Il "Piano del secolo" di Trump per salvare l'amico israeliano e umiliare la Palestina
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Il "Piano del secolo" di Trump per salvare l'amico israeliano e umiliare la Palestina

Il miliardario della Casa Bianca vedrà Benjamin Netanyahu e il suo maggiore rivale Kahol Lavan per studiare una soluzione che dire inaccettabile per i palestinesi è troppo poco

Trump in Israele
Trump in Israele
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Gennaio 2020 - 17.52


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Separati alla Casa Bianca per discutere con Donald Trump gli ultimi dettagli del “Piano del secolo”. Benjamin Netanyahu e il suo maggiore rivale, il leader del partito centrista Kahol Lavan (Blu Bianco; Benny Gantz vedranno separatamente il tycoon. Gantz ha deciso di accogliere l’invito “personale” di Trump per discutere del piano, spiegando tuttavia che dopo il colloquio di oggi ripartirà immediatamente per Israele. Intende infatti partecipare alla seduta di martedì della Knesset che esamina la richiesta di immunità parlamentare di Netanyahu dopo la sua incriminazione per corruzione, frode e abuso di potere.

Separati alla Casa Bianca

“In coordinamento con l’amministrazione Usa ho risposto positivamente, come capo del maggiore partito di Israele, al separato e rispettoso invito di Trump di incontrarlo lunedì”, ha spiegato il maggiore avversario del premier nelle elezioni del 2 marzo. “E’ un’opportunità unica che non dobbiamo perdere”, ha commentato da parte sua Netanyahu, augurandosi di “fare la storia”. Il primo ministro avrà due incontri con Trump, oggi e domani, e ha ribadito che in questo momento “alla Casa Bianca c’è il più grande amico che Israele abbia mai avuto”. 

“Per tre anni ho discusso con il presidente americano delle nostre esigenze di sicurezza e interessi nazionali che devono essere inclusi in qualsiasi accordo e ho trovato orecchie aperte su questi bisogni”. Secondo alcune anticipazioni apparse sui media, ma non confermate dalla Casa Bianca, il piano di Trump porrebbe come precondizione ai palestinesi, per la creazione di uno Stato, la smilitarizzazione di Gaza e Hamas, l’accettazione della sovranità israeliana sulla Valle del Giordano e sugli insediamenti nell’Area C (il 60% della Cisgiordania) e il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, come Stato del popolo ebraico. Alla Palestina andrebbero circa 50 miliardi di finanziamenti.

Un bantustan spacciato per Stato

Maggiori dettagli vengono dalla rete televisiva israeliana Channell 12: 1) Piena sovranità israeliana su Gerusalemme, compresa la Città Vecchia, con una sola “simbolica rappresentanza palestinese”; 2)Sovranità israeliana su tutte le 100 e più colonie israeliane della Cisgiordania occupata. Resterebbero escluse solo 15 che sono più isolate; 3) Se Israele dovesse accettare il piano e i palestinesi rifiutarlo, Israele avrà il sostegno degli Usa per iniziare ad annettere unilateralmente gli insediamenti illegali in Cisgiordania; 4) Ai palestinesi verrà garantito uno stato, ma solo se Gaza sarà demilitarizzata, se Hamas consegnerà le armi e i palestinesi riconosceranno Israele come Stato ebraico con Gerusalemme come capitale.

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Il giornalista di Channell 12, citando fonti israeliane, ha anche aggiunto che:1) I palestinesi non avranno alcun ruolo nel controllo dei confini; 2) La Valle del Giordano sarà sotto pieno controllo israeliano; 3) Sovranità israeliana su tutti i “territori aperti” dell’Area C della Cisgiordania (ciò vuol dire il 30% della Cisgiordania); 4)L’approvazione di tutte le richieste di sovranità israeliana; 5)
Alcune compensazioni minori territoriali nel Negev per i palestinesi; 6)Possibile assorbimento marginale dei rifugiati palestinesi in Israele, nessun risarcimento per loro.

Come sottolinea il quotidiano israeliano Haaretz, l’”Accordo del secolo”, “è stato formulato in modo da essere bocciato dai palestinesi”. In effetti il piano costituisce una rottura rispetto al consenso internazionale sulla soluzione a due Stati, per altro sempre più difficile da attuare a causa degli insediamenti israeliani.

La rabbia di Ramallah

Venerdì, Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha smentito ogni contatto con l’amministrazione Trump e ha dichiarato che nessun accordo di pace poteva essere attuato senza l’approvazione della leadership palestinese. Ieri, funzionari palestinesi hanno minacciato di ritirarsi dagli accordi di Oslo, se Trump annuncerà il suo piano di pace in Medio Oriente questa settimana. “La leadership studierà tutte le opzioni, incluso il destino dell’Anp”.. “L’unica utile ed effettiva risposta” al piano di pace Usa è “l’immediato riconoscimento da parte della comunità internazionale e specialmente dalla Ue di uno Stato palestinese nei confini del 1967 con Gerusalemme est come sua capitale” ha poi fatto sapere Jamal Nazzal, portavoce di al Fatah, il partito di Abu Mazen. “Vediamo questo passo come l’unica utile ed effettiva risposta ai tentativi dell’amministrazione Trump di destabilizzare ulteriormente la nostra regione negando i diritti palestinesi”. Non pochi pensano che l’unica risposta efficace sia mettere fine proprio all’Autorità Nazionale che amministra milioni di palestinesi sottraendo Israele alle sue responsabilità di occupante. Una giornata di “collera popolare” è stata proclamata in Cisgiordania in occasione della pubblicazione del ‘Piano Trump’ per il Medio Oriente, prevista per martedì. Su iniziativa delle ‘Forze Nazionali ed islamiche’ la giornata dovrà vedere una forte mobilitazione contro quello che definiscono “l’Accordo della vergogna, che è respinto da tutti i palestinesi”. Intanto la radio militare israeliana ha annunciato che, nel timore di disordini, alcune unità dell’esercito sono state poste in stato di allerta.

