A sei anni dall’inizio del conflitto, uno dei più sanguinosi della storia recente con circa 250 mila vittime, lo Yemen è preda di una vera catastrofe umanitaria. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che nel paese è in corso la più grave carestia mai vista negli ultimi decenni nel mondo, con oltre 16 milioni di persone senza cibo e più di 2,2 milioni di bambini che potrebbero essere colpiti da grave malnutrizione nel 2021.
L’inasprimento del conflitto in tutte le principali città del paese, ma soprattutto a Marib (a 200 km dalla capitale Sana’a), costringerà oltre 400 mila persone a fuggire dai combattimenti nelle prossime settimane. Una seconda ondata di Covid-19 ha fatto registrare da inizio marzo un aumento dei contagi 22 volte superiore rispetto a febbraio, mentre la reale diffusione del virus in un paese distrutto è impossibile da quantificare.
È l’allarme lanciato da Oxfam – tra le organizzazioni umanitarie al lavoro nel paese dall’inizio della guerra – che rilancia un appello urgente alla comunità internazionale perché agisca sulle parti in conflitto per arrivare ad una pace immediata, aumentando i fondi per sostenere la risposta umanitaria (al momento finanziata solo al 50%). Nella conferenza sulla crisi dei Paesi donatori di inizio marzo, sono stati stanziati circa 1,7 miliardi di dollari in meno rispetto al 2020, con l’Italia che ha mantenuto il suo contributo fermo a soli 5 milioni di euro.
Seconda ondata di contagi: il tasso di mortalità è del 22%, uno dei più alti al mondo
Dopo aver registrato dal 2015 la più grave epidemia di colera della storia, in questo momento il popolo yemenita sta combattendo con la seconda ondata di contagi da Covid–19, e lo fa senza quasi nessuno strumento medico e di prevenzione, registrando un tasso di mortalità del 22%, uno dei più alti al mondo.
“Gli oltre 3.400 casi registrati a oggi con 751 vittime sono solo una minima parte della reale estensione dell’epidemia nel Paese – dice Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Già mesi fa, il contagio si era esteso in quasi tutti i Governatorati dello Yemen, mentre i casi gravi, che sono gli unici a essere testati, vanno aumentando esponenzialmente nelle ultime settimane, aggiungendosi a combattimenti sempre più intensi. Molte persone per paura di essere coinvolti negli scontri non si fanno curare al presentarsi dei sintomi o spesso non riescono ad aver accesso ai pochi ospedali in funzione, e anche se hanno la fortuna di poter contare sulle cure, rinunciano perché non possono permettersi di pagarle. Con i pochi test disponibili, è difficile quantificare la reale portata del problema, ma lo scenario lascia intendere che il Covid stia accelerando rapidamente. Ogni giorno si è testimoni di nuove tragedie e molte morti, senza cure mediche, sono addebitabili a sintomi simili al Covid”.
Per i 30 milioni di abitanti dello Yemen funziona solo la metà delle strutture sanitarie a disposizione, con solo 700 posti di terapia intensiva, 500 ventilatori polmonari e nessun vaccino (forse i primi arriveranno a fine marzo).
Con l’arrivo imminente della stagione delle piogge, torna inoltre a riaffacciarsi l’incubo del colera, che dal 2015 ha contagiato oltre 2 milioni di persone, di cui oltre 150 mila solo nei primi sei mesi del 2020, secondo gli ultimi dati disponibili.
Con l’inasprirsi del conflitto, il Covid-19 non dà tregua.
In un Paese che già contava oltre 4 milioni di sfollati interni, l’escalation delle ostilità intorno a Marib ha già provocato 1,2 milioni di profughi (secondo fonti locali potrebbero essere 3 milioni), favorendo una facile e inarrestabile corsa del virus tra persone costrette a vivere assiepate in campi di fortuna. Nuovi combattimenti sono in corso anche intorno a Taiz, Hajjah, Hudaydah e Aldhale’e, con i bombardamenti aerei da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita che proseguono e la situazione ad Aden al collasso.
