Libia, i mercenari e il Palazzo delle nebbie chiamato Onu
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Libia, i mercenari e il Palazzo delle nebbie chiamato Onu

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha chiesto, con una dichiarazione approvata all'unanimità, «il ritiro senza ulteriori ritardi di tutte le forze straniere e mercenari dalla Libia». Ma la questione è complicata

Mercenari in Libia
Mercenari in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Marzo 2021 - 15.38


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Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha chiesto, con una dichiarazione approvata all’unanimità, «il ritiro senza ulteriori ritardi di tutte le forze straniere e mercenari dalla Libia», accogliendo con favore la convalida da parte del Parlamento del nuovo governo unificato libico, che presterà giuramento il 15 marzo prossimo.

“Il Consiglio di sicurezza chiede a tutte le parti di attuare pienamente l’accordo di cessate il fuoco (del 23 ottobre) e sollecita gli Stati membri a rispettare e sostenere la piena attuazione dell’accordo”, si legge nella dichiarazione. Secondo le Nazioni Unite, circa 20 mila soldati e mercenari erano ancora in Libia alla fine del 2020 e fino ad oggi non è stato osservato alcun movimento di ritiro. «Il Consiglio di sicurezza chiede il pieno rispetto dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite da parte di tutti gli Stati membri, in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza», indica ancora il testo. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite responsabili del controllo, l’embargo dal 2011 è stato regolarmente violato per anni.

In quel voto unanime, c’è anche la Russia. E qui siamo nella tragicommedia Onu

Il dossier Onu

Secondo gli analisti della Nazioni Unite, infatti, contractor militari russi sono impegnati in Libia in operazioni “su vasta scala” — dal training al fronte — per sostenere le ambizioni politiche armate di Haftar.  Ci sarebbero tra gli 800 e i 1200 uomini del gruppo Wagner, che operano attivamente in Libia almeno dal 2018. Tra questi ci sono anche una quarantina di cecchini in prima linea sul fronte tripolino. Sono ex forze speciali che mesi fa hanno fatto la differenza pro-Haftar, e da quando hanno un po’ allentato le attività il capo miliziano dell’Est ha iniziato a indietreggiare.

Nel report ci sono le immagini di questi professionisti della guerra e prove tecniche circostanziali, come la presenza in Libia di granate Vog-25 da 40 mm, che sono state utilizzate dagli agenti Wagner nell’Ucraina orientale e in Siria.

Le analisi sono state effettuate dagli esperti dell’Onu che monitorano le sanzioni contro la Libia — sottoposta a embargo dal 2011, misura costantemente violata su entrambi i fronti, e ora oggetto del controllo della missione navale europea Irini  attivata da pochi giorni. Il report è la prima ampia analisi delle Nazioni Unite sui mercenari russi, ed è stato visto da Bloomberg in anteprima.

Un’entità collegata a Wagner si è impegnata in una “campagna altamente sofisticata ed estesa sui social media” per sostenere Haftar e le sue operazioni a terra, ha osservato il gruppo di analisti onusiani, aggiungendo che le “operazioni psicologiche” sono vietate sotto l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite. Uno sforzo simile è stato intrapreso per sostenere Saif Al-Islam Gheddafi, il figlio del defunto dittatore, considerato il cavallo su cui Mosca ha puntato in Libia.

Ora, non è certo un segreto che in Russia non si muova foglia che lo “Zar” non voglia: e la recente “scomparsa” dal campo di battaglia dei mercenari russi, era un messaggio molto chiaro che un adirato Putin ha indirizzato ad Haftar: se credi di potercela fare da solo, accomodati pure, ma scordati del sostegno russo, diretto o indiretto. Haftar ha capito e si è adeguato. Per il capo del Cremlino, l’ex ufficiale, neanche tra i più capaci, di Muammar Gheddafi, può al massimo aspirare ad essere, per Mosca, l’Assad libico, vale a dire lo strumento di una politica imperiale russa nel Mediterraneo.

