Matteo Renzi il "Golfista": l'amico dei principi e una legge da votare
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Matteo Renzi il "Golfista": l'amico dei principi e una legge da votare

Il sostenitore dei principi ereditari del Golfo. Ad accomunarli sono l’ambizione, la spietatezza, il disprezzo per i diritti umani, il senso di impunità oltre, ovviamente, le ricchezze a disposizione.

Salman e Renzi
Salman e Renzi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Marzo 2021 - 10.56


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L’amico dei principi ereditari del Golfo. Ad accomunarli sono l’ambizione, la spietatezza, il disprezzo per i diritti umani, il senso di impunità oltre, ovviamente, le ricchezze a disposizione. Renzi il “Golfista”. Da Riyadh a Doha e ora Manama. Matteo Renzi non ne manca una. Una conferenza, una intervistata, una comparsata al paddock. 

Matteo il “Golfista”

 Dopo le polemiche scaturite per l’intervista all’erede al trono dell’Arabia Saudita in piena crisi di governo e il viaggio a Dubai, circa una ventina di giorni fa, svelato da La Stampa e mai ‘giustificato’, il leader di Italia Viva spicca di nuovo il volo. Questa volta la destinazione è stata il Bahrain, dove ieri ha fatto il suo esordio il circuito della Formula 1. Renzi è stato immortalato dalle telecamere di Sky nel paddock e il presidente della Fia, Jean Todt, ha ‘ufficializzato’ la sua presenza con due tweet e altrettante foto insieme, una delle quali anche alla presenza del principe ereditario Salman bin Hamad Al Khalifa- L’ufficio stampa del senatore toscano fa sapere che l’ex presidente del Consiglio è “abituato alle polemiche contro di lui ma che ha come sempre rispettato tutte le norme e martedì sarà in aula a fare il suo lavoro per intervenire sul Family Act”, si legge in una nota. “Inutile dire – prosegue l’ufficio stampa – che i viaggi di Renzi riguardano Renzi e non costano un centesimo al contribuente”.

Il nuovo viaggio nel mondo arabo arriva pochi giorni dopo la difesa della sua amicizia con il principe ereditario Mohammad bin Salman, accusato dalla Cia di essere il mandante dell’omicidio del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi. “Non mi dimetto dal board del FII Institute’ (l’organismo controllato dal fondo sovrano saudita, ndr) e non sono in alcun conflitto d’interesse. Mohammad bin Salman? È un mio amico e che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi lo dite voi”, aveva detto in settimana ai giornalisti in risposta all’intervista realizzata a bin Salman, in piena crisi di governo, nella quale elogiava le politiche dell’Arabia Saudita e la definiva un Nuovo Rinascimento”.

I quotidiani italiani hanno cercato di fare luce sulla vicenda. “Il richiamo del deserto è troppo forte per Matteo Renzi. In pochi giorni è passato dalla sabbia di Dakar, in Senegal, a quella del Bahrein. Esattamente tre settimane dopo il weekend segreto a Dubai con l’amico Marco Carrai e ancora senza una spiegazione ufficiale, l’ex premier è tornato a trovare gli amici del Golfo. Questa volta per assistere dal vivo al Gran Premio che ha inaugurato la nuova stagione della Formula 1. Trasferta meno riservata, visto che è stato immortalato dalle telecamere della diretta tv, mentre passeggiava nel paddock, e dal presidente della Federazione di automobilismo, Jean Todt, in una foto pubblicata su Twitter. Con loro anche il principe ereditario e primo ministro Salman bin Hamad Al Khalifa. Se, accanto allo svago dei motori, ci siano stati anche incontri politici non è dato sapere. Come non è chiaro se Renzi abbia pagato di tasca sua il viaggio o, più probabilmente, sia stato invitato e ospitato“, si legge sulla Stampa.

Sui social scoppia la polemica e si concentra soprattutto sulla presenza di Renzi alla F1, mentre l’Italia è bloccata dalla pandemia. “Un intero Paese in zona rossa mentre lui si gode il Gran Premio di Formula 1 in Bahrein”, scrivono su Twitter. “Quindi io non posso tornare (giustamente) in un’altra Regione per rivedere i miei parenti, ma #Renzipuò andare a vedere il Gp di Formula 1 in #BahreinGP. Ok”, si legge in un altro commento. Ma il leader di Iv ribatte spiccio: “I viaggi di Renzi riguardano Renzi e non costano un centesimo al contribuente”.

