Giulio Regeni, cinque anni di lotta per la verità e la giustizia
Top

Giulio Regeni, cinque anni di lotta per la verità e la giustizia

A cinque anni da quel messaggio la verità sull'assassinio del ricercatore friulano è ancora lontana, nonostante il lavoro della magistratura italiana.

Verità per Giulio Regeni
Verità per Giulio Regeni
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Gennaio 2021 - 15.51


ATF

Alle 19,41 di oggi, sospendete per un minuto ciò che state facendo. Un minuto di silenzio, in memoria di un giovane italiano, che alle 19,41 di cinque anni fa, inviò dall’Egitto il suo ultimo sms. Era Giulio Regeni. lui non si seppe più nulla fino al 3 febbraio, quando il suo cadavere, torturato, fu trovato su una strada tra Il Cairo e Alessandria. A cinque anni da quel messaggio la verità sull’assassinio del ricercatore friulano è ancora lontana, nonostante il lavoro della magistratura italiana .

Cinque anni di lotta per ottenere verità e giustizia

Cinque anni sono trascorsi d’allora. Cinque anni di una incessante battaglia condotta da Paola Diffendi e Claudio Regeni, i genitori di Giulia, dalla loro instancabile e coraggiosa avvocata Alessandra Bellerini, e da quel mondo solidale, fatto di associazioni per i diritti umani, in primis Amnesty International, Ong, personalità del mondo della cultura, dell’arte, la Federazione nazionale della Stampa italiana, e migliaia di cittadini. Cinque anni di depistaggi, di ostruzionismo, di ricostruzioni mendaci e offensive per la memoria di Regeni, di promesse di collaborazione mai attuate da parte dell’Egitto. Cinque anni di ossequi, più o meno mascherati, che i governi succedutisi in Italia in quell’arco di tempo, hanno profuso al presidente-carceriere che ha fatto dell’Egitto uno stato di polizia tra i più feroci al mondo: Abdel Fattah al-Sisi. 

C’è un giudice a Roma

“L’azione della Procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà, ha portato a conclusione indagini che hanno individuato un quadro di gravi responsabilità, che, presto, saranno sottoposte al vaglio di un processo, per le conseguenti sanzioni ai colpevoli. Ci attendiamo piena e adeguata risposta da parte delle autorità egiziane, sollecitate a questo fine, senza sosta, dalla nostra diplomazia”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a cinque anni dal rapimento a Il Cairo di Giulio Regeni. “In questo giorno di memoria – continua il Capo dello Stato – desidero anzitutto rinnovare sentimenti di vicinanza e solidarietà ai genitori di Giulio Regeni, che nel dolore più straziante sono stati capaci in questi anni di riversare ogni energia per ottenere la verità, per chiedere che vengano ricostruite le responsabilità e affermare così quel principio di giustizia che costituisce principio fondamentale di ogni convivenza umana e diritto inalienabile di ogni persona”. “In questo doloroso anniversario – conclude Mattarella – rinnovo l’auspicio di un impegno comune e convergente per giungere alla verità e assicurare alla giustizia chi si è macchiato di un crimine che ha giustamente sollecitato attenzione e solidarietà da parte dell’Unione europea. Si tratta di un impegno responsabile, unanimemente atteso dai familiari, dalle istituzioni della Repubblica, dalla intera opinione pubblica europea”.

Bugia di Stato

Marzo 2016. Il ministero dell’Interno dichiara risolto il caso del ricercatore di Fiumicello: si era trattato di una rapina finita male. I documenti di Regeni erano stati trovati nella casa di una famiglia di “criminali” alla periferia della capitale e durante un blitz per le strade del Cairo le forze di sicurezza avevano aperto il fuoco sterminando cinque persone a bordo di un minibus, tutti considerati membri della banda. Il regime aveva appena prodotto “la madre di tutti i depistaggi, ad oggi considerata la versione investigativa ufficiale dei pm egiziani dietro il caso Regeni. 

Leggi anche:  Schlein polemica: "Egitto paese sicuro? Offesa del governo visto che lì è stato torturato e ucciso Regeni"

Per la National Security il caso era chiuso. I media di regime sbattono i volti dei “mostri” in prima pagina. E’ grazie al lavoro di coraggiosi giornalisti indipendenti egiziani, in particolare di Basma Mostafa, che venne smascherata  l’esecuzione e la falsa pista della banda dei cinque presunti rapinatori.  Con la sua famiglia, dopo essere uscita di prigione ad ottobre, la giornalista è riuscita a lasciare il Paese e rifugiarsi in Libano: “Non potevamo più restare e non torneremo fino a quando ci sarà al-Sisi, altrimenti verrei arrestata all’istante”, dice la reporter al fattoquotidiano.it