I soldi che circolano in Est Libia sono stampati in Russia. Il danaro stampato a Tripoli può circolare soltanto in Tripolitania. Gli interessi sono evidenti.

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Per Mosca non ci sono in ballo solo gli uomini del gruppo Wagner” che sostengono il generale Khalifa Haftar, spiega al Foglio Maxim Suckov, professore al Moscow State Institute per le relazioni internazionali.

Per Suckov “il Cremlino ha gradualmente aumentato la sua influenza anche sul piano politico del conflitto”. Il riferimento è al piano segreto rivelato da Bloomberg e dal Daily Beast: nell’aprile dello scorso anno, Yevgeny Prigozhin, leader della Wagner e uomo molto vicino a Vladimir Putin, aveva avvicinato il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, per verificare se ci fossero le possibilità di farne il leader politico della nuova Libia. I due consulenti inviati da Mosca, Maxim Shugaley e Samir Seifan, incontrarono Gheddafi almeno tre volte prima di essere arrestati a Tripoli. “Mentre gli Stati Uniti restano defilati dallo scenario libico, i russi cercano di gestire la transizione con una strategia che potremmo definire del ‘leading from behind’”, dice Suckov.

Terra di conquista

Globalist ha documentato con articoli e interviste questa guerra di mercenari al soldo di Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e, più defilati, Arabia Saudita e Qatar. L’Lna di Haftar sembra continui ia reclutare mercenari sudanesi grazie ai fondi elargiti dagli Emirati Arabi Uniti: le Rapid Support Forces (Rsf) del Sudan hanno annunciato nei giorni scorsi l’arresto di circa 160 persone al confine con la Libia dirette nel Paese nordafricano per combattere in qualità di mercenari.

Lo ha riferito in una nota dell’Rsf, forze legate al governo transitorio del Sudan formate in larga parte dalle milizie janjaweed e che rispondono alle autorità militari e di sicurezza di Khartoum. “Le forze di sicurezza congiunte di stanza al confine tra Sudan e Libia hanno arrestato 160 persone che avrebbero trovato impiego come mercenari nel conflitto in Libia, tra cui due stranieri”, ha riferito una nota dell’Rsf. “Inviare i sudanesi a combattere in Libia come mercenari è inaccettabile”, ha dichiarato il generale Jaddo Hamdan, comandante dell’Rsf nello stato del Darfur settentrionale.

“Abbiamo monitorato e assicurato il confine con la Libia per combattere l’immigrazione clandestina, la tratta di esseri umani e tutte le imprese criminali transfrontaliere”, ha aggiunto. Il Sudan sta attualmente attraversando una fragile transizione democratica dopo che violente proteste hanno spinto lo scorso anno i militari a rovesciare il presidente Omar al Bashir. A gennaio, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha affermato che molti arabi della regione del Darfur del Sudan, devastata dai conflitti, e il vicino Ciad stavano combattendo come “mercenari” in Libia. Il mese scorso, Khartum ha arrestato 122 persone, tra cui otto bambini nel Darfur occidentale, che avrebbero dovuto servire come mercenari nella guerra civile in Libia.

La spartizione turco-russa delle Libie

Tra l’aprile 2019 e il luglio 2020 Mosca ha sostenuto (in)direttamente la marcia del feldmaresciallo Khalifa Haftar (comandante dell’Esercito nazionale libico, Enl) verso Tripoli, mentre Ankara ha contribuito attivamente alla difesa della capitale e delle posizioni del Governo di accordo nazionale (Gna), riconosciuto dall’Onu.

Al termine del conflitto, il confine tra la Libia turca e quella russa è stato posto lungo la linea Sirte-Gufra, frontiera potenzialmente estendibile sino al Fezzan. Negli ultimi mesi Turchia e Russia hanno discretamente consolidato la propria presenza militare rispettivamente in Tripolitania e Cirenaica.

Ankara dispone di numerosi avamposti sulla costa mediterranea: da Zuwāra a Misurata, passando naturalmente per Tripoli. Area nella quale opera la missione italiana Ippocrate e incrocia la Nave Caprera.