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 “Comunque Renzi se non va in un Paese senza diritti umani non è contento: Israele, Arabia Saudita, Bahrein. La prossima gita fori porta dove? Korea del Nord?”, è uno dei post più caustici. Ma, con una nota, l’ufficio stampa dell’ex premier ribatte: “Matteo Renzi fa sapere che è abituato alle polemiche contro di lui ma che ha come sempre rispettato tutte le norme e martedì sarà in aula a fare il suo lavoro per intervenire sul Family Act. Inutile dire che i viaggi di Renzi riguardano Renzi e non costano un centesimo al contribuente”.

“Mentre gli italiani si trovano in lockdown e non possono uscire dai loro Comuni se non per tre motivi espressamente previsti dal Dpcm: di salute, di lavoro o ritorno alla propria residenza o domicilio il senatore Matteo Renzi va nel Bahrein a vedere il Gran Premio di Formula 1!”, attacca anche il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. “Invece di dare l’esempio, prende l’aereo per andare a vedere il Gp: un atteggiamento semplicemente inaccettabile e indifferente ai sacrifici degli italiani. Ricorda il marchese del Grillo”, chiosa. 

Sorgono diversi interrogativi sulle visite frequenti nella zona mediorientale, come ricorda il Resto del Carlino: “Nelle scorse settimane l’ex presidente del Consiglio è stato al centro di polemiche per i suoi viaggi negli Emirati Arabi e in Arabia Saudita, dove ha partecipato a un incontro con il principe Mohammed bin Salman, accusato dall’intelligence americana di essere stato il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi“.

Le giustificazioni non hanno placato i social. “Quindi io non posso tornare (giustamente) in un’altra Regione per rivedere i miei parenti, ma Renzi può andare a vedere il Gp di Formula 1 in Bahrrein?”, si legge in uno dei tanti tweet indignati. Anche perché è il terzo viaggio in pochi mesi. “Se non va in un Paese senza diritti umani non è contento”, gli ricordano. Alla fine di gennaio aveva partecipato a Riad alla conferenza organizzata dal Fii Institute controllato dal fondo sovrano saudita, quale membro del board, da cui riceverebbe 80 mila euro l’anno. Lì aveva intervistato il principe bin Salman, affermando: “L’Arabia Saudita può diventare il luogo di un nuovo Rinascimento. Avere rapporti con loro non solo è giusto, ma anche necessario”. Il 24 marzo Renzi è tornato a parlare di bin Salman: “Non ci sono certezze sul fatto che il principe sia stato il mandante dell’omicidio» e «l’amministrazione Biden non lo ha sanzionato e, se permettete, mi fido più di Biden che di voi”, ha detto ai cronisti. La settimana scorsa, infine, è volato a Dakar, in Senegal, dove ha visto Tony Blair, e dove avrebbe messo in contatto un’azienda lombarda con il premier Macky Sall. Polemiche erano sorte anche allora perché era partito dopo che si era saputo che la sua segretaria era risultata positiva al Covid“, riporta Repubblica.

Oltre alla Formula Uno, il Bahrein ospita la quinta flotta americana con diecimila uomini, ovvero la seconda in ordine di importanza dopo quella di stanza a Djibuti. A far base a Manama sono anche i militari britannici, che hanno costruito una nuova base a Porta al-Khalifa con 500 uomini. Con Sheikh Ahmad, l’allora presidente statunitense Donald Trump aveva firmato contratti per oltre 4 miliardi di dollari e rimosso i limiti per la vendita degli F-16, a suo tempo imposti da Obama dopo la repressione di regime. 

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Un caso esemplare

Najah Yusuf, una ex funzionaria statale che aveva protestato contro il regime nel 2011, è una delle principali attiviste della nazione: arrestata, aveva subito abusi e violenze sessuali dalle forze dell’ordine; suo figlio Kameel è stato in seguito preso di mira. Yusuf non è contraria alla F1 in sé, ma all’opportunità politica che il governo del suo Paese coglie mostrandosi perfettamente organizzato durante la corsa. Secondo la già citata Bird, a pochi chilometri dal circuito di Sakhir c’è la prigione di Jau, che ospiterebbe molti manifestanti arrestati in quel fatale 2011. Il governo del Bahrein nega ogni addebito e assicura che nelle prigioni è rispettato lo stato di diritto.

La classifica per il 2020  di Reporters Sans Frontières ha assegnato al Bahrein, su centottanta Paesi, il centosessantanovesimo posto e Hamad al-Khalifa è stato annoverato tra i “predatori della libertà di stampa” La pubblicazione di al-Wasat, l’unico quotidiano non legato al regime, è stata sospesa nel 2017. Il giornale si trovava nel mirino del regime già dal 2011, anno in cui la Nsa aveva torturato a morte il co-fondatore Karim Fakhrawi. 

