Ed ora? Ora che l’ennesima mazzata ci è stata inferta? Ora che l’ennesima provocazione è stata inflitta? Ed ora? Ora che anche le ultime dichiarazioni, spregevolmente false, dispensate dalle autorità egiziane si sono rivelate per quello che sono sempre state, una vomitevole presa in giro? Ed ora? Ora che l’Egitto del presidente-carceriere Abdel Fattah al-Sisi ha sfidato apertamente, platealmente, uno dei poteri di uno Stato di diritto, la magistratura? Ora che un macabro sberleffo è la risposta alle improvvide aperture di credito di un ridicolo ministro degli Esteri e del don Abbondio di Palazzo Chigi? Ora che lo scempio di legalità e giustizia sul caso Regeni si è definitivamente consumato all’ombra delle Piramidi, che cosa intende fare il Governo italiano? Abbozzare, chinare la testa, continuare nell’esercizio che più gli riesce meglio quando ha a che fare con gli al-Sisi, gli Erdogan, i Putin, i Trump, ovvero quello della genuflessione? Continueremo a vendergli fregate? E come intendono comportarsi la tv di Stato e i grandi gruppi editoriali, i più importanti dei quali dipendono da potentati economici che con l’Egitto di al-Sisi continuano a fare affari? In una intervista in due puntate, un inedito nel giornalismo italiano, il direttore di uno dei più importanti quotidiani italiani, chiese al presidente egiziano “Signor Presidente, che idea si è fatta sulla morte di Giulio Regeni?”. Ed ora che la risposta è arrivata?
La misura è colma?
La misura è colma.
Cinque agenti della National Security, il servizio segreto civile egiziano, saranno processati con l’accusa di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni. Il processo romano si svolgerà però senza la collaborazione dei magistrati egiziani, che hanno invece deciso di procedere con un proprio processo autonomo, non contro i rapitori e gli assassini di Regeni, che giudica “ignoti”, ma nei confronti di chi rubò i suoi effetti personali, e quindi l’accusa nei loro confronti sarà semplicemente di furto.
Lunedì, dopo un vertice tra il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, e il procuratore generale del Cairo, Hamada Al Sawi, i due magistrati hanno diffuso un documento congiunto che spiega le posizioni divergenti delle due procure. L’Egitto non risponderà alla rogatoria inviata più di un anno fa dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, con cui l’Italia chiedeva informazioni per verificare le dichiarazioni di due testimoni che avrebbero raccontato di aver visto Regeni mentre veniva rapito da agenti della National Security, condotto in una caserma e poi trasferito in un’altra. L’Egitto non fornirà neppure L’Egitto non fornirà neppure gli indirizzi dei cinque membri dei servizi segreti egiziani indagati dalla procura di Roma, che quindi non potrà notificare loro gli atti.
Google è uno strumento da usare senza abusarne. Un consiglio: alla luce di questi schiaffi in faccia, andate a rileggere le entusiastiche dichiarazioni, pedissequamente riprese dai grandi organi d’informazione, fatte da Conte e Di Maio, o velinate da Palazzo Chigi e dalla Farnesina, sulle “importanti” aperture alla collaborazione che venivano da Il Cairo. Cercate le interviste alla Fracchia al portavoce di al-Sisi, il quale magnificava la collaborazione “senza precedenti” tra le Procure dei due Paesi. E visto che ci state, riprendete l’articolo di Globalist nel quale si dava conto dello show di Matteo Renzi quando il senatore di Rignano è stato audito dalla Commissione parlamentare su Regeni in qualità di presidente del Consiglio ai tempi del rapimento e del barbaro assassinio, un assassinio di Stato, del giovane ricercatore friulano. Fatelo e poi dite se non è scattato un moto inarrestabile di indignazione, di schifo.
Per quanto riguarda le accuse nei confronti dei membri della National Security, la procura del Cairo ha espresso “riserve sulla solidità del quadro probatorio”, e ha valutato che non ci fossero “prove sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio”. Nella nota congiunta si legge ancora che “la procura generale d’Egitto rispetta le decisioni che verranno assunte, nella sua autonomia, dalla procura di Roma”. E ci mancherebbe altro…
Per quanto riguarda il processo egiziano, però, le premesse non sono delle migliori. Il procuratore egiziano ha infatti informato Prestipino di voler procedere per furto nei confronti della “banda che, utilizzando documenti contraffatti di appartenenti a forze dell’ordine, aggrediva e derubava cittadini stranieri”. Una ricostruzione che la procura di Roma definì a suo tempo “priva di ogni attendibilità”.
