L'Isis è come il Covid: chi l'ha dato per morto ha fatto un grave errore
Top

L'Isis è come il Covid: chi l'ha dato per morto ha fatto un grave errore

Il fatto che lo Stato Islamico sia finito fuori dai riflettori non significa che il virus sia finito. Ancora forte è la fascinazione verso tanti disperati o fanatici. La battaglia sarà lunga

L'Isis rivendica l'attentato di Vienna
L'Isis rivendica l'attentato di Vienna
Preroll

Gianni Cipriani Modifica articolo

3 Novembre 2020 - 18.40


ATF

Lo Stato Islamico è stato sconfitto. E su questo non c’è dubbio perché il Califfato, ossia lo stato autonomo, con le sue leggi, con il suo esercito, con la sua polizia e con il controllo delle scuole, delle università e della vita sociale, non c’è più.
Prima Mosul e poi Raqqa, ossia le due ‘capitali’ in Iraq e in Siria praticamente rase al suolo. E infine, grazie soprattutto ai curdo-siriani delle Ypg e Ypj, la liberazione dell’ultimo territorio in mano al Califfato ai confini tra Siria e Iraq.
Da allora, anche se gradualmente, i riflettori sull’Isis e il pericolo jihadista in generale (c’è la galassia legata ad Al-Qaeda) sono stati spenti.

Abbiamo così assistito allo scempio dell’occupazione delle aree a maggioranza curda del nord della Siria (ossia i combattenti che hanno sconfitto l’Isis) da parte delle milizia filo-turche e in gran parte jihadiste al soldo di Erdogan, alla guida di un paese che appartiene alla Nato.
Abbiamo visto alcuni combattenti di quelle stesse milizie andare in Libia a sostenere il governo di Tripoli di Serraj, sostenuto dalla Ue e dall’Italia e ora nel Nagorno-Kharabah.

Leggi anche:  Padre Dall’Oglio: sulla Rai un docufilm sul 'monsignor Romero' di Siria

Ma tutto questo non ha destato troppe proteste o preoccupazioni sia perché nessuno si è opposto sul serio alla politica neo-Ottomana di Erdogan che ora fa leva sul radicalismo islamico, sia perché in tanti, troppi, hanno pensato che il fenomeno Isis e al-Qaeda si fosse volatilizzato.
Una visione molto provinciale perché dalla caduta dell’ultima roccaforte in poi i seguaci del Califfato non hanno mai smesso dei agire.
Solo che non è stato raccontato a sufficienza e la percezione in Europa è scomparsa.
Eppure basterebbe osservare, come personalmente cerco di fare, la produzione quotidiana dell’Isis per vedere che non più come Stato Islamico ma come vere e proprie formazioni terroristiche il jihadismo non ha mai smesso di uccidere.
A Kabul un attacco all’università il 2 novembre con moltissime vittime, la cattura e uccisione di un componente del Pkk (l’Isis chiama così indistintamente tutti i combattenti curdi) nel nord della Siria, una bomba fatta esplodere in Iraq che ha ucciso in ‘infedele’ e ne ha ferito un altro, l’attacco in Nigeria nel villaggio di Kogi contro soldati nigeriani, con due morti e il furto di armi e munizioni. L’attacco e l’uccisione di 21 appartenenti ad una milizia cristiana nel Congo, l’incendio di tre villaggi abitati da cristiani al confine tra Tanzania e Mozamico.
Tutto negli ultimi tre giorni insieme con la diffusione di vecchi e nuovi video propagandistici che mostrano le gesta del Califfato e con foto di esecuzioni e di ‘infedeli’ uccisi.
Ma se tutto questo viene ignorato in Occidente, non passa inosservato ai tanti, troppi, simpatizzanti jihadisti che sono da tante parti del mondo.
E direttamente o indirettamente il messaggio jihadista viene trasmesso.
Per questo, per mutuare un’espressione che in tempi di pandemia è diventata molto famosa anche da noi, si potrebbe dire che l’Isis è come il Covid: dire che sia clinicamente morto è un grande errore.
Perché il ‘verbo’ jihadista continua ad essere quotidianamente diffuso, perché ogni giorno ha il suo bilancio di morti, feriti e distruzioni, perché la fascinazione per lo Stato Islamico non è venuta meno e il virus forse sta riprendendo a correre e colpisce i più giovani, europei di seconda generazione, sbandati come lo fu Anis Amri (l’attentatore di Berlino) e fanatici che vivono in attesa di poter ripetere le gesta degli assassini del Bataclan, di Strasburgo, di Bruxelles, della Ramblas e di ogni miliziano del Califfato in Siria, Iraq o ovunque nel mondo.

Leggi anche:  Padre Dall’Oglio: sulla Rai un docufilm sul 'monsignor Romero' di Siria

Il jihadismo dello Stato islamico è stato sconfitto sul piano militare ma non lo è sul piano culturale e tanti sono ancora soggiogati dall’epica propagandista dei vendicatore che uccide ‘crociati e sionisti’ colpevoli dei loro male e fonte di degenerazione e corruzione dell’umanità.
Ora c’è rabbia, smarrimento. Ma non sarà una ‘crociata’ a sconfiggere il jihad. Anzi, i ‘nipotini’ di Al-Baghdadi è questo che sperano perché hanno bisogno di fondamentalismi avversi per legittimare il loro.
Il rinnovato jihadismo si può e si deve combattere senza cadere in questa trappola.
Nel frattempo l’Isis cerca di ‘capitalizzare’ il successo mediatico e rivendica وكالة أعماق: مقاتل من الدولة الإسلامية ينفذ هجوما في النمسا فيقتل ويصيب 30 شخصا

Native

Articoli correlati