“Il 25 gennaio, 5 anni fa, Giulio Regeni veniva sequestrato e poi brutalmente torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane. Un sentito grazie alla magistratura italiana per l’importante lavoro svolto. Non ci stancheremo mai di chiedere giustizia”, ha scritto oggi il presidente del Parlamento europeo David Sassoli su Twitter

“Cinque anni fa oggi, al Cairo, alle 19.41 Giulio Regeni inviava l’ultimo messaggio e pochi minuti dopo il suo cellulare avrebbe agganciato, un’ultima volta, il ripetitore all’interno della stazione metropolitana di Dokki. Sono quelli gli ultimi minuti, o i primi, di un lungo inferno che il regime egiziano ha brutalmente inflitto al giovane ricercatore italiano”, scrive in una nota Erasmo Palazzotto (LeU), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

“Un inferno che è andato mostruosamente oltre il rapimento, la tortura e la barbara uccisione di Giulio, perché prolungato da omissioni, depistaggi e colpevoli menzogne. – continua Palazzotto – Un viaggio infernale che continua ancora oggi, cinque anni dopo quel maledetto 25 gennaio e che potremo considerare chiuso, almeno su un piano giudiziario, solo il giorno in cui l’Egitto deciderà di collaborare”.

“Davanti a un crimine così grande e così brutale, non possiamo che continuare ad impegnarci, ogni giorno, per ottenere Verità e Giustizia sostenendo la grande battaglia di civiltà che i genitori di Giulio quotidianamente conducono. Per questo, oggi alle 19.41, invito tutte e tutti ad unirsi all’iniziativa lanciata dalla famiglia Regeni per chiedere con cartelli, striscioni, foto, braccialetti, fiaccole, video, verità e giustizia per Giulio”, conclude Palazzotto.

Sul caso Regeni interviene anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell che, al Consiglio dei ministri degli Esteri, ha ringraziato Luigi Di Maio per aver chiesto di discutere del caso di Giulio Regeni alla Ue, “poiché è una questione grave non solo per l’Italia ma per tutta l’Unione”. Parlando del “brutale” assassinio, Borrell ha evidenziato come da allora si sia chiesto all’Egitto di far luce sul caso e di cooperare. “Siamo sodali” con l’Italia e la famiglia Regeni nella richiesta di far piena luce, ha concluso.

“Un carico di giallo”

“25 gennaio 2021… un carico di giallo”. Lo scrive la madre di Giulio Regeni, Paola Deffendi, sui suoi profili social, allegando una foto di una carriola, all’interno di un vivaio, caricata con piantine gialle. Il giallo è il colore di Amnesty International e della battaglia che la famiglia Regeni sta portando avanti per chiedere verità e giustizia per la morte di Giulio. In occasione della ricorrenza l’organizzazione “Giulio siamo noi” ha invitato gli utenti social a postare una foto, una immagine o un video, scrivendo su un supporto giallo “una frase che chieda verità e giustizia per Giulio, il richiamo dell’ambasciatore e stop accordi con chi tortura”.

Leggi anche:  Schlein polemica: "Egitto paese sicuro? Offesa del governo visto che lì è stato torturato e ucciso Regeni"

L’Università di Cambridge ha diffuso un messaggio sulla libertà accademica in memoria di Giulio Regeni chiedendo “verità e giustizia” per il ricercatore friulano. In una nota si ricorda che “Giulio Regeni veniva sequestrato, torturato e brutalmente ucciso al Cairo mentre faceva ricerca sul campo per il dottorato che avrebbe conseguito presso l’Università di Cambridge”. Affermando che “la morte di Giulio è stata una tragedia. Un colpo terribile per i suoi familiari e i suoi amici. Un evento orribile per i suoi colleghi universitari a Cambridge, al Cairo, e per l’intera comunità accademica globale”, l’Università afferma inoltre che “si è trattato anche di un assalto al principio di libertà di ricerca accademica che contraddistingue il lavoro di tutte le università, e che Giulio incarnava”. Il vice rettore di Cambridge Stephen J Toope afferma che “questa settimana ci fermiamo, nel ricordare le qualità di uno studioso aperto agli altri e pieno di intelligenza, curiosità e compassione. Onoriamo l’impegno di Giulio per i diritti umani, onoriamo i suoi genitori e la sua famiglia, e tutti coloro i quali hanno lottato per la verità e la giustizia per Giulio”.

Lettera a Di Maio

“Rifiutando di concedere l’autorizzazione all’esportazione di sistemi militari all’Egitto, l’Italia ha la possibilità di bloccare simili forniture da parte di tutta l’Unione Europea”. E’ il passaggio centrale di una lettera che la Rete Italiana Pace e Disarmo ha inviato al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in occasione del quinto anno dal rapimento in Egitto di Giulio Regeni e in vista del Consiglio dei ministri degli Affari esteri dell’Unione europea di oggi.

