La decapitazione di Parigi e l'identikit dei "nichilisti della Jihad"
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La decapitazione di Parigi e l'identikit dei "nichilisti della Jihad"

La storia del diciottenne decapitatore è paradigmatica. Non hanno mai frequentato una moschea. Non seguono i dettami del Corano. Hanno la rabbia dentro e cercano un obiettivo contro cui sfogarla.

Samuel Paty ucciso da un ragazzo ceceno infervorato dal jihadismo
Samuel Paty ucciso da un ragazzo ceceno infervorato dal jihadismo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Ottobre 2020 - 10.46


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Aveva 18 anni il killer che ha decapitato Samuel Paty, 47 anni,  professore di storia in una banlieue di Parigi. Nato a Mosca, era di origine cecena ed era sconosciuto ai servizi di informazione francesi come possibile musulmano a rischio radicalizzazione. Gli unici suoi precedenti sono per reati comuni. L’aggressore, riporta la Reuters,  avrebbe urlato “Allahu akbar” (Dio è grande ). L’uomo avrebbe avuto un giubbetto esplosivo e – con il coltello ancora in mano dopo la decapitazione – si sarebbe diretto verso i poliziotti, minacciandoli. Gli agenti gli hanno intimato di fermarsi, inutilmente, poi hanno aperto il fuoco, uccidendolo.

Identikit dei nuovi nichilisti della Jihad

La storia del diciottenne decapitatore è paradigmatica. Non hanno mai frequentato una moschea. Non seguono i dettami del Corano. Sono “i nuovi nichilisti del jihad”.  Hanno la rabbia dentro e cercano solo un obiettivo contro cui sfogarla. E una ideologia che la “nobiliti”. Sono gli hooligans del Daesh. Il terrorismo fai da te. Non solo nel fabbricarsi armi artigianali, ma nel decidere dove, chi e quando colpire. Come diventano gli “hooligans della jihad” lo spiega molto bene il più autorevole studioso francese dell’Islam radicale, Oliver Roy: “Prima si radicalizzano e solo in un secondo tempo scelgono l’Islam nella sua versione più estrema. Ma tutto questo non c’entra più con la disperazione delle banlieue. Gli autori dell’attacco contro “Charlie Hebdo” il 7 gennaio 2015 e di quello a Parigi il 13 novembre avevano poco a che vedere con il mondo delle banlieue. Sono invece affascinati dalla violenza, vista in mille forme su internet. A Marsiglia le banlieue imperano, ma ci sono gruppi criminali che danno armi e sensazioni forti ai giovani. Di conseguenza, qui i jihadisti si contano sulle dita di una mano. A Nizza invece la comunità araba è più ricca e integrata, eppure i jihadisti arrivano più facilmente dai ranghi della sua classe media”. Roy, in un altro suo scritto, spiega perché la “bandiera” con cui si coprono è quella dell’Isis. “È l’ideologia che in questo momento domina il mercato della violenza terrorista. La sinistra, anche quella estrema, non li interessa: non è abbastanza radicale, non ha una dimensione globale e non coinvolge affatto questi giovani. Sono degli sradicati, non si riconoscono nei movimenti di protesta tradizionali europei, non condividono le battaglie per i diritti civili, per esempio per i matrimoni gay. Sono ribelli senza una causa, arrabbiati sicuramente, ma alla ricerca di un obiettivo per cui combattere. La collaborazione tra questi giovani e l’Is è semplicemente una questione di opportunità. Gli stessi giovani si erano legati ad al Qaeda e prima ancora al Gia algerino, o avevano seguito un nomadismo jihadista individuale tra Afghanistan, Bosnia e Cecenia. Domani combatteranno per un’altra bandiera, a meno che la morte in battaglia, la vecchiaia o la disillusione non svuotino i loro ranghi, un po’ come è accaduto all’estrema sinistra degli anni Settanta”. E’ un fenomeno generazionale. Sono molto giovani. Tra loro c’è di tutto. Anche ragazzini di 14 e 15, fino a dei trentenni. Vent’anni è la media. Dunque, non sono prodotti né dalle moschee né dagli ambienti musulmani. Rispecchiano un fenomeno di atomizzazione, individualismo. Si radicalizzano fra giovani nel virtuale”.

