Regeni, Zaki e le armi all'Egitto: la domanda scomoda che nessuno ha fatto al presidente Conte
Top

Regeni, Zaki e le armi all'Egitto: la domanda scomoda che nessuno ha fatto al presidente Conte

Si sono sprecate le domande su una possibile crisi di Governo, sulle manovre di palazzo, c’è chi ha tirato fuori la Libia e anche l’Etiopia. Ma...

Conte e Al Sisi
Conte e Al Sisi
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Dicembre 2020 - 16.12


ATF

La domanda che Globalist avrebbe voluto porre al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è quella che avrebbero fatto le associazioni per i diritti umani, le organizzazioni pacifiste, la famiglia di Giulio Regeni e quella di Patrick Zaki. A suggerirla è uno degli infaticabili animatori della Rete Italiana Pace e Disarmo, Giorgio Beretta.

“Il 23 dicembre è stata consegnata alla Marina militare egiziana ed è salpata in sordina dalla Spezia alla volta dell’Egitto la prima delle due fregate Fremm denominata al Galala: per la Rete italiana Pace e Disarmo, che aveva chiesto di sospendere questa fornitura, questa consegna, avvenuta senza cerimonia nè un comunicati da parte del governo o dei ministeri competenti, manifesta l’imbarazzo del governo per tutta l’operazione della vendita di sistemi militar all’Egitto. Lo scorso febbraio, durante l’audizione nella Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uccisione d Giulio Regeni, la segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, ha confermato che Uama (l’autorità nazionale per il rilascio delle autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari) ha autorizzato le principali aziende italiane del settore degli armamenti (Leonardo ex Finmeccanica e Fincantieri) alle trattative con l’Egitto per quello che è chiamato il “contratto del secolo”: un contratto tra i 9 e gli 11 milioni per la fornitura all’Egiito di consistente pacchetto di sistemi militari tra cui altre 4 fregate militari, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346. Un contratto, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra, che farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani. Lei può confermare che le trattive per questo contratto sono tuttora in essere? Sono state vincolate a precisi passi in avanti da parte delle autorità egiziane per fare luce sull’uccisone di Giulio Regeni?”.

Questa è la domanda che è stata suggerita in rete ma che nessuno di coloro che hanno potuto interloquire con il premier, ha scelto di porre. Si sono sprecate le domande su una possibile crisi di Governo, sulle manovre di palazzo, c’è chi ha tirato fuori la Libia e anche l’Etiopia.  Temi evidentemente considerati più pregnanti degli affari fatti con un regime che tiene in carcere oltre 60mila oppositori politici, attivisti e avvocati dei diritti umani, giornalisti indipendenti, blogger,  un regime che si è reso responsabile di un delitto di Stato che ha avuto come vittima un giovane ricercatore italiano. Un regime che ha chiuso in un carcere di massima sicurezza, in condizioni disumane, in una sorta di “ergastolo amministrativo”, un giovane studente dell’Università di Bologna, cittadino egiziano sul passaporto, ma italiano di fatto, Patrick Zaki, la cui colpa è, come Patrick a scritto in una drammatica lettera di Natale, aver difeso i diritti umani. All’Egitto del presidente-carceriere Abdul Fattah l’Italia continua a vendere armi, in sordina, come denunciato dalla Ripd e documentato da Globalist.

Per rinfrescare la memoria del nostro premier, riproponiamo un passaggio del comunicato di Ridp: “La Rete Italiana Pace e Disarmo ritiene soprattutto inammissibile che questa ed altre forniture militari all’Egitto, Paese coinvolto nel conflitto in Libia e il cui regime autoritario è responsabile di incarcerazioni persecutorie nei confronti degli attivisti per i diritti umani, vengano concretizzate senza alcun dibattito in Parlamento in chiara violazione della legge 185 del 1990. Una legge che (in piena coerenza con norme internazionali successive ratificate dall’Italia, come il Trattato Attt) regolamenta le esportazioni di sistemi e materiali militari italiani e che prevede che l’esportazione di armamenti sia vietata ‘verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere’ (art. 1. c. 6). L’operazione di vendita è inoltre intollerabile in considerazione della mancata collaborazione da parte delle autorità egiziane a fare chiarezza sul terribile omicidio del nostro connazionale Giulio Regeni e della prolungata incarcerazione del giovane studente Patrick Zaki e di migliaia di attivisti e oppositori politici da parte del regime del generale al Sisi. Non a caso lo scorso 16 dicembre il Parlamento Europeo ha approvato una specifica Risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni alle libertà di espressione e dei diritti di difesa e nella quale, si esortano gli Stati membri dell’Unione Europea a sospendere la vendita di armi all’Egitto chiedendo “una revisione profonda e completa delle relazioni dell’Ue con l’Egitto”, ivi compresa la possibilità di misure restrittive nei confronti di alti dirigenti responsabili di violazioni dei diritti umani. Tale Risoluzione è stata votata alla vigilia delle mobilitazioni ‘Stop Armi Egitto’ promosse in oltre 30 città italiane dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e che hanno visto la partecipazione simbolica di attivisti in rappresentanza di centinaia di organizzazioni della società civile per la pace, il disarmo, la nonviolenza. Per tutti questi motivi e in considerazione delle ipotizzate forniture da parte dell’Italia all’Egitto di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, unitamente a 24 caccia multiruolo Eurofighter e 20 aerei addestratori M346 ed altro materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro rinnoviamo al Governo la richiesta di sottoporre l’intera questione all’attenzione delle Camere e in tal senso esortiamo il Parlamento a richiedere con urgenza un dibattito approfondito sulle esportazioni di sistemi militari all’Egitto”.

