L'Iraq vuole mandare via i soldati americani mentre Trump dà i numeri
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L'Iraq vuole mandare via i soldati americani mentre Trump dà i numeri

Il parlamento di Baghdad ha approvato una risoluzione contro il voto degli sciiti mentre numerosi sunnuti e curdo-iracheni non hanno partecipato al voto

Il presidente del parlamento dell'Iraq Mohammed al-Halboussi.
Il presidente del parlamento dell'Iraq Mohammed al-Halboussi.
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Gennaio 2020 - 17.55


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Trump dà i numeri, mentre il Parlamento iracheno nella sessione straordinaria convocata per oggi dopo il raid Usa in cui è stato ucciso il comandante iraniano Qassem Soleimani, ha esortato il governo a “porre fine alla presenza di truppe straniere” in Iraq, iniziando col “ritirare la sua richiesta di assistenza” alla comunità internazionale per combattere l’Isis. Durante la sessione straordinaria, trasmessa in diretta sulla televisione di Stato e alla presenza del premier dimissionario Adel Abdul-Mahdi, i deputati hanno approvato una risoluzione che “obbliga il governo a preservare la sovranità del Paese ritirando la sua richiesta di aiuto”, ha detto il capo del parlamento, Mohammed al-Halboussi.

“Via i soldati americani”.

La risoluzione chiede nello specifico di metter fine a un accordo secondo cui Washington invia truppe in Iraq per oltre quattro anni, come appoggio alla lotta contro il gruppo jihadista Stato islamico. Il testo è stato approvato dalla gran parte dei membri sciiti del Parlamento, che ricoprono la maggioranza dei seggi. Molti deputati sunniti e curdi non si sono presentati in aula, apparentemente perché contrari alla revoca dell’accordo. La missione è partita nel 2014 su richiesta del governo di Baghdad è al momento ci sono 5.200 militari americani sul suolo iracheno, più forze di altri Paesi che partecipano alla coalizione.

Cinquantadue obiettivi

Una lista di 52 siti iraniani da mettere nel mirino, alcuni anche culturali, che gli Stati Uniti hanno già individuato e sono pronti a distruggere nel caso in cui l’Iran dovesse reagire militarmente contro gli Usa. È l’avviso di Donald Trump a Teheran dopo l’escalation seguita all’uccisione del generale Qassem Soleimani,  Che questo serva da AVVISO (tutto maiuscolo, ndr) che se l’Iran colpisce qualsiasi americano o beni americani, abbiamo preso di mira 52 siti iraniani”, ha twittato l’inquilino della Casa Bianca, ricordando come il numero non sia casuale ma rappresenti il numero di ostaggi presi da Teheran nell’ambasciata statunitense durante larivoluzione del 1979.

Trump ha descritto alcuni di quei siti come “di altissimo livello e importanti per l’Iran e la cultura iraniana e ha aggiunto: “Saranno colpiti in maniera molto veloce e dura. Gli Stati Uniti non vogliono più minacce!”. “Ci hanno attaccato e noi abbiamo contrattaccato. Se attaccano di nuovo, cosa che consiglio vivamente di non fare, li colpiremo più forte di quanto non siano mai stati colpiti prima!”, ha rilanciato The Donald sempre su Twitter. Inarrestabile nei suoi “cinguettii” con l’elmetto, Trump insiste: se Teheran deciderà di prendere di mira una base o cittadini statunitensi, ha poi aggiunto il presidente Usa, dovrà affrontare una dura risposta, dal momento che gli Stati Uniti hanno appena speso 2 mila miliardi di dollari in attrezzature militari “nuove di zecca. “Gli Usa hanno appena speso due mila miliardi di dollari in equipaggiamento militare. Siamo i più grandi e di gran lunga i migliori del mondo! Se l’Iran attacca una base Usa, o qualsiasi cittadino statunitense, invieremo a loro modo alcune di queste meravigliose nuove attrezzature… e senza esitazione!», ha twittato Trump.