Ad oggi, le carceri bahreinite ospitano almeno undici giornalisti, accusati principalmente di diffusione di notizie false, vilipendio verso lo Stato o, addirittura, di aver sostenuto gruppi terroristici. Inoltre, a partire dal 2019, il controllo sulle pubblicazioni online e sui social network si è fatto sempre più serrato. Ricorrendo all’accusa di diffusione di informazioni false, il ministero dell’Informazione può perseguitare gli utenti che hanno pubblicato o condiviso contenuti anche solo velatamente critici verso il governo. Per esempio, lo scorso novembre, diciotto persone sono state incarcerate per aver commentato la morte del Primo ministro Khalifa bin Salman al-Khalifa.

“La tolleranza del Bahrein verso i dissidenti sta raggiungendo il punto di non ritorno, cancellando qualsiasi progresso fatto dopo aver promesso di introdurre delle riforme dopo le proteste del 2011”, dichiara Sarah Leah Whitson, direttore di Human Rights Watch  per il Medio Oriente.

Il 10 marzo, Adhrb  (Defend Rights End Culture of Impunity) ha pronunciato un intervento nella 46esima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.

“Signora Presidente,

Ringraziamo i mandati delle Procedure Speciali per il loro lavoro e mostriamo la nostra preoccupazione per le condizioni critiche nelle prigioni Bahreinite, e per i problemi legati alla discriminazione religiosa alle rappresaglie, all’impunità e alla brutalità manifestati della polizia in Bahrein. E’ sufficiente un rapido sguardo ai rapporti dell’Onu sul Bahrein per notare le continue e sistematiche violazioni dei diritti umani e la mancanza di una cooperazione seria e costruttiva con i meccanismi di protezione dei diritti umani delle Nazioni Unite. A questo proposito, vorremmo segnalare un libro intitolato “Zafarat” pubblicato dall’agenzia di stampa degli attivisti bahreiniti “Bahrein Alyoum” in cui sono documentate decine di testimonianze dettagliate di vittime di tortura e prigionieri politici bahreiniti. Una delle vittime di questo libro è il prigioniero politico bahreinita Shaikh Zuhair Ashoor, arrestato per la sua opposizione alla dittatura del Bahrein e per le sue accuse relative alla libertà di espressione e di parola. Durante la detenzione e l’interrogatorio è stato sottoposto a gravi torture e a diverse violazioni dei diritti umani. Inoltre, è stato vittima di  a sparizione forzata, dal 10 luglio 2020 al 17 gennaio 2021  mentre veniva sottoposto a varie forme di tortura e molestie come forma di rappresaglia per le posizioni e le sue richieste di tutela di diritti dei prigionieri. Attualmente Shaikh Zuhair Ashoor è detenuto nella prigione di Jau, dove sta scontando l’ergastolo.

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Questo caso è emblematico per capire quanto sia radicata la la pratica della tortura e della cultura dell’impunità presso il Ministero degli Interni del Bahrein guidato dal Ministro Rashid bin Abdulla Al-Khalifa. Quest’ultimo dovrebbe essere ritenuto responsabile per questi crimini di violazioni dei diritti umani e sanzionato secondo il MaGnitsky Act”.

Petizione da sottoscrivere.
Da 25 anni il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di varare delle norme per disciplinare gli affari extra dei parlamentari”, si legge nella petizione su Change.org. “Nel 2016 la Camera dei Deputati ha assunto un Codice di condotta ispirato a quello vigente al Parlamento europeo. Al Senato invece ancora nulla, anzi c’è chi, come il senatore Matteo Renzi vanta rapporti di consulenza con uno dei regimi dispotici più lontani dalla cultura dei diritti difesi dalla nostra Costituzione”. Nonostante i giudizi negativi espressi dal Gruppo anticorruzione (GRECO) del Consiglio d’Europa nel suo quarto round valutativo sull’integrità delle istituzioni italiane (2018), il Senato non ha mai colmato la lacuna”, prosegue il testo della petizione.

“La legge anticorruzione Spazzacorrotti sancisce il ‘divieto di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia’. Ma si applica ai partiti politici e non anche ai membri eletti di quelle stesse forze politiche”.

Nella petizione, allora, si chiede “che la legge anticorruzione Spazzacorrotti venga applicata anche alle persone fisiche e che il Senato introduca un codice di condotta che regolamenti e limiti le attività extraparlamentari dei senatori, prevedendone eventuali conflitti di interessi ed eventuali sanzioni”.

Globalist sostiene questa petizione. E avanza ai suoi lettori una proposta: chiedere ai parlamentari dei partiti democratici, progressisti e di sinistra di sottoscriverla. E ai senatori di presentarla a Palazzo Madama. Why not?

(Prima parte)

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