In Libia armi e mercenari, Ue impotente: "Le cose ci stanno sfuggendo di mano"
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In Libia armi e mercenari, Ue impotente: "Le cose ci stanno sfuggendo di mano"

Josep Borrell, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha parlato alla plenaria del Parlamento di Strasburgo

Mercenari e milizie in Libia
Mercenari e milizie in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Gennaio 2020 - 16.40


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Un grido d’allarme e, insieme, un segnale d’impotenza. L’Unione europea denuncia le ingerenze di Mosca e Ankara nella crisi libica e lo ha fatto  attraverso l’intervento di martedì sera alla Plenaria del Parlamento a Strasburgo del responsabile della diplomazia. “Le cose ci stanno sfuggendo di mano” ha dichiarato Josep Borrell. Un po’ come accaduto in Siria. “Noi europei, non volendo partecipare a nessuna soluzione militare, ci barrichiamo dietro la convinzione che non ci sia una soluzione militare”, ha detto il catalano durante il dibattito. “In Siria c’è stata una soluzione militare, portata dai turchi e dai russi”.

La pax russo-ottomana

L’impegno militare con “flussi di armi e mercenari” è un fatto che Bruxelles non può accettare, ha specificato Borrell. Inoltre, dopo  l’intervento dei due Paesi nel conflitto libico, l’Europa avverte che “Turchia e Russia hanno cambiato l’equilibrio nell’area orientale del Mediterraneo”. Sono sicuro che nessuno sarebbe davvero contento se sulla costa libica, di fronte all’Italia, venissero poste una seria di basi militari della marina militare turca e russa, che controllerebbero entrambe le vie di immigrazione illegale verso l’Europa. Nel Mediterraneo orientale e ora anche in quello centrale”, ha avvertito l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Le dure parole di Borrell arrivano a pochi giorni dalla conferenza sulla Libia, in programma a Berlino questa domenica. Un summit al quale parteciperanno, inaspettatamente, anche gli Stati Uniti. Nel frattempo l’Italia ha confermato la sua volontà di non inviare le sue truppe a Tripoli.

Il Sultano rilancia

Cosa che invece sta facendo e farà la Turchia. “Stiamo inviando le nostre truppe” in Libia “per sostenere la pace”. L’annuncio è  stato fatto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che, nel suo discorso programmatico di inizio anno, ha illustrato le linee di politica estera. “Mandiamo i nostri militari per rafforzare la stabilità della Libia e mantenere in piedi un governo legittimo. Faremo di tutto per garantire la sicurezza della Turchia, anche fuori dai nostri confini”, ha detto.
Lo scorso 27 novembre il presidente turco ha firmato due protocolli di intesa con il governo libico di Fayez al-Sarraj: il primo riguardante la giurisdizione turca nel Mediterraneo orientale, il secondo riguardante cooperazione militare, addestramento truppe, fino all’invio di militari turchi. La scorsa settimana Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin hanno lanciato un appello per il cessate il fuoco in Libia a partire da domenica. Tregua però non accettata dall’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, che continua la sua offensiva su Tripoli.
Il leader di Ankara non ha fornito altri dettagli e non ha indicato se i soldati sono già giunti in Libia né quanti ne verranno inviati. In precedenza, Erdogan aveva confermato in una riunione privata con i vertici del suo Akp l’invio di 35 militari con funzioni di “coordinamento” e supporto delle forze di Fayez al- Sarraj. In Libia sarebbero inoltre già presenti a sostegno di Tripoli oltre 600 mercenari siriani cooptati dalla Turchia, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani e altre fonti locali. Diplomazia di guerra e diplomazia del gas.

La Turchia avvierà quest’anno “attività di esplorazione e perforazione” nel Mediterraneo nelle zone inquadrate dall’accordo sulla demarcazione dei confini marittimi con la Libia, ha annunciato Erdogan, spiegando che “la nave Oruc Reis effettuerà inizialmente un’esplorazione sismica”. “Non è più possibile per altri Paesi condurre attività di ricerca sismica e di perforazione senza il consenso della Turchia e della Libia nelle aree designate dall’accordo marittimo”, ha aggiunto il presidente turco.  Il memorandum d’intesa, siglato a fine novembre a Istanbul da Erdogan con il premier del Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da al-Sarraj, è stato condannato da gran parte della comunità internazionale, che non lo ritiene legittimo. In particolare, Grecia e Cipro denunciano violazioni delle rispettive frontiere.

Conte infuriato

“Non possiamo accettare altre truppe militari in Libia questo è “il momento del dialogo e del confronto”. Lo ha detto il premier Giuseppe Conte, al termine dell’incontro ad Algeri con il presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune. “Dobbiamo affidarci al dialogo e alla diplomazia che sono sempre sempre più efficaci delle armi”, ha sottolineato Conte. Peccato che il Sultano trivellatore sia di avviso opposto.

