Il Sultano contro il Presidente, E’ sempre più scontro totale fra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e il suo omologo francese Emmanuel Macron. La Turchia ha criticato fortemente un progetto di legge contro il “separatismo islamista” approvato dalla Francia, in un nuovo capitolo della disputa che vede contrapposte Parigi e Ankara su dossier che vanno dalla Libia al Mediterraneo orientale. In un comunicato, il ministero degli Esteri turco afferma di ritenere che “l’attitudine che si cela dietro a questo progetto di legge condurrà a gravi conseguenze piuttosto che alla riduzione dei problemi della Francia”, aggiungendo che sarebbe più opportuno “optare per un discorso costruttivo (…) invece che puntare su una prospettiva a base securitaria sulle questioni religiose”. Il dicastero ha espresso poi timori che tali misure non facciano che accrescere la xenofobia, il razzismo e l’islamofobia sempre più presenti in Europa.
Scontro globale
La scorsa settimana, l’inquilino dell’Eliseo ha presentato una legge che punta a lottare contro i separatismi e contro l’islamismo radicale indicando i cinque “pilastri” del testo. Il primo consiste “in un insieme di misure di ordine e di neutralità del servizio pubblico”, ha detto il capo dello Stato, ricordando ad esempio che spesso i rappresentanti locali sono mesi “sotto pressione” da gruppi o comunità. Il secondo riguarda le associazioni. “È abbastanza logico che coloro che sostengono questo progetto islamista abbiano investito nel campo delle associazioni, perché l’hanno identificato come lo spazio più efficace per diffondere le loro idee, fornire servizi che le associazioni laiche o stessa la Repubblica non dava più”, ha detto Macron. Il terzo “pilastro” si concentra sulla scuola. Macron ha annunciato che a partire dal prossimo anno “l’istruzione a scuola diventerà obbligatoria per tutti a partire dai tre anni”, mentre “l’istruzione a domicilio” sarà limitata soprattutto per motivi di salute.
Per il quarto orientamento Macron ha parlato di un “Islam dei Lumi”. “Quando la legge del 1905 (sulla laicità) è stata votata l’Islam non era una religione così presente nel nostro paese”, ha detto il presidente, spiegando che “bisogna aiutare questa religione (…) a strutturarsi per essere un partner della Repubblica”. Il presidente ha affermato che è stato deciso di “mettere fine” alla formazione di imam in Turchia, Marocco e Algeria, in “modo totalmente sereno con questi paesi”. “Formeremo degli imam in Francia. L’Islam è fatto di rivalità, di disfunzioni” e “non permette una strutturazione di questa religione nel nostro paese”, ha spiegato il titolare dell’Eliseo. Il quinto e ultimo pilastro riguarda un rafforzamento della “presenza repubblicana”, con un incremento di risorse in dotazione ai servizi pubblici territoriali. Nel corso del discorso di presentazione della proposta di legge, Macron ha definito l’Islam come “una religione che vive una crisi ovunque nel mondo (…), una crisi che tocca anche noi”. Macron ha poi criticato gli “interventi esterni” che spingono alla radicalizzazione di alcuni, citando wahabismo, salafismo, fratellanza musulmana come “forme in origine pacifiche ma degenerate progressivamente, radicalizzandosi”.
Gli attriti tra Turchia e Francia sono diventati sempre più frequenti negli scorsi mesi, con particolare riferimento al Mediterraneo orientale. L’affondo diretto di Macron all’operato di Ankara nell’area è giunto il mese scorso, quando nel corso del settimo vertice dei Leader dei Paesi meridionali dell’Unione europea (Med7) l’inquilino dell’Eliseo ha affermato che la Turchia non è “più un partner” dell’Unione europea nella regione del Mediterraneo orientale, criticando la firma da parte della Turchia di “accordi inaccettabili con il governo libico che negano i diritti legittimi della Grecia” e le perforazioni nelle zone economiche esclusive di Cipro da parte di Ankara, definite”inaccettabili”. “Noi europei dobbiamo essere chiari e fermi con il governo del presidente Erdogan che oggi ha dei comportamenti inammissibili”, ha detto il capo dello Stato francese.
