo accada.
Basta guardare alla storia delle rivoluzioni di velluto, o degli autunni caldi, come ha scritto La Civiltà Cattolica, di Beirut e Baghdad, dove le persone hanno attraversato i confini comunitari per mettersi insieme contro sistemi tribali e corrotti, per capire l’importanza del momento, l’infondatezza della pretesa guerra tra sunniti e sciiti e la necessità di difendere quelle piazze dai cantori degli odi contrapposti.
Quegli odi sono funzionali solo alle loro mire egemoniche, imperiali. Come il drone di Trump sembra funzionale solo alla sua campagna elettorale e a togliere spazio alle primavere. Ma c’è un altro elemento da considerare. Queste due eresie che si contendono le terre dell’islam sono due eresie costruire sull’oscurantismo sociale che godono di consensi internazionali: l’una – quella iraniana- perché eversiva in politica internazionale, l’altra perché continuista in politica internazionale – quella saudita.
Evitando sia l’eversione sia la difesa acritica dell’ordine esistente si potrebbe trovare il modo di dimostrare che l’oscurantismo sociale non costituisce il vero tessuto spirituale dei musulmani, sunniti e sciiti. Questa scelta la possono fare solo loro, i cristiani del Medio Oriente. Sono loro, oggi, l’unico possibile honest broker nel Medio Oriente in fiamme, usato per calcoli imperiali o strategie elettorali.
I cristiani del Medio Oriente hanno una storia comune con le comunità sunnite e quelle sciite, sanno benissimo i pregi e i difetti, propri e degli altri.
Sanno che oggi in piazza, a Baghdad come a Beirut, si lotta per ridare un senso allo spazio pubblico. In quelle piazze si canta, si balla, si ride, si resiste contro gli opposti tutori del potere sociale che hanno costruito società dove tutto ciò che non è proibito è obbligatorio.
Queste società hanno negato i diritti di cittadinanza ai loro cittadini sunniti, sciiti, cristiani, drusi e così via. Per non mettere in discussione il potere conquistato nel nome dell’odio: odio per gli americani, odio per gli iraniani, odio per gli israeliani, odio per i sauditi: odio. Il mondo islamico però ha capito di essere ubriaco di odio e di volersi disintossicare. Lo ha detto ricostruendo, per l’ennesima volta, l’idea di spazio pubblico. Negato sin dai tempi del Sultano, lo spazio pubblico è la vera alternativa culturale alla deriva miliziana, che con le sue feroci provocazioni riesce poi a generare nuovi odi, mettendo le comunità l’una contro le altre.
Solo i cristiani possono rompere questa spirale.
Lo possono fare a partire dalla loro azione sul territorio, ma anche usando le tribune che già si intravedono, ad esempio dall’imminente incontro promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana sul Mediterraneo.
Se le comunità cristiane del Levante in particolar modo venissero tenute ancora nel giogo di potere dell’alleanze delle minoranze, cioè nell’idea di allearsi contro i sunniti con i loro avversari, invece che in quella di honest broker mediorientali capaci di sfidare tutti i poteri nel nome della cittadinanza, firmerebbero la dichiarazione di cessazione della presenza del cristianesimo in quelle terre.
L’altra scelta li porrebbe nel cuore di un Medio Oriente davvero nuovo, quello che i regimi non vogliono, ma anche quello che i popoli hanno chiaramente indicato di aver scelto, con imponenti moti di piazza da Teheran fino ad Algeri.
L’errore del 2011 e le sue terribili conseguenze deve essere un moto a far sì che oggi la storia non si ripeta, con le tragiche conseguenze che questo comporterebbe.
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