La verità di Luigi Di Maio è un autogol politico. L’ennesimo di una lunga serie. Perché smentisce ciò che era già risaputo, e che solo le Meloni, i Salvini, i Gasparri hanno fatto finta di non sapere buttandola come è loro solito in “caciara” politica, e cioè che lo scambio alla base del rilascio, dopo 108 giorni di carcere duro, dei 18 marittimi di Mazara del Vallo, da parte dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, non era basato sull’impossibile rilascio di quattro “calciatori” scafisti condannati dai tribunali italiani a pesanti condanne per traffico di esseri umani e procurata strage, ma su qualcosa di ben più importante per colui che mira a diventare il nuovo Rais della Libia.
La posta in gioco
Ma procediamo in ordine cronologico. “La liberazione dei nostri pescatori è avvenuta senza cedere nulla in cambio. C’entrano i nostri servizi e il nostro corpo diplomatico”. Così dixit il titolare della Farnesina intervenendo ieri in collegamento con Fabio Fazio durante la messa in onda di Che tempo che fa su Rai3 e ha smentito categoricamente le illazioni secondo cui i 18 pescatori di Mazara del Vallo sarebbero tornati a casa dopo 108 giorni grazie a uno scambio.
“All’inizio Haftar chiedeva la liberazione di quattro libici in Italia, condannati in secondo grado per traffico di esseri umani”, ha confermato il ministro degli Esteri che poi ha assicurato che l’Italia non ha ceduto a questa richiesta: “Non era accettabile, poi siamo giunti a più miti ragioni per cui ci si chiedeva di riprendere semplicemente le relazioni. Abbiamo riallacciato i rapporti, che si erano interrotti dal momento del sequestro dei pescatori, senza cedere nulla in cambio”. “Ho letto retroscena secondo cui l’Italia gli avrebbe assicurato la liberazione dei quattro trafficanti di esseri umani – ha aggiunto Di Maio – non è possibile per la Costituzione e perché non è vero”.
Senza nulla in cambio?!
In questa frase c’è tutto Di Maio. Occulta, minimizza, gioca con le parole. Ecco allora che per il capo della nostra diplomazia il riconoscimento politico di un generale che ambisce a defenestrare l’unico governo libico riconosciuto internazionalmente, e sostenuto dall’Italia, il Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez al-Sarraj, viene derubricato al “nulla”. Come “nulla” è l’esibizione da parte di Haftar sui media locali e sul circuito internazionale del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri italiani precipitatisi a Bengasi per celebrare davanti al “munifico” generale la liberazione dei 18 sequestrati. Le immagini, come le parole, in diplomazia a volte contano più dei fatti. E le immagini di Conte e Di Mao che celebrano il generale “golpista” – così considerato da al-Sarraj – è qualcosa che per Haftar vale molto ma molto di più della liberazione di quattro sciagurati.
La “verità” del Cavaliere
Che Conte e Di Maio abbiano bussato (telefonicamente, attraverso canali diplomatici e d’intelligence) alla porta di tutti gli attori esterni protagonisti della guerra per procura libica, è cosa ampiamente risaputa e che Globalist ha documentato in più articoli. E tra i toc toc diplomatici c’è anche quello alla porta del Cremlino e dello “zar” della Federazione Russa, il presidente Vladimir Putin. E il suo intervento si sarebbe rivelato quello decisivo. A esserne convinto è un grande amico di Putin: Silvio Berlusconi. Altro che “successo del governo”, a giocare un ruolo decisivo per la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo sequestrati è stato l’amico Vladimir. È stato lui “con le sue telefonate ad Haftar a farli liberare, questa è la verità di quello che è successo”, ha rivelato il fondatore di Forza Italia nel corso di una telefonata in vivavoce con Marco Marrone, l’armatore del Medinea, uno dei due pescherecci rientrati stamattina a Mazara del Vallo con i 18 pescatori bloccati in Libia per 108 giorni giorni. “Non bisogna dirlo però; poi si dice che lui è un sostenitore di Haftar, ma non vuole che si dica”, ha aggiunto Berlusconi.
Che non si dica una cosa risaputa: assieme all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti, la Russia è da tempo sponsor di Haftar, così come lo è da tempo del presidente siriano Bashar al-Assad. Altra cosa certa: in politica estera non esistono regali a costo zero. Prima o poi, un prezzo va pagato.