Dal canto suo Mosca – soprattutto mediante il Gruppo Wagner – 

– ha stabilito postazioni militari volte a proteggere la “mezzaluna petrolifera”, tra le massime poste in gioco del conflitto libico. Fortificando inoltre le installazioni militari dell’Enl funzionali alla protezione dei terminal petroliferi.

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Della spartizione turco-russa delle Libie ha scritto Gianandrea Gaiani nel numero 2/21 di LimesL’Italia al fronte del caos.

 “Se sul piano politico il nuovo esecutivo di transizione potrebbe quindi offrire un’immagine positiva della Libia assicurandole una parvenza di unità necessaria per accreditarsi presso gli organismi internazionali, su quello militare – annota Gaiani – non avrà la forza per modificare l’attuale assetto che vede il paese tagliato in due. (…)

Tripoli ha rafforzato il processo di «istituzionalizzazione» delle milizie, ponendole direttamente sotto il controllo della neonata Autorità di supporto della stabilità voluta da al-Sarrāğ ma ampiamente monitorata dai consiglieri militari turchi, la cui presenza è ormai una costante ben visibile in diverse aree della Tripolitania. Il ritiro delle forze straniere, che avrebbe dovuto completarsi il 23 gennaio, è di fatto inattuabile, nonostante anche la nuova amministrazione statunitense abbia chiesto la rimozione immediata delle forze russe e turche dalla Libia. (…)

Le Nazioni Unite stimano che ci siano 20 mila militari, contractor e mercenari stranieri in Libia a sostegno delle fazioni in guerra, ma il loro numero sarebbe in aumento se si vuole dare credito a quanto reso noto il 3 febbraio dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus, ong con sede a Londra guidata da Rāmī ‘Abd al-Raḥmān) circa il trasferimento di altri mercenari siriani filoturchi verso Misurata e Tripoli da parte di Ankara. Più che di un rafforzamento potrebbe però trattarsi di un avvicendamento, per compensare lo scontento di molti combattenti siriani assoldati dalla Turchia ma rimasti senza stipendio dopo la fine delle operazioni belliche in Tripolitania, quando il numero di mercenari siriani raggiunse secondo alcune fonti i 17 mila effettivi. (…)

Secondo fonti diplomatiche il numero di voli logistici provenienti dalla Russia è calato dai 93 dell’agosto 2020 a una decina in dicembre, un numero medio simile a quello dei cargo turchi che, con alcune navi, stanno trasferendo mezzi e materiali, realizzando infrastrutture per l’addestramento e dispiegando batterie missilistiche per la difesa aerea Hawk XXI e radar 3D Aselsan Kalkan a protezione delle basi. Incluso l’aeroporto di Misurata, dove è insediato anche il comando dell’intelligence militare turco in Libia e della linea di confronto con l’Enl tra Abū Qurayn (a est di Misurata) e Sirte. Lungo questa linea, che si estende a sud fino alla base aerea di al-Ğufra, si registrano segnali distensivi ma anche evidenze di consolidamento militare”.

Al servizio del “Sultano”

Quanto ad Erdogan, il presidente turco per la sua campagna libica fa leva sulla compagnia militare privata Sadat, etichettata da alcuni come “l’esercito ombra di Erdogan” in Libia, dove è attiva già dal 2012 (stesso anno in cui è stata fondata). Si tratta di gruppi di contractor formati da ex militari, con la benedizione dei servizi segreti turchi (Mit). Alla testa di Sadat è Adnan Tanriverdi, comandante in pensione dell’esercito, che ha specificato che la compagnia “fornisce sostegno e addestramento militare in 22 Paesi del mondo islamico e dell’Asia Centrale”.  Sadat è stata impegnata in operazioni spesso clandestine, come l’addestramento delle milizie siriane da opporre al regime di Bashar al-Assad. L’intervento di Sadat nei Paesi coinvolti nelle “primavere arabe è servito a Erdogan per spingere nell’orbita turca realtà in profondo cambiamento, come appunto quella libica, molto spesso attraverso la raccolta di informazioni e interventi diretti circoscritti. La Turchia per avere la meglio sul campo in Libia si affida anche ai mercenari siriani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umannegli ultimi sei mesi Ankara ha portato sul fronte a Tripoli 9.600 mercenari e altri 3.300 li sta addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio, vi sono circa 180 minori di età compresa tra 16 e 18 anni. 