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E in campo scende anche lo Stato islamico. L’Isis ha annunciato l’inizio di una “nuova fase” nella quale Israele l’obiettivo principale dei suoi attacchi. La minaccia è contenuta in un messaggio audio presumibilmente registrato dal portavoce, Abu Hamza al-Quraishi, secondo il quale il nuovo leader del gruppo jihadista, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, incoraggia i combattenti del gruppo a “lanciare una nuova fase” e ha annuncia importanti operazioni contro Israele. ​

Annota su Internazionale Pierre Hasky, direttore di France Inter: “Cosa accadrà in futuro? Il rifiuto palestinese permetterà a Israele di passare all’azione e annettere una parte della Cisgiordania. Ma un accumulo di atti unilaterali, che ai palestinesi offrono solo la scelta tra subire l’occupazione ed essere cittadini di seconda categoria, non costituisce in alcun modo un piano di pace. Al contrario, prepara il campo a nuovi drammi.”.

Quanto a Trump, la scelta di accelerare i tempi nella ufficializzazione del “Piano del secolo” ha anche un valore interno: ricostruire un rapporto, andatosi sfilacciandosi negli ultimi tempi, con la comunità ebraica statunitense in tutte le sue componenti, conservatrici e progressisti. Da qui la decisione di chiamare alla Casa Bianca non solo l’”amico Bibi” ma anche il suo rivale. Come dire: gli Stati Uniti saranno a fianco d’Israele, indipendentemente da chi ne sarà il futuro capo di governo. L’accelerazione del piano di pace arriva in un momento delicato per i due leader e distoglie l’attenzione mediatica dai guai che entrambi hanno in casa: Trump, processato in questi giorni al Senato per impeachment sull’Ucrainagate per abuso di potere e ostruzionismo al Congresso, ha invitato Netanyahu alla Casa Bianca nel giorno in cui in Israele il parlamento è chiamato a decidere sull’immunità del premier per le accuse di corruzione e tangenti. Il premier israeliano, che nega tutte le accuse, sta cercando di formare una coalizione di maggioranza e spera di ottenere l’immunità. La visita alla Casa Bianca di Netanyahu è l’ennesima spinta del presidente Trump al leader politico in difficoltà – i due si conoscono dai tempi in cui Netanyahu era ambasciatore israeliano a Washington – a poche settimane dalle elezioni israeliane, le terze in un anno.

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Il Patto Tel Aviv-Riyadh

Intanto, per la prima volta nella storia del Paese, i cittadini israeliani potranno recarsi in Arabia Saudita, stato con il quale Israele non ha relazioni diplomatiche. Lo ha annunciato il ministro degli Interni, Arye Deri, in accordo con il ministero della Difesa. Il viaggio, tuttavia, potrà essere effettuato o per motivi religiosi – specie durante il pellegrinaggio musulmano alla Mecca – o per motivi di lavoro con permanenza non superiore a 9 giorni. Inoltre, la persona dovrà essere in possesso di un invito ufficiale delle autorità saudite e nessun altro motivo ostativo.  La diplomazia dei tour ha molto a che fare con il “Piano del secolo”, perché l’inquilino della Casa Bianca e i suoi più stretti collaboratori sul Medio Oriente hanno sempre puntato sul coinvolgimento  di quei Paesi arabi che, nel quadro regionale, hanno interessi strategici convergenti con Israele. Una fonte governativa israeliana li elenca : Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania. Paesi del fronte sunnita che, con Israele, condividono la necessità di arginare la penetrazione iraniana in Medio Oriente, contrastando l’affermarsi della mezzaluna rossa sciita sulla direttrice Baghdad, Damasco, Beirut. E Gaza. A questo è particolarmente interessato l’erede al trono saudita, il giovane e ambizioso principe Mohammad bin Salman Al-Sa’ud, fautore dell’avvicinamento, in funzione anti-iraniana, di Riyadh a Tel Aviv: per il futuro sovrano, e attuale Primo vice primo ministro e ministro della Difesa saudita, togliere ai suoi nemici regionali la “carta palestinese” sarebbe un risultato rilevante, da far pesare nella definizione dei nuovi equilibri regionali. Un approccio condiviso dalle petromonarchie del Golfo- dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar – che hanno una potente arma di convinzione di massa: i miliardi da investire sulla ricostruzione di Gaza e il sostegno all’economia palestinese ormai sull’orlo del collasso.

 

 

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