La bufala dei rapinatori
La storia della banda di rapinatori è anzi considerata il depistaggio più clamoroso delle autorità egiziane sull’omicidio Regeni. Il 24 marzo del 2016 il ministro dell’Interno egiziano, uno dei fedelissimi di al-Sisi, scrive s Facebook che il caso è risolto: i colpevoli erano quattro membri di una banda criminale “specializzata nel fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi”. I rapinatori erano stati tutti uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia, quindi non poterono fornire la loro versione.
Il governo egiziano diffuse comunque le foto del passaporto di Regeni, della sua carta d’identità italiana, di una carta di credito e del suo tesserino dell’Università di Cambridge, tutto materiale che secondo gli agenti era stato trovato in possesso del gruppo di criminali. La ricostruzione, però, resse appena pochi giorni. Venne fuori che al momento della scomparsa di Regeni il capo della banda criminale si trovava a più di 100 chilometri dal luogo del sequestro.
C’erano altre cose che non tornavano: per esempio le autorità egiziane non seppero spiegare il motivo per cui dei criminali comuni avrebbero dovuto torturare Regeni per una settimana intera prima di ucciderlo. Inoltre le autorità italiane erano riuscite a scoprire che i documenti di Regeni erano stati portati nella casa di uno dei presunti rapinatori da un poliziotto.
In risposta all’omicidio e ai depistaggi compiuti dalle autorità egiziane, ad aprile del 2016 il governo Renzi decise di ritirare l’ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari. Nell’agosto 2017, dopo circa un anno di assenza e in seguito a una maggiore collaborazione da parte della procura di Giza, il governo Gentiloni nominò un nuovo ambasciatore in Egitto, Giampaolo Cantini, che è ancora oggi in carica. Una scelta aspramente criticata da colui che oggi dirige la Farnesina.
A Luigi lo “smemorato”.
Il vicepresidente della Camera scrive su Facebook i suoi timori sulla vicenda. “Le aziende hanno Renzi al guinzaglio. Il membro del direttorio grillino affonda il colpo, aggiungendo che “in India il governo italiano preferì le commesse di elicotteri Finmeccanica piuttosto che pretendere il rimpatrio dei nostri fucilieri di marina” e che anche per l’Egitto “si rischia di preferire gli interessi economici” rispetto alla risoluzione del caso Regeni. “L’Eni ha interessi stratosferici ed Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir stanno piantando tende”, aggiunge Di Maio, convinto “alcuni di questi gruppi hanno Renzi al guinzaglio”, fatto che impedirà al governo di farsi sentire e pretendere una soluzione reale all’omicidio del giovane ricercatore italiano. Con questo Governo, la verità sulla vicenda di Giulio Regeni farà la fine dei Marò. In India il Governo italiano preferì le commesse di elicotteri Finmeccanica piuttosto che pretendere il rimpatrio dei nostri fucilieri di marina. A giudicare dalle passerelle dei nostri ministri e dalle timide dichiarazioni del premier, anche in questa vicenda, ancora una volta si rischia di preferire gli interessi economici.
In Egitto l’Eni ha interessi stratosferici ed Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir stanno piantando tende. Alcuni di questi gruppi hanno Renzi al guinzaglio e non gli permetteranno mai di fare la voce grossa con il dittatore al Sisi per ottenere la verità sui responsabili della morte di Giulio. L’Egitto ci prende in giro. Ci avevano detto che Giulio fosse morto in un incidente d’auto, ma dopo l’autopsia in Italia scopriamo che la vera causa è stata la frattura della vertebra cervicale dopo un colpo alla testa. Sul corpo ci sono segni di un violento pestaggio. Ora come ora, se al Sisi si ostinerà a nascondere la verità, il Governo dovrebbe minacciare e eventualmente avviare ritorsioni economiche verso l’Egitto. Giulio era ed è uno dei nostri orgogli nel mondo. Una di quelle persone da cui prendere ispirazione, un ricercatore che era in Egitto per intervistare attivisti per i diritti dei lavoratori, per la sua ricerca. E’ scomparso la notte del 25 gennaio al Cairo in Egitto ed è stato ritrovato morto nove giorni dopo. Dall’Egitto ci hanno fatto sapere che era per ‘un incidente d’auto’. Ma l’autopsia eseguita dai medici italiani dimostra che sia ‘morto per frattura della vertebra cervicale dopo un colpo alla testa. Sul corpo segni di un violento pestaggio?.
