A Ramallah hanno tirato un sospiro di sollevo. L’incubo-Trump sembra svanito. Inizia l’era-Biden. Per tastare gli umori in campo palestinese, Globalist si avvale delle riflessioni della giornalista israeliana che meglio conosce la realtà palestinese in ogni suo dettaglio: Amira Hass, storica firma di Haaretz, conosciuta e apprezzata a livello internazionale.
“I palestinesi – annota Hass – speravano nella sconfitta del presidente Donald Trump, anche se le loro aspettative politiche nei confronti del Partito democratico e del presidente eletto Joe Biden sono state basse. E questo vale sia per l’opinione pubblica palestinese che per la sua leadership. Trump e i suoi sostenitori americani, ebrei ed evangelici, hanno così profondamente denigrato i palestinesi e la loro ragionevole richiesta di liberarsi dall’occupazione israeliana che questo non dovrebbe essere una sorpresa. L’elezione di Biden è un bene per l’Autorità palestinese, un’entità con un potere sopravvissuto che è diventata un attore permanente che non scomparirà facilmente, nonostante tutte le previsioni contrarie. Si occupa costantemente della sua autoconservazione – non solo per il bene dei suoi alti burocrati e del movimento Fatah, ma per le decine di migliaia di famiglie che vi fanno affidamento per il loro sostentamento. Che piaccia o no, l’AP gestisce la vita quotidiana dei palestinesi nelle enclavi della Cisgiordania e permette loro di avere una parvenza di continuità e semi-normalità nelle circostanze anomale dell’occupazione israeliana invasiva. E’ responsabile del funzionamento delle scuole – a prescindere dalla qualità dell’insegnamento e dal sistema sanitario – a prescindere dalla sua necessità di miglioramento. Fornisce anche il quadro di riferimento per le istituzioni sportive e culturali, per il miglioramento delle infrastrutture stradali, idriche ed elettriche nelle enclavi, per il mantenimento dell’ordine pubblico e per la lotta alla criminalità locale. Proprio per questo motivo, Biden, un politico filo-israeliano della vecchia scuola, comprende l’importanza dell’Autorità palestinese per Israele, in quanto risparmia a Israele l’onere diretto di governare la popolazione palestinese occupata. Il nuovo presidente americano deve quindi fare in modo che l’AP non crolli economicamente o perda rilevanza politica. I legami diplomatici tra gli Stati Uniti e l’AP saranno ripresi. La missione palestinese a Washington riaprirà i battenti. Riprenderanno anche gli incontri tra funzionari civili e militari americani e rappresentanti palestinesi, rafforzando il senso di autoimportanza della classe dirigente palestinese. Poiché Biden e il suo partito capiscono l’importanza dell’AP per Israele, probabilmente cercheranno il modo di sostenerla di nuovo finanziariamente. Questo, tuttavia, sarebbe difficile da fare direttamente. La legge di chiarificazione antiterrorismo che il Congresso ha approvato nel 2018, e che è entrata in vigore nel 2019, rimane un ostacolo. Essa stabilisce che qualsiasi entità politica che riceva assistenza finanziaria dal governo degli Stati Uniti sia soggetta a cause legali nei tribunali statunitensi per rivendicazioni di un passato coinvolgimento nel terrorismo. Per questo motivo, i palestinesi hanno annunciato all’epoca che avrebbero smesso di ricevere tale assistenza. Ma un nuovo emendamento alla legge approvato quest’anno fa un’eccezione per le Ong, ed è possibile che in futuro si trovi un modo per temperarla, soprattutto per permettere la ripresa del sostegno americano alle forze di sicurezza palestinesi. Ciò sarebbe accompagnato, a quanto pare, da una ripresa della sicurezza palestinese e del coordinamento civile con Israele. Gli Stati Uniti potrebbero chiederlo ai palestinesi come gesto, o la leadership dell’Autorità palestinese potrebbe avviarlo da sola e trovare una scusa adeguata per rinnovare il coordinamento con Israele.