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Dal maggio 2019, in coincidenza non casuale con il coinvolgimento principalmente di Turchia e Russia nel conflitto, sono arrivati in Libia mercenari dal Ciad e alcuni ribelli del Darfur. Poi, non sono mancate le forze di supporto sudanesi, i combattenti libici Toubou e ciadiani nel sud per difendere campi e piste di atterraggio e combattenti russi per lavori più tecnici. In particolare, la Turchia aveva iniziato a rischierare i terroristi mercenari anti-Assad dalla Siria, come truppe di terra già nel 2019, subito dopo la firma degli accordi marittimi e militari intercorsi con il Gna.  La maggior parte di questi combattenti apparteneva all’esercito nazionale siriano “reclutato” da Erdogan per affrontare il governo di Assad sostenuto da Mosca. La maggioranza proveniva da due formazioni: la Brigata Sultan Murad (composta in parte da turkmeni dell’area di Aleppo e autoproclamata come un gruppo “islamista”) e la Brigata al-Sham (principalmente da Idlib e designata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti). Molti altri provenivano dalla Brigata al-Mu’tasim (Aleppo) e da Jabhat al-Nusra (una branca di al-Qaeda). Per la maggior parte, questi gruppi sono ben addestrati ed esperti nella cooperazione con il supporto al combattimento con le forze armate turche

Secondo il Pentagono, la Turchia avrebbe pagato e offerto la cittadinanza a migliaia di mercenari siriani per combattere al fianco delle milizie libiche alleate del Gna

Una conferma sul ruolo svolto dai mercenari al servizio del “Sultano” di Ankara, viene da un recente report dell’organizzazione per i diritti umani “Syrians for Truth and Justice” (Stj). La Stj è riuscita a mettersi in contatto con un testimone che lavora al confine turco-siriano di Jarabulus e che ha testimoniato come il Ministero della Difesa turco abbia incaricato alcune compagnie di sicurezza privata, tra cui Sadat ed Abna al-Umma di reclutare volontari tramite l’ombrello dell’Esercito libero siriano. Le compagnie in questione si occuperebbero di esaminare i potenziali mercenari per poi preparare tutta la documentazione necessaria e trasferirli legalmente dalla Turchia alla Libia, con tanto di contratto che va dai 3 ai 6 mesi.

Secondo testimonianze raccolte e pubblicate nel report, i volontari che passano i test di reclutamento vengono poi trasferiti con dei bus in territorio turco dove le compagnie di sicurezza si occupano di registrare i dati di ciascun volontario (impronte, dna, impronta ottica digitale). In seguito, a tutti viene consegnato un documento di identità da utilizzare in Libia e un Kimlik (documento che i turchi rilasciano ai rifugiati siriani). Un processo di circa 3 o 4 giorni, dopo di che i mercenari vengono inviati in Libia.

L’Stj ha poi raccolto la testimonianza di un volontario registratosi con un ufficiale della Divisione “Sultan Murad” noto come Abu Stef ma che ha poi desistito dal partire. L’intervistato ha illustrato l’esperienza di un suo compagno che dopo i test veniva messo in un hotel per poi ricevere documenti turchi, in modo da uscire dalla Turchia senza essere individuato come cittadino siriano. I mercenari vengono trasferiti in Libia con navi ed aerei per poi essere mandati al fronte senza alcun tipo di supporto logistico o indicazioni di alcun tipo. Il volontario ha poi smentito il salario di $3 mila al mese, spiegando che si tratta di soli $1.200 e senza possibilità di poter rientrare in Siria.

Chi crede che Russia e Turchia accettino di ritirare i propri mercenari e allentare la presa sulle due Libie, crede alle  favole, anche se da tempo è in età matura.

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