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Immediata la risposta di Teheran, con il ministro degli Esteri Zarif pronto a ricordare è un crimine di guerra colpire monumenti: “Dopo le gravi violazioni della legge internazionale con i vigliacchi omicidi di venerdì scorso – aggiunge Zarif – Trump minaccia di commettere nuove violazioni della jus cogens’“, la norma del diritto internazionale a tutela di valori considerati fondamentali per un Paese. “Non importa se dia calci o urli – conclude – la fine della presenza maligna degli Usa in Medio Oriente è iniziata”. Anche l’esercito iraniano ha commentato la minaccia di Trump esprimendo dubbi sul fatto abbia il “coraggio” di colpire i 52 siti in Iran: “Dicono questo genere di cose per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal loro atto odioso e ingiustificabile”, ha detto il generale Abdolrahim Moussavi, comandante dell’esercito. Mentre il ministro della Difesa, Amir Hatami, citato dall’Irna, chiede a “tutti i Paesi del mondo hanno la responsabilità di prendere posizione appropriata contro le mosse terroristiche degli Usa, se vogliono evitare che si ripetano atti odiosi e senza precedenti come l’uccisione” di Soleimani. La risposta dell’Iran all’uccisione del capo della Forza Quds sarà militare, dice alla Cnn Hossein Dehghan, consigliere per la Difesa dell’Ayatollah Khamenei. “La risposta sarà certamente militare e verso i siti militari”, ha detto. “Noi non abbiamo assolutamente cercato conflitti e non cercheremo conflitti”, ha affermato Dehghan. “È stata l’America a iniziare il conflitto”.

Un comandante delle Guardie della rivoluzione, il generale Gholamali Abuhamzeh aveva detto ieri che trentacinque obiettivi americani, oltre a Tel Aviv, “sono a portata di tiro della Repubblica Islamica” e potrebbero essere colpiti in rappresaglia per l’uccisione del generale Soleimani. Abuhamzeh ha accennato in particolare alla possibilità di attacchi nello stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa il 20% dei traffici petroliferi mondiali via mare. La minaccia è stata subito presa sul serio da Londra che ha disposto la scorta militare per le navi battenti bandiera britannica.

L’ex comandante dei Guardiani della Rivoluziopne Mohsen Rezaei ha detto che la riposta dell’Iran includerà Haifa e centri militari israeliani. 

L’accordo disdettato
L’Iran non rispetterà più nessuno degli impegni presi con l’accordo del 2015 sullo sviluppo del nucleare. Lo ha annunciato in serata la tv iraniana citata dall’agenzia Associated Press, secondo cui Teheran si ritiene libera da tutti i vincoli imposti dall’accordo del 2015 per quanto riguarda il numero di centrifughe impiegate, ma resta aperta alle ispezioni dell’Aiea “come prima”. L’accordo del 2015 prevede, fra le altre cose, un limite al numero di centrifughe impiegabili per la produzione dell’uranio arricchito. Superare questo limite significa accelerare la produzione dell’elemento che è anche alla base della produzione di testate atomiche. L’affondo finale di Teheran, per rispondere all’uccisione di Qassem Soleimani, è stato quello, dunque, del nucleare e del programma di disimpegno dagli obblighi internazionali già iniziato. La decisione sui prossimi passi di dismissione dall’accordo del 2015 era attesa per oggi e, dopo l’attacco di giovedì notte, in molti hanno ipotizzato che la bilancia avrebbe potuto per l’uscita definitiva dall’intesa o per l’espulsione degli ispettori. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Abbas Mousavi, aveva confermato oggi in un intervento televisivo: “Riguardo la quinta fase, la decisione era già stata presa, ma considerando l’attuale situazione, saranno fatte alcune modifiche, in un importante incontro questa sera”, ha riferito Mousavi.