“Si tratta di una misura – spiegano i promotori della missiva – che non penalizzerebbe il nostro Paese, ma anzi avrebbe l’effetto di coinvolgere tutti gli Stati membri dell’Unione europea bloccando a livello europeo per almeno tre anni tutte le licenze di esportazioni di sistemi militari sostanzialmente identici a quelli rifiutati dall’Italia”. In proposito, la lettera richiama la norma prevista dalla Posizione Comune del Consiglio 2008/944 (“Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”) per contrastare la concorrenza sleale tra i Paesi dell’UE facendo in modo che le licenze per forniture di sistemi militari non autorizzate da un Stato non vengano rilasciate da altri Stati membri. 

Il riferimento è non solo alle due fregate Fremm originariamente destinate alla Marina Militare italiana (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi), ma soprattutto alle trattative in corso per nuove forniture militari: quattro fregate Fremm e 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346. Un contratto che secondo notizia di stampa avrebbe un controvalore dai 9 agli 11 miliardi di euro, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra, e che farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani per molti anni a venire. Primo posto come destinatario delle autorizzazioni militari dell’Italia già ottenuto nel 2019, con 871,7 milioni derivanti in particolare dalla fornitura di 32 elicotteri del gruppo Leonardo (24 elicotteri AW149 più otto AW189, tutti predisposti con mitragliatrici).

A fronte delle recenti sprezzanti dichiarazioni del Procuratore Generale del Cairo – che la stessa Farnesina ha definito “inaccettabili” – se davvero il nostro Paese intende ottenere quanto richiesto dalla Procura generale di Roma è venuto il momento di sospendere tutte le trattative in corso con l’Egitto per le forniture di sistemi militari. La lettera di Rete Italiana Pace e Disarmo evidenzia cruciali interrogativi sugli effetti destabilizzanti nella regione mediorientale che il possibile utilizzo di questi armamenti da parte dell’Egitto potrebbe avere. Da una parte il Cairo non ha ancora aderito al “Trattato internazionale sul commercio di armi” (Att) e dunque non offre alcuna garanzia di rispettarne regole e i divieti invece considerati fondamentali dall’Italia, dall’altra il regime del presidente al-Sisi ha intrapreso un programma di riarmo triplicando la spesa in armamenti e facendo dell’Egitto il terzo Paese al mondo per acquisizione di sistemi militari. Va ricordato, inoltre, il sostegno egiziano alle azioni militari, tra cui bombardamenti di strutture civili, da parte dell’Esercito Nazionale Libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar che contribuiscono all’inasprimento del caos in Libia con effetti immediati soprattutto sulle vite della popolazione civile. Rete Italiana Pace e Disarmo richiama inoltre la Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2020 che denuncia le persistenti violazioni dei diritti umani e delle libertà democratiche in Egitto: il Parlamento europeo ha chiesto “un riesame approfondito ed esaustivo dei rapporti dell’UE con l’Egitto” e di “stabilire chiari parametri di riferimento che subordinino l’ulteriore cooperazione con l’Egitto al conseguimento di progressi nelle riforme delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto e dei diritti umani”.. “Vincolando le forniture di sistemi militari all’Egitto a chiari miglioramenti nel rispetto delle libertà democratiche e dello Stato di diritto, l’Italia e l’Unione europea hanno la possibilità di segnare un nuovo corso nelle relazioni con il Cairo all’insegna di una positiva cooperazione in diversi ambiti tra cui soprattutto quello della effettiva sicurezza della regione” è la chiusura della lettera inviata da RiPD al titolare della Farnesina. 

Leggi anche:  Schlein polemica: "Egitto paese sicuro? Offesa del governo visto che lì è stato torturato e ucciso Regeni"

“Chiedere all’Europa di assumersi le sue responsabilità è giusto e opportuno, senza dimenticare però che Giulio Regeni era un cittadino italiano”, ha rimarcato recentemente con Globalist Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. 

 Intanto, è stata fissata al 29 aprile prossimo l’udienza preliminare davanti al gup di Roma Pier Luigi Balestrieri per i quattro agenti dei servizi segreti accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Il 20 gennaio è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per gli 007 Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Nei loro confronti le accuse mosse dal procuratore Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Il 15 gennaio, Giulio Regeni avrebbe compiuto 31 anni. Aveva una vita davanti a sé. Una vita strappatagli dagli aguzzini di regime al servizio di Abdel Fattah al-Sisi.  La politica è fatta anche di gesti simbolici. E così pure la diplomazia. E sarebbe stato un gesto simbolico dall’alto valore politico e morale se oggi, a cinque anni dal rapimento del giovane ricercatore, il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri avessero richiamato in Italia per consultazione l’ambasciatore Cantini. Neanche questo è stato fatto. Ma la battaglia continua. 

Native

Articoli correlati