Si può ipotizzare che gli Stati Uniti rinnoveranno i finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, il che indirettamente allevierebbe notevolmente l’onere finanziario e sociale dell’AP. L’Autorità palestinese chiederà presumibilmente anche agli Stati Uniti di riprendere il sostegno finanziario alle agenzie di sviluppo e alle organizzazioni umanitarie non governative che operano nei territori palestinesi occupati. D’altra parte, l’immutata leadership palestinese – che per conservarsi e giustificare la propria esistenza esagera il valore dei gesti diplomatici – non si fa illusioni sul desiderio o sulla capacità del Partito democratico di porre fine all’attuale politica di insediamento israeliana o di ridurre (non certo di eliminare) l’assistenza finanziaria militare a Israele. Ufficialmente, il Partito democratico sostiene la soluzione dei due Stati. In realtà, tuttavia, anche sotto il presidente Barack Obama, non ha fatto nulla per impedire a Israele di frenare la prospettiva che tale soluzione si realizzi. Ha sostenuto gli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza e non ha fatto togliere l’assedio alla Striscia. Ciononostante, negli ultimi anni sono entrate nel Partito democratico nuove forze che hanno osato criticare Israele come occupante. Esse riflettono i cambiamenti avvenuti tra i democratici, anche tra gli ebrei americani.
I palestinesi americani e i palestinesi che non sono americani hanno imparato a stringere con loro legami stretti e importanti – rimarca ancora la giornalista israeliana -. E insieme hanno reso la storia dei palestinesi e la loro lotta per l’indipendenza più accessibile al pubblico americano.
Importanti legami sono stati creati anche tra i gruppi palestinesi e il movimento Black Lives Matter. La questione ora è fino a che punto, con l’insediamento di un nuovo presidente democratico alla Casa Bianca, i palestinesi (e gli altri arabi) potranno migliorare e utilizzare i legami per rafforzare non solo l’Autorità palestinese ma anche la posizione politica palestinese”.
Fin qui Amira Hass. E’ importante sottolineare come The Movement for Black Lives, la coalizione di giustizia razziale che include la rete Black Lives Matter, ha chiesto di sostenere le campagne di disinvestimento con l’obiettivo di porre fine all’aiuto militare americano a Israele; i socialisti democratici americani hanno appoggiato BDS. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo.
Rashida sfida i falchi di Tel Aviv
La rieletta deputata democratica americana Rashida Tlaib il 16 agosto del 2019 rinunciò alla sua visita alla nonna in Cisgiordania, nonostante l’autorizzazione all’ingresso ricevuta dal ministero dell’Interno israeliano lo stesso giorno. Il ministero aveva concesso alla deputata la possibilità di entrare per “motivi umanitari” a patto di “non promuovere la causa del boicottaggio contro Israele durante il suo soggiorno”. Queste condizioni però sono state ritenute inaccettabili dalla Tlaib che ha quindi annunciato su Twitter la sua rinuncia a far visita alla nonna anziana: “L’imposizione del silenzio e un trattamento da criminale non è quello che mia nonna vuole per me. Ucciderebbe una parte di me. Ho deciso che visitare mia nonna sotto queste condizioni di oppressione va contro tutto quello in cui credo, alla mia lotta contro il razzismo, l’oppressione e l’ingiustizia”.
Lo scorso 1° luglio, una dozzina di legislatori democratici hanno firmato una lettera molto dibattuta, guidata dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez, anche lei rieletta, che chiede di porre condizioni per gli aiuti economici a Israele, se Gerusalemme dovesse annettere unilateralmente parti della Cisgiordania. “Se il governo israeliano dovesse continuare su questa strada, lavoreremo per assicurare il non riconoscimento dei territori annessi e perseguire una legislazione che porrà condizioni sui 3,8 miliardi di dollari di finanziamenti militari statunitensi a Israele per assicurare che i contribuenti statunitensi non sostengano in alcun modo l’annessione”, si legge nella lettera di Ocasio-Cortez. “Includeremo le condizioni dei diritti umani e la trattenuta di fondi per l’acquisto offshore di armi israeliane pari o superiori all’importo che il governo israeliano spende annualmente per finanziare gli insediamenti, così come le politiche e le pratiche che li sostengono e li rendono possibili”
La sinistra dem ha contribuito alla vittoria elettorale di Joe Biden, mantenendo l’unità del partito e non disperdendo voti, soprattutto giovanili, verso candidati radical o verdi, come avvenne nel 2016. Una ragione in più perché a Ramallah si torni a sperare.