“La popolazione a Marib e in altre città è in una situazione disperata e ogni giorno deve scegliere se restare, rischiando la vita, o scappare. Molti bambini continuano a morire negli scontri; si cerca riparo nel deserto dove non c’è né acqua, né cibo. – conclude Pezzati – Le responsabilità delle grandi potenze internazionali, tra cui l’Italia, che per anni hanno venduto armi alle parti in conflitto, sono evidenti e devono una volta per tutte scuotere le coscienze di tutti. Adesso più che mai è il momento per la comunità internazionale di sostenere gli sforzi per la pace che sta compiendo l’inviato delle Nazioni Unite nel Paese e in questa direzione l’apertura della nuova amministrazione Usa lascia nuove speranze. Ma la fine della tragedia in Yemen sarà scritta solo quando agli interessi politici ed economici sarà anteposta la tutela della vita e del futuro di un intero popolo, che non può resistere oltre a quest’inferno!”.
La risposta di Oxfam a fianco del popolo yemenita
Dal luglio 2015, Oxfam ha soccorso oltre 3 milioni di yemeniti in 8 governatorati del Paese. Dalla conferma dei primi casi di Coronavirus ha rafforzato il proprio intervento per rispondere alla pandemia, distribuendo kit igienico-sanitari e acqua pulita nei campi profughi. Ha realizzato campagne di sensibilizzazione sulle norme di prevenzione del contagio tra la popolazione, collaborato con le autorità sanitarie, per prevenire e limitare la seconda ondata di contagi.
Per rispondere all’emergenza alimentare, sta soccorrendo circa 280 mila yemeniti con voucher per l’acquisto di cibo, e offerte di lavoro per la riabilitazione di infrastrutture idriche e stradali, rimaste distrutte nel conflitto. Allo stesso tempo è al lavoro con 4 organizzazioni locali, per migliorane servizi utili e prevenire episodi di abusi e violenze sulle donne, aumentati del 63% negli ultimi due anni. Fino al 28 marzo, si può sostenere la risposta di Oxfam con un SMS al 45584.
I più indifesi tra gli indifesi
Dall’inizio dell’escalation del conflitto nel Paese – rimarca Save the Children in un report per i sei anni di guerra – i bambini continuano a pagare il prezzo più alto. Negli ultimi tre anni, in Yemen, tra le vittime civili 1 su 4 era un bambino: 2.341 minori (il 22,85% del totale) che hanno perso la vita tra il 2018 e il 2020 a causa di un conflitto che, il 25 marzo, compirà ben 6 anni.
Il numero dei minori caduti nel conflitto è solo quello delle vittime confermate ma, verosimilmente, potrebbe essere molto più alto. I dati dimostrano che questa guerra sta diventando sempre più mortale per i bambini: nel 2018 i minori rappresentano una vittima su cinque tra i civili, nel 2019 e nel 2020 il rapporto è salito – appunto – a 1 su 4.
Quella che si sta consumando in Yemen è la più grave crisi umanitaria al mondo. 2 persone su 3 hanno urgente bisogno di aiuto per sopravvivere e i bambini continuano a morire a migliaia, oltre che per le bombe, per cause facilmente prevenibili. Attualmente, nel Paese, 11,3 milioni di bambine e bambini necessitano di assistenza umanitaria.
Lo scenario è ulteriormente aggravato dalla carestia, peggiorata dai tagli agli aiuti recentemente annunciati, dalle restrizioni di lunga data all’accesso umanitario, al collasso economico, dagli attacchi alle infrastrutture civili come scuole e ospedali e ai combattimenti in corso nelle aree densamente popolate.
Ben 1,8 milioni di bambini sotto i 5 anni risultano attualmente malnutriti, tra i quali circa 400 mila affetti da gravi forme di malnutrizione. Inoltre, 2 milioni di bambini nel Paese sono tagliati fuori dalla scuola, privati del diritto fondamentale all’istruzione e ancora più esposti a gravi rischi riguardo alla loro protezione.
In questo momento in cui i bambini yemeniti avrebbero bisogno dell’aiuto e dell’attenzione del mondo, i livelli di finanziamento complessivi raggiungono attualmente meno della metà di quanto necessario – denuncia Save the Children . I fondi per il trattamento dei bambini colpiti dal conflitto da parte delle organizzazioni, infatti, si sono ridotti di oltre il 40% rispetto all’anno scorso.
Le trattative per la pace in Yemen
“Questi bambini –afferma Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia – affrontano ogni giorno la minaccia della carenza di cibo, malattie, sfollamenti e grave carenza di accesso a servizi sociali di base. I servizi sociali sono a malapena in funzione e tutto il Paese è sull’orlo del collasso”. I ragazzi sono i primi obiettivi per i reclutatori militari – spiega Iacomini – ci sono oltre 2.635 bambini reclutati e utilizzati da forze e gruppi armati. Le ragazze sono esposte ad un rischio maggiore di contrarre matrimonio”. Secondo un’indagine del 2016 condotta in 6 governatorati, circa tre quarti delle donne si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni e il 44,5% aveva meno di 15 anni.