Leggi anche:  Mentre neo-fascisti e post-nazisti avanzano e viene eletto Trump Conte dice che lo schema destra-sinistra è superato

Quaranta domande, nessuna sull’Affare Militare del secolo_ la fornitura dell’Italia all’Egitto per 11 miliardi di euro. Potere della lobby militare o autocensura? Cos’è che impedisce ai giornalisti di fare domande scomode? È il twitter di Giorgio Beretta. Che Globalist gira ai partecipanti alla conferenza sperando, almeno da loro, delle risposte.

Una cosa è certa: Il mondo solidale, è un mondo che non si arrende, che non demorde. E che continuerà a chiedere conto a chi governa l’Italia delle decisioni prese e di quelle colpevolmente rimandate. Signor presidente del Consiglio, perché continuiamo a vendere armi all’Egitto e a non richiamare il nostro ambasciatore?  Globalist insisterà, come una goccia cinese, a chiedere conto di ciò. A chi siede a Palazzo Chigi e anche all’improponibile titolare della Farnesina. Anche il silenzio è una risposta.  

Un Post Scriptum grande come una casa

Il Procuratore generale ha annunciato che per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto”: lo ribadisce, in un comunicato, la Procura generale egiziana. La magistratura italiana il 10 dicembre scorso aveva chiuso le indagini contro 4 appartenenti ai servizi egiziani, passo che precede l’apertura di un processo. Ma la nota diffusa dal Cairo torna a sottolineare che il procuratore “ha incaricato le parti cui è affidata l’inchiesta di proseguire le ricerche per identificare” i responsabili. “Il procuratore” generale egiziano Hamada Al Sawi “esclude ciò che è stato attribuito a quattro ufficiali della Sicurezza nazionale a proposito di questo caso”, si afferma inoltre nel testo pubblicato sulla pagina Facebook dell’istituzione cairota, la quale ha evitato di fornire l’elezione di domicilio degli indagati come richiesto invece dalla Procura di Roma.   “Vista la morte degli accusati, non c’è alcuna ragione di intraprendere procedure penali circa il furto dei beni della vittima, il quale ha lasciato segni di ferite sul suo corpo”, aggiunge il comunicato.   Il riferimento è ai cinque componenti della “banda criminale” specializzata in rapine a “stranieri”, “tra i quali un altro italiano oltre alla vittima”, ricorda la nota. Il gruppo fu sgominato in uno scontro a fuoco con forze di sicurezza al Cairo il 24 marzo 2016. Le autorità egiziane sostennero che nel loro covo furono trovati documenti di Regeni, tra cui il passaporto, ma la versione non convinse gli inquirenti italiani. Già nel comunicato congiunto del 30 novembre con la Procura di Roma, quella generale egiziana aveva avanzato “riserve sul quadro probatorio” che, a suo dire, è costituito “da prove insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio”. 

Leggi anche:  Ad Atreju Conte rifiuta l'etichetta di 'sinistra' e mette tra parentesi l'antifascismo nel tripudio della destra

Su questo ha qualcosa da dire, presidente Conte? E lei, signor Ministro degli Esteri? Quando avrete la dignità, il coraggio è chiedere troppo, di richiamare l’ambasciatore italiano e convocare quello egiziano? E lo stop alla vendita di armi a chi ha elevato la provocazione a regola dei rapporti bilaterali? Fino a quando furerà la vostra genuflessione all’autocrate del Cairo? 

Native

Articoli correlati