Voci e sussurri
“Abbiamo sentito parlare in carcere di uno scambio di prigionieri tra noi e alcuni detenuti libici, ma non abbiamo saputo altro”. Così Pietro Marrone, comandante del peschereccio Medinea, si è espresso davanti ai carabinieri di Mazara del Vallo durante un interrogatorio che è durato quasi tre ore. I 18 pescatori sequestrati e imprigionati in Libia sono tornati a casa dopo 108 giorni: “All’inizio pensavamo che fosse un sequestro normale – ha raccontato – poi abbiamo capito che la cosa era diversa, forse era più una questione politica”. Riguardo al presunto scambio di prigionieri ha aggiunto che “ne parlavano i detenuti ma i carcerieri non ci dicevano niente, ci facevano segnale che non dipendeva da loro ma da quelli più in alto e indicavano le stellette militari”. Per quanto riguarda il loro periodo in cella, Marrone ha sostenuto che i pescatori hanno subito molte umiliazioni: “Ci mettevano con le spalle al muro, ci gridavano a pochi centimetri dalla faccia. È stata durissima, nessuno ci diceva niente. Ci sentivamo abbandonati dallo Stato, per noi era finita. Non ci credevamo più di riuscire a tornare a casa per Natale”.
“ll passaggio più bello scrive Bisignani – è stato quando l’improvvisata squadra di salvataggio con aria grave, consapevole di compiere una grande operazione per l’umanità, è partita da Ciampino verso Bengasi. Si sentivano sicuri i nostri Johnny English, mentre le ‘intelligence’ di mezzo mondo se la ghignavano visto che ormai in quella parte del Mediterraneo, l’Italia, una volta potente e rispettata, non conta più nulla a beneficio, nell’ordine di: Germania, Francia, Turchia, Russia ed Emirati.
La gaffe di Casalino
“Poco prima del decollo l’ufficiale più alto in comando aveva fatto il solito briefing, raccomandando di spegnere ogni tipo di strumento elettronico perché si entrava in una zona di guerra ad alto rischio. Conte e Di Maio sonnecchiavano mentre Casalino raggiungeva un orgasmo mediatico e smaniava per informare i suoi 18 pennivendoli più fidati in pieno travaglio da ansia. Dopo averli solleticati sin dal giorno prima sul motivo della missione, ora, come dare prova tangibile in tempo reale? Eureka! Inviando la posizione esatta del luogo d’atterraggio! Che non è solo uno screenshot, ma un reato preciso per violazione di segreto di Stato per il quale è previsto il carcere che (lo diciamo per precisione) non è farsi rinchiudere nella casa del Grande Fratello. Lo ‘spin doctor’ del Premier, inoltre, non risulta avere nemmeno il Nos, il nulla osta di segretezza necessario per questo tipo di azione. A meno che questa non sia stata qualificata di ‘massima segretezza militare’.
La bravata di Rocco ha fatto infuriare gli uomini dei Servizi presenti e allertato le contraeree, perché quel gesto di stupidità poteva scatenare i droni avversari nella zona per un’incursione di gruppi armati, da sempre smaniosi di creare ancora più destabilizzazione…”. E ancora: “Certo a Bengasi, spettacoli del genere se ne son visti poco, ma il generale Khalifa Haftar ha apprezzato la recitazione dei nostri ‘eroi’, istruiti a bacchetta da Gianni Caravelli, capo dell’Aise, tanto riservato quanto efficiente, intento, lui sì, a liberare i diciotto pescatori di Mazara del Vallo senza fare chiasso. A dare una mano anche il figlio di Haftar, Saddam, che, con il soprannome di ‘piccolo Gheddafi’, nonostante le feroci chiacchiere sul suo conto, sa infilarsi come un furetto in ogni pertugio trovando in Conte un interlocutore perfetto..”.
Sembra “Oggi le comiche” in versione internazionale. O la parodia di un thriller.
“In ogni caso – rimarca Vincenzo Nigro su Repubblica – la nuova fase dimostra che l’idea dell’Onu di un ticket istituzionale fra Agila Salah (Est) alla presidenza e Fathi Bashaga (Tripoli) come premier ormai è praticamente superata. Fra l’altro proprio ieri Haftar ha ripreso i contatti ad alto livello anche con l’Egitto, che negli ultimi mesi aveva declassato il generale, preferendogli Agila Salah. Il maresciallo ha ricevuto il potente capo dell’intelligence egiziana, il generale Abbas Kamel, uomo di fiducia di Sisi”.
Incrociamo le riflessioni e le rivelazioni. Misceliamo tutto con quanto detto a Globalist, con la garanzia dell’anonimato, fonti diplomatiche molto addentro alle cose libiche, ecco uscire il quadro di un successo umanitario (grazie al lavoro dell’Aise non certo del duo Conte&Di Maio) e di un disastro politico.