Sempre secondo i dati dell’Unicef, oltre ai bambini uccisi, 3.652 hanno subito amputazioni, 2.635 bambini soldato (tutti maschi) combattono in entrambi gli schieramenti. Tra i circa 2 milioni di sfollati interni oltre 1 milione sono bambini. 4,1 milioni non possono andare a scuola, 1,8 milioni sono gravemente malnutriti. Tra i 16 milioni di yemeniti che non hanno accesso ad acqua e servizi sanitari almeno 8,6 milioni sono bambini, tra cui 1,8 milioni rischiano patologie gastrointestinali che possono portare alla morte.
In Yemen ben 8,4 milioni di persone su una popolazione totale di 29 milioni non hanno da mangiare e rischiano di morire senza gli aiuti internazionali. Nel distretto di Aslam 400 bambini solo nel mese di gennaio sono stati ricoverati per problemi legati alla malnutrizione, a questi si sono aggiunte altre 1.319 persone nei mesi successivi. Il 15% dei bimbi del distretto è alla fame. Ed è per questo che, come riportato in un recente reportage dell’Associated Press – sono costretti a mangiare l’unica cosa che le bombe non hanno distrutto in Yemen: le foglie.
Ogni pasto, nel distretto di Aslam, è costituito da un impasto di foglie della vite locale, lavate spesso in acqua contaminata dalle feci e fatte bollire. Il risultato è una poltiglia verde dal sapore acido. La gente non ha altro. Questo tipo di cibo causa diarrea e crampi allo stomaco ma l’unica clinica della zona è a molti chilometri di distanza e si può raggiungere solo con l’automobile o la moto. Ogni infezione rischia di essere letale. Non basta? Il World Food Programme (WFP) ha usato parole inequivocabili per descrivere la situazione in Yemen: “Lo Yemen è un disastro e io non vedo la luce alla fine del tunnel in questo momento”, ha dichiarato il direttore esecutivo del Wfp, David Beasley, secondo quanto riportato da al Jazeera. “Lo Yemen rappresenta innegabilmente e di gran lunga la peggior crisi umanitaria del mondo” ha aggiunto Beasley. Secondo i dati dal Wfp sono circa 18 milioni le persone che in Yemen si trovano in condizione di insicurezza alimentare e il prezzo dei generi alimentari è aumentato del 35% nell’ultimo anno.
Nel nosocomio di Haydan, che sorge nei pressi del fronte, distrutto da un bombardamento nel 2015 e riaperto a marzo 2019, Medici Senza Frontiere (Msf) ha curato circa 7mila persone, di cui il 44% bambini con meno di cinque anni e il 41% donne Ogni giorno la struttura accoglie in media 60 persone; i bambini vengono ricoverati per infezioni respiratorie, dissenteria e anemia. Frédéric Bonnot, coordinatore Msf ad Haydan, conferma che i bombardamenti hanno “un impatto sulla nostra capacità di trasferire i pazienti” verso altre strutture più attrezzate.
Questo causa “ritardi” a fronte di “situazioni di vita o di morte”. “In un’area montuosa – aggiunge Roberto Scaini, vicepresidente Msf – e di villaggi remoti, il problema più grande resta come arrivarci. Spesso i feriti di guerra arrivano in condizioni ormai critiche. Per chi soffre di malattie croniche, cardiache o tumori, è difficile garantire trattamenti a lungo termine in tutto lo Yemen”. In questo contesto di guerra e devastazioni emergono continue storie di sofferenze: come quella della piccola Abeer, neonata di tre settimane, arrivata all’ospedale fra le braccia del nonno.
Egli – raccontano gli operatori di Msf – ha dovuto vendere il proprio pugnale (Jambiya) per pagare le spese del viaggio, mentre il padre è rimasto a lavorare nei campi. Ora è sotto antibiotici. O quella della 19enne Qoussor, che ha sempre vissuto sotto la guerra, e oggi ha un figlio di un mese e mezzo di nome Nabil, con difficoltà respiratorie. Hanno aspettato oltre un’ora e mezza ai margini della strada, prima di trovare un’auto che li portasse all’ospedale, dove il bambino è rimasto ricoverato per più di una settimana.
Yemen, perché non sia solo un anniversario.
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