La risposta di Ankara non è tardata, con un comunicato del ministero degli Esteri in cui le osservazioni del presidente francese Macron sulla Turchia e sul capo dello Stato turco Erdogan sono state definite come “arroganti”. “In effetti, le dichiarazioni di Macron sono una manifestazione della sua stessa incompetenza e disperazione. Il mondo si è lasciato alle spalle i giorni in cui agivano liberamente. Macron, i cui subdoli piani di politica estera sono stati portati allo scoperto da noi, ogni giorno attacca la Turchia e il nostro presidente con il suo sentimento di rancore”, prosegue la dichiarazione del ministero degli Esteri turco.
L’acuirsi della tensione sull’asse Francia-Ankara deriva dalla politica estera interventista di Ankara sul Mediterraneo, che si interpone in maniera decisa alle ambizioni di Parigi sull’area. Citato da Macron è l’accordo sulla definizione delle Zone economiche esclusive firmato tra il Governo di accordo nazionale di Tripoli e Ankara lo scorso novembre, a suggellare il ruolo guadagnatosi da Ankara sulla scena libica. A ciò si contrappone il divario tra le ambizioni di Parigi per un ruolo rilevante nel paese nordafricano e il sostegno offerto dell’Esagono all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) guidato da Khalifa Haftar, fortemente marginalizzato a seguito del fallito assedio di Tripoli lanciato nell’aprile 2019 e protrattosi per mesi. La contesa franco-turca si esprime anche sul dossier energetico del Mediterraneo orientale. In questo contesto, la Turchia è certo isolata ma sta conducendo prospezioni e avviato un dialogo tecnico con Atene sotto l’egida della Nato in merito alle rivendicazioni reciproche sulle frontiere marittime. Parigi, d’altro canto, è anche qui ai margini dei giochi, esclusa anche dall’East Mediterranean Gas Forum (Emgf), i cui membri sono Egitto, Cipro, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Autorità nazionale palestinese. La questione religiosa, insomma, si inserisce come un pretesto per esasperare tensioni già in essere da lungo tempo.
Le ambizioni neo-ottomane
“A muovere Ankara, sono ambizioni di potenza in chiave neo-ottomana– rimarca l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi in un articolo su Republica – -L’’intenzione di ergersi a protettore dell’Islam politico, l’ossessione della minaccia curda ai confini, il desiderio di confermarsi piattaforma strategica per i flussi energetici dalla Russia e di sfruttare i giacimenti mediterranei. Si aggiunge la necessità di Erdogan di ricompattare su istanze nazionalistiche un consenso popolare fattosi meno saldo, fiaccato da un’economia in recessione e dall’ondata della pandemia. Il ruolo più distaccato di Washington nella regione finisce poi per allungargli ulteriormente il campo. Mentre conserva la forza che gli deriva dalla sostanziale assenza di credibili alternative all’interno (malgrado le pesanti conseguenze in tema di diritti) e dal controllo dei flussi migratori sulla rotta anatolico-balcanica, come ormai dalle coste libiche. La presenza turca nelle crisi regionali è tuttavia contraddittoria. A tratti esaspera le tensioni, a tratti contribuisce allo stallo. Quasi mai — sovraesposta com’è — può fare davvero la differenza sul piano militare, pur con le sue truppe mercenarie. È così in Libia, dove dopo aver contrastato con successo il generale Haftar in Tripolitania, i turchi hanno dovuto arrestarsi alle porte di Sirte, frenati da una Russia con cui sanno di dover convivere e creando le premesse per una partizione di fatto del Paese. Lo è in Siria, dopo una guerra persa da Ankara contro Assad, poi obbligata a scendere a patti con Mosca per salvaguardare, ai suoi confini, il controllo dell’area nord-occidentale siriana di Idlib. Lo è nel Mediterraneo orientale, dove le sue ambizioni geopolitiche e energetiche hanno finito per creare lo stallo tra i Paesi rivieraschi nella delimitazione dei rispettivi tratti di mare esclusivi e per importare nella zona le tensioni intra sunnite.”.
Una cosa è certa: la forza di Erdogan, almeno sul fronte mediterraneo, nasce anche dalla debolezza di una Europa divisa, sotto ricatto sulla questione migranti, incapace di praticare una linea comune per arginare le mire imperiali del Sultano.