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Il Pentagono esterrefatto

Decidendo per l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, Donald Trump ha scelto l’opzione estrema tra le tante presentate dai vertici militari ,mentre ancora si stavano valutando le informazioni di intelligence su nuove minacce. Lo riporta il New York Times: il 28 dicembre Trump, dopo l’attacco in cui è morto un contractor americano, aveva respinto l’idea di uccidere Soleimani, optando per un raid aereo sulle postazioni di milizie filo-iraniane in Iraq e Siria. Ma dopo l’assedio all’ambasciata Usa di Baghdad il tycoon, furioso dopo aver visto le immagini in tv, ha deciso per la soluzione estrema lasciando esterrefatti i vertici del Pentagono . A Washington è arrivato l’appoggio della Gran Bretagna. Il ministro degli Esteri di Londra Dominic Raab ha detto che sull’uccisione di Soleimani “la pensa come gli Stati Uniti. Era una minaccia per la regione. Capiamo la posizione nella quale si sono trovati gli Stati Uniti. Hanno il diritto di difendersi”. Il ministro spiegando di aver parlato dei fatti con il presidente iracheno e i suoi colleghi di Francia e Germania. “Il nostro obiettivo – ha detto ancora Raab – è la de-escalation e la stabilizzazione. Di questo ho parlato con i nostri amici europei ed americani”. Nessuno vuole una guerra in Medio Oriente, ha sottolineato Raab. “Nessuno ne beneficerebbe tranne i terroristi, l’Isis in particolare. Per questo stiamo lavorando con tutti i partner, americani, europei e della regione, per far arrivare questo messaggio”.

La marea iraniana

Una marea umana ha invaso le strade di Ahvaz per il primo corteo funebre in memoria del generale Soleimani, nel primo di tre giorni di lutto proclamati in Iran. Al corteo la gente sventolava bandiere rosse, (il colore del “sangue dei martiri”), verdi (il colore dell’Islam) e bandiere bianche decorate con slogan religiosi, oltre a ritratti del generale, piangendo e gridando “Morte all’America”. La televisione di Stato ha trasmesso una diretta del corteo con lo schermo listato a lutto. Un camion ornato di fiori e coperto da un telo con disegnata la cupola della Roccia di Gerusalemme trasportava le bare di Soleimani e Abu Mehdi al-Mouhandis, capo militare iracheno filo-iraniano ucciso nella stessa azione, facendosi strada molto lentamente attraverso la folla venuta a piangere nel centro di Ahvaz, anche dalle città vicine, il comandante militare più amato dal popolo. Molti i ritratti, alzati dalla folla, del generale che comandava la forza Quds, l’unità delle Guardie rivoluzionarie per le operazioni all’estero. L’agenzia semi-ufficiale Isna parla di una quantità di partecipanti “innumerevole”, l’agenzia Mehr, vicino agli ultra-conservatori, di un “numero incredibile” e la tv di Stato di una “folla gloriosa”.

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Città nel sud-ovest dell’Iran con una folta minoranza araba, Ahvaz è la capitale del Khuzestan, una provincia martire della guerra Iran-Iraq (1980-1988), durante la quale la stella del generale iniziò a brillare. L’omaggio a Soleimani si ripeterà a Machhad, nel nord-est, a Teheran, domenica e lunedì, poi a Qom (nel centro del Paese), prima della sepoltura in programma per martedì nella città natale del generale, Kerman, nel sudest.  L’annunciatore e i partecipanti alla cerimonia funebre del comandante della Forza Quds, svoltasi a Mashhad, nella provincia di Khorasan, hanno suggerito che ogni iraniano dovrebbe assegnare un dollaro per raccogliere una taglia da 80 milioni di dollari, “da elargire a chiunque consegni la testa dell'”uomo pazzo con i capelli giallastri”, alludendo al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha ordinato l’assassinio del generale Soleimani.

Hezbollah in campo

L’uccisione di Qassem Soleimani segna una “nuova fase” per il Medio Oriente. Lo ha detto il capo del movimento sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, stretto alleato di Teheran. “Oggi commemoriamo e onoriamo un grande leader islamico. La sua uccisione segna una nuova fase e una nuova data non solo per l’Iraq o l’Iran, ma per l’intera regione”, ha affermato Nasrallah nel corso di un raduno nella zona meridionale di Beirut, al quale è intervenuto in video collegamento. L’uccisione di Soleimani, ha detto ancora Nasrallah, è un “chiaro ed evidente crimine” ed è una questione che riguarda non solo l’Iran, ma “tutti i gruppi di resistenza nella regione, in Siria, Libano e Yemen”. Nasrallah, ha avvertito che l’esercito americano “pagherà il prezzo” dell’uccisione del comandante iraniano Qassem Soleimani. “L’esercito americano lo ha ucciso e ne pagherà il prezzo”, ha detto Nasrallah in un discorso durante un evento a Beirut in memoria di Soleimani e trasmesso in tv.

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