Siria, dieci anni di mattanza infinita e dimenticata
Top

Siria, dieci anni di mattanza infinita e dimenticata

Dieci anni di guerra: oltre 384 mila morti, 11 milioni, di profughi, la metà della popolazione, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale.

Guerra civile in Siria
Guerra civile in Siria
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Gennaio 2021 - 17.55


ATF

Venticinque gennaio 2011. Inizia la mattanza siriana. Dieci anni di guerra: oltre 384 mila morti, 11 milioni, di profughi, la metà della popolazione, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale.

 “Sono cifre spaventose perché il numero di chi è scappato all’estero ha raggiunto quota 5,5 milioni mentre gli spostati interni sono più di 6 milioni. Costituiscono il gruppo di rifugiati più grande al mondo. E la maggior parte di loro ha un solo desiderio: rientrare a casa loro”, afferma Carlotta Sami, portavoce per Italia dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

 Dieci anni di orrori, di stragi di civili, di crimini contro l’umanità. Dieci anni di miliziani stupratori e tagliagole, di un “macellaio”, il presidente Bashar al-Assad, ancora al potere solo perché sostenuto militarmente dai russi, dagli iraniani, dagli hezbollah libanesi. 

Siria, la tragedia continua

 A dieci anni dall’inizio della guerra in Siria, i bambini continuano ad essere uccisi, feriti, sfollati e privati dei beni di prima necessità. Solo nella giornata di giovedì, 2 bambini, di 1 e di 10 anni, sono stati uccisi in un attacco ad Hama. Un altro bambino è rimasto ferito – comunica l’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia -. 

 Ad appena tre settimane dall’inizio del nuovo anno, almeno 15 bambini sono stati uccisi in circostanze in cui sono state utilizzate armi esplosive e ordigni inesplosi. Altri 15 bambini sono stati feriti. 

 Nel nordest del paese, un’impennata di violenze al campo di Al-Hol – dove più di due terzi della popolazione è composta da bambini  sta mettendo a rischio le loro vite e sottolinea l’esigenza di soluzioni di lungo termine che comprendano il rimpatrio o la ricollocazione dei bambini bloccati lì. 

Ad Hassakeh, i servizi di base e le infrastrutture civili continuano ad essere attaccate. L’approvvigionamento d’acqua dalla stazione idrica di Alouk, una delle fonti principali di acqua per quasi mezzo milione di persone, è stato nuovamente interrotto all’inizio di questa settimana. L’interruzione dei servizi idrici costringe i civili a ricorrere ad acqua non sicura che espone le persone, in particolare i bambini, al rischio di contrarre malattie potenzialmente letali legate all’acqua. 

Leggi anche:  Siria: la Turchia chiede che alla nuova leadership di Damasco venga concesso di governare

 Nel nordest del paese, il rigido clima invernale, con piogge torrenziali e neve, ha colpito almeno 22.000 persone. Più di 2 milioni di persone sono sfollate e vivono in tende, rifugi e edifici distrutti o non finiti. Secondo quanto riportato, proprio questa settimana, un bambino di sei anni è morto perché un muro costruito attorno alla sua tenda gli è crollato addosso a causa di allagamenti e nevicate. 

 I bambini e le famiglie in Siria hanno sofferto tanto negli ultimi 10 anni e questa sofferenza sembra non accennare a finire. Almeno 4,7 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. La povertà sempre più diffusa, la mancanza di carburante e i crescenti prezzi del cibo stanno costringendo i bambini a lasciare la scuola per lavorare. Ogni settimana, la veloce diffusione della pandemia da Covid-19 sta rendendo alle famiglie sempre più difficile sopravvivere e garantire un’istruzione e protezione di base ai loro bambini. 

 L’Unicef, insieme alla più ampia comunità umanitaria, continua a lavorare senza sosta per fornire supporto, ma non possiamo farlo da soli. Abbiamo bisogno di fondi, di un migliore accesso e, soprattutto, è necessario che tutti proteggano i bambini e li tengano lontani dai pericoli. La violenza in Siria deve finire.” 

L’Isis attacca

Quattro militari governativi siriani, tra cui un ufficiale, sono stati uccisi nell’est della Siria in un attacco rivendicato stamani dall’Isis.  Lo riferiscono media siriani.