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Una riflessione che investe anche i foreign fighers: “Sono affascinati dalla morte – rimarca-Roy- . La cercano, la predicano e coltivano intimamente, è parte della loro identità individuale e di piccolo gruppo che si considera eletto. Vogliono morire, per loro è un onore farlo combattendo, dà senso alle loro esistenze. In questo modo si differenziano dai gruppi terroristici classici, per i quali restare in vita è uno dei doveri fondamentali per poter garantire la continuità del proprio impegno nella lotta. In secondo luogo, non credono in un ideale utopico, non lavorano per una società migliore, non cercano di militare in partiti politici o associazioni. Anche quando arrivano in Siria, la loro interazione con la popolazione locale resta praticamente nulla. Non cercano di migliorare le condizioni economiche dei siriani, non aiutano i civili, non sono medici o infermieri, non si interessano ai problemi dell’amministrazione. Sono arrivati per il jihad, vogliono combattere e sono disposti a morire al più presto”. “I foreign fighters – annota ancora lo studioso francese- appartengono a due categorie. Giovani musulmani di seconda e terza generazione che vivono in Occidente, e i convertiti. Il numero dei convertiti è significativo perché rappresenta un quarto dei foreign fighters . Non troviamo questa proporzione di convertiti in nessun’altra organizzazione musulmana. Ciò dimostra che non si radicalizzano nel quadro di una società tradizionale musulmana, ma attraverso Internet e fra di loro”.

Non si tratta solo di diseredati senza futuro, ma anche di giovani provenienti da famiglie benestanti e pienamente inserite nel tessuto sociale e politico del Paese di cui si ha il passaporto. C’è una ragnatela che, piano piano, si è estesa in tutta l’Europa. L’identità del boia che ha decapitato in modo atroce i reporter statunitensi James Foley e Steven Sotloff è solo una parte della storia. Il defunto “Jihadi John” aveva  una schiera di soldati con sé, tutti giovani. Tutti colti, intelligenti e indottrinati all’Islam direttamente nella capitale britannica, proprio come lui. A descriverlo è una fonte di The Guardian, che ha scavato, come il resto della stampa Uk, nelle indiscrezioni sugli autodefinitisi “Beatles” la cellula britannica dell’Isis.

Londonistan

In 500 sono partiti da Londra; ma in 250 sarebbero tornati, dopo aver concluso forse il loro “indottrinamento” per le strade della Siria e dell’Iraq. Prima del campo, però, questi giovani terroristi hanno imparato a conoscersi e a conoscere i preconcetti dell’Islam più integralista tramite il web, un mezzo di comunicazione così potente da terrorizzare adesso il mondo intero. Il profilo del jihadista europeo è delineato: maschio, tra i 16 e i 28 anni, musulmano spesso convertito dal forte idealismo. Ma a sorpresa, ci sono anche molte ragazze, quasi il 16 per cento, e vengono arruolati anche i cattolici. “Al di là del dato quantitativo, quello che colpisce è la potenza della rete, dei social network, dei siti legati alla galassia dell’estremismo islamico, per mezzo dei quali sia l’Isis che al-Qaeda riescono a fare opera di proselitismo, a raggiungere, indottrinare e addestrare centinaia di migliaia di giovani”, spiega una fonte diplomatica al Palazzo di Vetro che ha contribuito alla stesura del rapporto Onu sul profilo degli “hooligans della Jihad”, parte dei quali diventati foreign fighters in “Siraq” e poi rientrati, a centinaia, nella natia Europa. I più acculturati usano il web per le lezioni coraniche, e dal web traggono i contenuti motivatori di un nuovo terzomondismo che vede nel jihadismo militante l’opportunità di combattere le ingiustizie perpetrate dall’Occidente.  Una storia emblematica: quella del giovane Marc, studente universitario di Marsiglia convertitosi all’Islam col nome di Ahmed, cresciuto con il mito dei campioni dell’OM (l’Olympique Marseille), finito a ingrossare le fila del Fronte al-Nusra, branca siriana di al Qaeda. Marc Ahmed è stato ucciso all’inizio del 2014 a Raqqa, divenuta oggi la capitale siriana del “Califfato”. Gli amici lo descrivono come un “ragazzo normale” che a un certo punto della sua esistenza, ha cercato di dare un senso alla sua vita abbracciando la causa islamica. Marc non era di origine araba, veniva da una famiglia borghese, padre impiegato, madre impegnata  nell’assistenza pubblica. Marc cercava una ragione per vivere. E per morire. L’ha trovata nel “nichilismo jihadista”.

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Francia, un passo indietro nel tempo.