Spiegato così: i negoziati in corso per costruire un ticket di governo Tripoli-Bengasi, prevedeva una uscita di scena onorevoli di Sarraj (pronto per lui un posto all’Onu), sostituto, per la parte tripolina dall’attuale ministro dell’Interno (uomo del potente clan di Misurata) Fathi Bashagha, affiancato dal presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh Issa. Mangiata la foglia, Haftar ha scombinato tutti i piani e sequestrando i pescatori italiani ha mandato un messaggio a più destinatari, interni ed esterni: se volete stabilizzare la Libia, è con me che dovete negoziare. Conte e Di Maio lo hanno certificato.
Libia, vergogna senza fine.
Non bastavano i tagliagole e i mercenari reclutati dalle due parti in guerra e dai loro sponsor esterni. Nel caos libico, s’inserisce un’altra pagina inquietante, vergognosa: o combatti, o ti ammazziamo. Il ricatto ai migranti. Le parti impegnate nel conflitto in Libia stanno usando i migranti come combattenti. Lo denuncia l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati. ”Abbiamo le prove, da parte di persone che si trovano nei centri di detenzione, che è stata offerta loro la proposta di restare lì per un periodo indefinito oppure di combattere al fronte”, ha detto alla Dpa il rappresentante speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel. Al momento, Cochetel dice di non essere in grado di dire quanti migranti abbiamo accettato l’offerta. ”Se decidono di farlo, viene data loro una uniforme, un fucile e vengono immediatamente portati nel mezzo della guerriglia urbana”, ha aggiunto. ”Abbiamo visto che questi tentativi di reclutamento” dei migranti ”riguardano prevalentemente i sudanesi – ha proseguito Cochetel – Riteniamo questa scelta motivata dal fatto che parlano arabo. Entrambe le parti” in conflitto in Libia sono coinvolte”, ovvero le milizie fedeli al governo del premier libico Fayez al-Sarraj e all’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar.
Il mercato degli schiavi
A denunciarlo è l’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar. Una fonte del Comando Generale di Rajma, fuori Bengasi, ha rivelato all’emittente televisiva al Arabiya l’esistenza di un vero e proprio mercato dove si vendono migranti come se fossero merce nel villaggio di Adiri, nel distretto di Wadi al Shatii, a nord di Sebha. Secondo questa fonte, nel villaggio del sud della Libia i trafficanti di esseri umani si vendono i gruppi di migranti come se fossero in un mercato essendo quella una tappa del lungo viaggio dei migranti che attraversano il Sahara diretti verso le coste della Tripolitania. I migranti vengono venduti in cambio di centinaia o di migliaia di dollari. Lo ha scoperto di recente l’apparato di intelligence dell’Lna che ha trovato questo mercato in uno dei punti di transito principali del flusso di migranti. L’indagine è partita dal confine meridionale della Libia dove operano le bande di trafficanti di esseri umani che fanno capo alle tribù Tebu, i quali ricevono questi migranti dal vicino Niger a bordo di furgone. Ogni migrante una volta arrivato al confine tra Niger e Libia deve pagare 500 euro per poter entrare in territorio libico. I migranti poi, una volta arrivati nella città di Sebha, vengono ammassati nella sede della vecchia compagnia indiana e consegnati ad un’altra banda che fa capo alla tribù dei al Muqaraha la quale ha il compito di dividere i migranti mettendoli in diverse caserme e depositi. Dopo qualche giorno i migranti vengono di nuovo radunati in una piazza che si trova a circa 6 chilometri dal centro di Adiri. In quel posto si trova il mercato nel quale i migranti vengono venduti a dei mediatori libici i quali li selezionano: i più forti vengono usati come mercenari per i combattimenti in corso, chi invece non è in grado prosegue il viaggio verso l’Europa. Alcuni migranti vengono presi al prezzo di 2 mila dollari e portati a Bani Walid per poi essere distribuiti a due gruppi: una parte viene presa dalle bande di Misurata e un’altra da quelle di Zuwara. Queste due bande hanno il compito di portarli sulla costa per poi farli partire sui barconi verso l’Europa. “In Libia ci sono ancora uomini, donne e bambini che rischiano la vita ogni giorno – rimarca Riccardo Gatti, presidente di Open Arms – . In Libia il Coronavirus non è l’unico problema, la loro vita è violata. Tutti i giorni”.
Sotto gli occhi imbelli e/o complici della comunità internazionale. Spiegatelo a Di Maio, se ci riuscite.