L’agenzia governativa siriana Sana conferma che almeno tre militari sono stati uccisi e altri 10 feriti in un agguato compiuto lungo la strada che collega Homs a Dayr az Zor, capoluogo della regione orientale ricca di risorse energetiche e sotto controllo delle forze governative, di quelle russe e di milizie filo-iraniane. 
 La Sana attribuisce però la responsabilità indiretta agli Stati Uniti, affermando che “i terroristi” provenivano da sud, dalla regione di Tanf, al confine tra Siria e Giordania in un’area di fatto controllata dagli Stati Uniti. 

Leggi anche:  L'Onu dice che dalle nuove autorità in Siria stanno arrivando segnali "costruttivi"

 L’Osservatorio dal canto suo aveva riferito dell’uccisione di quattro militari della Guardia repubblicana di Damasco e del ferimento di altri 10 nei pressi di Shula nella regione di Dayr az Zor. 
 Nella rivendicazione odierna da parte dell’Isis si conferma il bilancio di una ventina di vittime tra uccisi e feriti e si afferma che l’attacco è stato compiuto contro un convoglio di militari della Guardia Repubblicana. Da settimane si susseguono attacchi attribuiti all’Isis o rivendicati esplicitamente dal gruppo jihadista nella Siria centrale e orientale contro forze governative dirette nella ricca regione petrolifera di Dayr az Zor.

Appello a Biden

Leader cristiani e vescovi, intellettuali europei, attivisti e operatori sanitari, personalità del mondo musulmano sono alcuni fra i 95 firmatari di una lettera aperta al neo-presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per far cancellare le sanzioni alla Siria. Nella missiva, indirizzata alla Casa Bianca – e al presidente francese Emmanuel Macron, alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al premier britannico Boris Johnson – il 21 gennaio, si sottolineano i danni gravissimi delle misure restrittive a un popolo che “chiede risposte rapide”. Questi provvedimenti, avvertono i firmatari, hanno contribuito “alla fame e alla povertà dei cittadini”. 

I promotori dell’iniziativa, una realtà trasversale islamo-cristiana, di laici e religiosi, diplomatici, politici ed ex militari in pensione, chiedono al neo inquilino della Casa Bianca e ai leader occidentali di “aiutare i siriani ad alleviare la crisi umanitaria”. Essa è causa di “profonde sofferenze” per i civili e possono innescare “una nuova ondata di instabilità in Medio Oriente”. 

Leggi anche:  Siria, al-Jolani dice non volere conflitti con Israele ma chiede che Tel Aviv fermi le azioni militari

Un richiamo per l’allentamento delle sanzioni era arrivato anche da Alena Douhan, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Siria, secondo cui questi provvedimenti “sono violazioni dei diritti umani” e “peggiorano” una realtà già critica su cui si innesta “la pandemia di Covid-19”.

A livello internazionale, proseguono i firmatari della lettera aperta a Biden, “questa forma di punizione collettiva della popolazione civile sta conducendo la Siria verso una catastrofe umanitaria senza precedenti”. Fino a 10 anni fa il Paese arabo “era un magazzino di grano” per la tutta regione, ma oggi secondo il Programma alimentare mondiale (Wfp) sperimenta “non solo la fame, ma la stessa carestia”. 

In questa realtà critica, la pandemia di nuovo coronavirus “si sta diffondendo in tutto il Paese” e “in modo incontrollato” anche a causa del “collasso” del sistema sanitario “distrutto da un decennio di guerra”. Ogni notte, spiega la lettera-appello, “milioni di siriani vanno a dormire in condizioni di fame e di freddo”, mentre le sanzioni unilaterali “rendono ancora peggiore il calvario economico”. “Vi esortiamo, signor presidente – conclude la missiva – ad aiutare i siriani ad alleviare la crisi umanitaria che minaccia di lanciare una nuova ondata di instabilità nel Medio oriente, sostenendo il lavoro della relatrice speciale Onu. Crediamo che gli interessi nazionali degli Stati Uniti possano essere difesi senza punire in modo collettivo il popolo siriano con sanzioni economiche”.

Se Biden vuole marcare una discontinuità in politica estera con il suo predecessore, potrebbe iniziare da qui. Togliere le sanzioni che colpiscono un popolo stremato e non indeboliscono un regime che gode del sostegno di Mosca e Teheran.  

 

Native

Articoli correlati