19 Novembre 2014: Attaccate la Francia. Avvelenate acqua e cibo, investite le vittime”. E’ l’agghiacciante appello dei combattenti francesi dell’Isis pubblicato in rete con un nuovo video dello Stato islamico. A parlare sono in tre, parte degli oltre mille jihadisti d’Oltralpe che combattono in Siria e Iraq. Tra loro c’è anche Michael Dos Santos, 22 anni, il secondo francese identificato nel gruppo dei “boia” inquadrati a volto scoperto nel macabro video della decapitazione dell’ostaggio Peter Kassig e altri 15 prigionieri siriani, avvenuta il 16 Novembre 2014.  Non è un caso, concordano fonti d’intelligence e di polizia francesi, che quel video di minacce sia   apparso proprio nel giorno in cui il Parlamento francese ha dato il via libero all’invio di sei Mirage per unirsi ai 170 caccia americani che da mesi stanno già sorvolando e bombardando la zona dell’Iraq controllata dai miliziani islamici. In quei giorni, peraltro, il governo di Francois Hollande aveva rivelato che tra i 1.132 francesi coinvolti nella jihad, il 23% non è cresciuto in ambienti musulmani. Dos Santos rientra in questa percentuale, visto che proviene da una famiglia di immigrati portoghesi di confessione cattolica. Esattamente come Maxime Hauchard, l’altro giovane jihadista normanno identificato nei giorni successivi all’uscita del video, si è convertito all’Islam durante l’adolescenza. Lo scorso anno, era volato in Siria per arruolarsi con i jihadisti. Michaël era partito per la Siria dove ha preso il nome di battaglia Abou Othman. Come testimonia il suo profilo Twitter, utilizzato sotto il suo nome di battaglia, ha partecipato a molte azioni violente. Ha pubblicato foto raccapriccianti compresa una in cui appare la foto di un uomo decapitato, la testa appoggiata alle ginocchia, sulla quale il jihadista ha scritto “se vuoi riuscire a fare come lui, combatti lo Stato Islamico”. Ha posato con diversi cadaveri anche tenendo in mano la testa delle sue vittime. Immagini scioccanti non solo per la loro violenza ma anche per il folle senso dell’umorismo che vogliono trasmettere con battute di macabro gusto. Aveva anche partecipato all’appello alla Jihad, chiamando i suoi “”fratelli che vivono in Francia ad “uccidere qualunque civile”. “Era noto per il suo impegno terrorista in Siria e il suo comportamento violento rivendicato sul web”, aveva rimarcato il premier Manuel Valls, precisando che sono “oltre un migliaio” i francesi coinvolti nel fenomeno della jihad, di cui “una cinquantina” sono stati uccisi in Siria o in Iraq. Circa 500 sarebbero quelli partiti per combattere, gli altri hanno ruolo di supporto. Stando a fonti di intelligence occidentali, in Europa sono attivi 300-400 “rientrati”, alcuni dei quali anche in Italia. I “rientrati” – rimarca in proposito Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa (RID) – sono capaci di condurre autonomamente, o in piccoli gruppi, azioni terroristiche di forte impatto come quella condotta contro “Charlie Hedbo”. Questi profili, sottolinea ancora Batacchi, sono bene inseriti in una rete logistica e di contatti strutturata ed hanno accesso ad armi di diverso tipo od esplosivi provenienti dai mille rivoli del mercato nero che oggi si dipanano soprattutto attraverso la Libia.  Dei “ rientrati” faceva parte anche Mehdi Nemmouche, con precedenti penali, francese di origine algerina, che il 24 maggio 2014, aprì il fuoco con armi automatiche contro il museo ebraico di Bruxelles uccidendo quattro persone. Pochi giorni dopo il terrorista venne arrestato a Marsiglia e si scoprì che era da poco rientrato dalla Siria, dove aveva combattuto nelle file dei jihadisti. L’uomo era stato condannato a sette riprese in Francia, e messo in carcere per cinque volte, in particolare a Lille (nel nord) e Tolone (nel sud). Fra le iscrizioni trovate sul telo che avvolgeva il kalashnikov sequestrato a Nemmouche, quella di “Stato islamico in Iraq e nel Levante”, dove il sospetto ha soggiornato presso gruppi combattenti dalla fine del 2012 per oltre un anno “prima di far perdere le tracce”.  Gli stessi tratti aveva Mohamed Merah, francese di origini algerine, con precedenti penali, che nel Marzo 2012, ferì mortalmente uccise tre soldati francesi e quattro civili della scuola ebraica a Tolosa. Anche in questo caso le autorità francesi si dissero  convinte che il terrorista si sia radicalizzato in carcere. Una volta rilasciato Merah si recò in Afghanistan e Pakistan dove sarebbe entrato in contatto con gruppi qaedisti. Merah terminò la sua corsa barricandosi armato fino ai denti all’interno di un appartamento alla periferia di Tolosa dove venne ucciso in un assalto delle forze speciali francesi. Dopo gli attentati, un documento dell’intelligence francese, risalente al 2006, pubblicato dalla televisione francese M6 indicava Merah come membro movimento estremista islamico, Forsane Alliza, un’organizzazione basata a Tolosa, che era sospettata di incitare alla violenza e al terrorismo. Merah era stato indicato perché aveva la possibilità di viaggiare e fornire supporto logistico agli altri militanti del gruppo.

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Scrive Oliver Roy in Generazione Isis: “Non è l’Islam a essere violento. Lo sono i ragazzi nichilisti e disperati che crescono nel cuore delle società occidentali”.  Ed è una crescita che non si arresta.

 

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