Tutti a Berlino

La pace in Libia dipenderà in parte dal successo della Conferenza di Berlino il 19 gennaio. E il successo della Conferenza di Berlino dipenderà in tutto dall’autorevolezza di chi vi parteciperà. Così nelle ultime ore si rincorrono le voci su presenze e assenze, confermate e smentite, dei leader che hanno in mano il dossier libico. Dagli Stati Uniti, scrivono diverse fonti tra cui il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat, arriveranno sicuramente il segretario di Stato, Mike Pompeo, e potrebbe accompagnarlo il consigliere per la Sicurezza nazionale, Robert O’Brien. Un segnale chiaro da Washington che vuole ancora avere voce in capitolo sulla Libia. Da Berlino, scrive al Jazeera, viene confermata inoltre la presenza dei due principali artefici della tregua in vigore da domenica scorsa: il presidente russo e il suo omologo turco. E ancora: al tavolo ci sarà il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, nonostante le crescenti divergenze con Ankara. L’Onu sarà rappresentata al grado più alto con l’intervento del segretario generale, Antonio Guterres. Oggi, durante l’incontro a Bengasi con il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, il generale Haftar, ha confermato che parteciperà alla Conferenza di Berlino sulla Libia che si terrà domenica alle 14. Lo riferisce l’agenzia stampa Anadolu
“Haftar ha comunicato la propria accettazione al ministro tedesco che al momento è in visita in Libia per incontrare il Comandante dell’Esercito libico”, ossia lo stesso generale, precisa al-Hadath sul proprio sito. L’incontro è avvenuto “nel tentativo di incrementare gli sforzi mirati ad assicurare il cessate il fuoco”, aggiunge la tv.Anche Il presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez al-Serraj, ha confermato la partecipazione alla Conferenza di Berlino. E’ stato annunciato nella pagina Facebook ufficiale del Governo di Tripoli dando conto di un incontro tra al Sarraj e alcuni leader locali. “Saremo presenti a Berlino e porteremo il nostro messaggio”, ha affermato il premier libico. Al-Sarraj ha detto di auspicare “la partecipazione di tutti gli Stati coinvolti dalla questione libica”, ribadendo la posizione in favore della “stabilità della Libia” e sottolineando l’importanza di “tornare sulla via della politica proposta dalle Nazioni Unite”.

A livello europeo è attesa la partecipazione, ovviamente, dell’Italia, grande sponsor della Conferenza, con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Presente anche il presidente francese Emmanuel Macron. La cancelliera Angela Merkel farà gli onori di casa e probabilmente riceverà, tra gli altri, il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro britannico, Boris Johnson. Non mancherà certamente l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, Josep Borrell, così come alcuni esponenti dell’Unione africana. Dalla regione sono inoltre attesi il neo presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune e il neo presidente tunisino, Kais Saied. Sicuramente anche gli emiratini invieranno un proprio rappresentante. Non mancherà nemmeno la Cina, sempre più presente in Africa. 

E a Berlino potrebbero disegnarsi nuovi equilibri che non potranno prescindere dalla volontà politica di Russia e Turchia. Non a caso il vertice di Istanbul dell’8 gennaio è avvenuto in occasione dell’inaugurazione del Turkstream, il gasdotto che collega la Russia alla Turchia. E non può essere un caso nemmeno che Erdogan, che ha avuto il 2 gennaio il via libera del parlamento a schierare i suoi uomini in Libia, fino a ottobre era un alleato di Haftar. Un “voltafaccia” determinato dalla possibilità, attraverso il corridoio marittimo individuato nel memorandum con Tripoli, di mettere le mani sui giacimenti di gas e petrolio attorno a Cipro, contrapponendosi nel Mediterraneo all’asse Cipro-Grecia-Egitto. Un armistizio che sembra nato sulla spartizione di interessi fra i due “master mind” del Mediterraneo. Mosca, garante di Haftar, potrebbe avere un secondo sbocco sul Mediterraneo dopo quello di Tartus in Siria (pure questo garantito da un patto con Mosca). E intanto l’Ue e l’Onu, con gli Usa sempre più distanti, stanno rincorrendo una palla che nel Mediterraneo rimbalza fra Erdogan e Putin. L’unica incognita resta l’effettiva tenuta del patto tra lo Zar e il Sultano. “Si è parlato molto dell’intesa tra Russia e Turchia, ma non dimentichiamo che Haftar non dipende solo dalla Russia”, spiega a Annalisa Camilli su Internazionale l’analista dell’European university institute Virginie Collombier. “Mosca gli ha dato un importante sostegno militare, tuttavia la maggior parte dei bombardamenti a opera del suo schieramento sono stati fatti grazie agli Emirati Arabi Uniti e ai loro droni. Era evidente che Emirati ed Egitto non erano d’accordo sul firmare la tregua”. “La Russia non si è mai fidata al 100 per cento di Haftar, la scelta di sostenerlo è stata una decisione di realpolitik. Al Cremlino non sono mai stati sicuri che fosse capace a tutti gli effetti di realizzare gli obiettivi che gli erano stati affidati. Semplicemente hanno pensato che in questa fase non ci fossero alternative. Quello che è successo durante i colloqui di Mosca potrebbe convincere la Russia a cambiare strategia”, spiega ancora Collombier. Ma rompere quel patto costerebbe troppo ai due contraenti. Meglio dividersi la Libia, accontentando anche l’Egitto, gli emiratini e i sauditi, e una parte del Mediterraneo. Con buona pace dell’Europa. E dell’Italia. 

 

 

 

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