C’è puzza di bruciato e il Governo Italiano deve andare fino in fondo. Lo faccia una volta tanto”.
Era il 7 febbraio 2016. Quasi un anno e mezzo dopo, lo stesso esternatore, ora però ministro degli Esteri, fa queste considerazioni: “”Riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo” sul caso e in tal senso “è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità e viceversa è fuorviante pensare che ritirarlo sia necessario per arrivare alla verità”. Ed ancora: “Tutto il governo comprende il dolore della famiglia Regeni” ma la presenza dell’ambasciatore “rientra nella strategia” dell’esecutivo anche “per chi come Patrick Zaky è ancora lì”, ha aggiunto. “Uno degli strumenti di pressione” per far progredire il caso sulla morte di Giulio Regeni ” è continuare nell’azione che porta avanti il corpo diplomatico in Egitto, che è sempre in correlazione con intelligence e gli altri apparati dello Stato presenti”. Così il 16 luglio 2020 g Di Maio in audizione davanti alla commissione d’inchiesta sul caso Regeni alla Camera.
Oltraggi infiniti
“In questi 5 anni – scrivono lunedì Paola e Claudia Regeni, i genitori di Giulio – abbiamo subito ferite e oltraggi di ogni genere da parte egiziana, ci hanno sequestrato, torturato e ucciso un figlio, hanno gettato fango e discredito su di lui, hanno mentito, oltraggiato e ingannato non solo noi ma l’intero Paese. Oggi i procuratori egiziani hanno la sfrontatezza di ‘avanzare riserve” sull’operato dei nostri magistrati ed investigatori e di considerare insufficienti le prove raccolte”.
Il fatto che i magistrati egiziani continuino a riproporre la tesi dei 5 rapinatori fatti spacciare per gli assassini di Regeni viene definito dai suoi genitori “una assoluta mancanza di rispetto nei confronti non solo della nostra magistratura ma anche della nostra intelligenza”.
Per questi motivi Paola e Claudio Regeni, insieme al loro avvocato Alessandra Ballerini, continuano a chiedere il ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto. “È evidente – rimarcano ancora i genitori del ricercatore italiano – che le strade tra le due procure non sono mai state così divise. Se da un lato apprezziamo la risoluta determinazione dei nostri procuratori che hanno saputo concludere le indagini, senza farsi fiaccare né confondere dai numerosi tentativi di depistaggio egiziani, d’altra parte non possiamo che stigmatizzare una volta di più la costante e plateale assenza di collaborazione da parte del regime”.
L’obiettivo è far incontrare le due Procure (di Roma e del Cairo, ndr) dal vivo, questo è il nostro prossimo obiettivo. Incontro che deve far progredire l’inchiesta. C’è un percorso che portiamo avanti come Governo, non dobbiamo lasciare soli i nostri inquirenti”. Così Di Maio in quell’audizione.
“Crediamo che il nostro governo debba prendere atto di questo ennesimo schiaffo in faccia e richiamare immediatamente l’ambasciatore. Serve un segnale di dignità, perché nessun Paese possa infliggere tutto il male del mondo a un cittadino e restare non solo impunito ma pure amico. Lo dobbiamo a Giulio e a tutti i Giuli e le Giulie in attesa ancora di verità e giustizia” Lo scrivono ancora nella nota i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, tramite l’avvocato Alessandra Ballerini.
Presidente Conto nel suo vocabolario politico, oltre che, esistono le parole “dignità”, “coerenza”, “rispetto”? E ora?
Argomenti: giuseppe conte