Tavaroli: “Da un ufficiale italiano segreti venduti a uno Stato straniero? Non mi stupisce. Tutti spiano tutti”
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Tavaroli: “Da un ufficiale italiano segreti venduti a uno Stato straniero? Non mi stupisce. Tutti spiano tutti”

L'ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom: "Non parliamo di nuova Guerra Fredda ma lo spionaggio esisteva ai tempi della guerra fredda, ma esisteva già ai tempi di Annibale"

L'ambasciata russa a Roma
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1 Aprile 2021 - 16.08


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di Antonello Setta

 

Tavaroli, una vicenda inquietante. Il capitano di fregata della Marina militare italiana Walter Biot è stato arrestato prima che consegnasse a un ufficiale russo, in cambio di qualche migliaia di euro, documenti coperti dal segreto militare. Quale è stata la sua prima reazione?

La mia prima reazione è che si sia trattato di un’ottima operazione di controspionaggio dei servizi italiani – dice l’ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom rispondendo all’Agenzia SprayNews -. Non mi sono stupito perché lo spionaggio è il mestiere più antico del mondo insieme solo a un altro. E’ evidente che tutti spiano tutti in questo mondo. E in un quadro multilaterale di relazioni molto complesse, è anche evidente che tutti gli Stati cerchino di acquisire informazioni, in questo caso sulla la tecnologia della difesa militare dell’Italia in quanto membro della Nato. Se la domanda è: “Lei è stupito?”, io rispondo “Assolutamente no”.

Biot avrebbe consegnato al militare russo, poi espulso dal nostro Governo, una pennetta contenente alcune fotografie scattate dal monitor del suo computer. E’ una procedura usuale nello spionaggio?

 Le foto scattate dal monitor del computer rivelano l’esistenza di una buona tecnologia di tutela delle informazioni. L’ufficiale infedele aveva sì accesso a quei documenti e aveva probabilmente l’autorizzazione a poterli leggere, ma non li poteva evidentemente né stampare né scaricare. Si è arrangiato scattando delle foto dallo schermo del computer e scaricandole nella pennetta da consegnare all’ufficiale russo. Un’operazione “old fashion”, con metodi a bassa intensità tecnologica, ma non per questo meno pericolosa nel teatro di confronto militare fra la Russia, la Nato, l’Europa e la nuova amministrazione statunitense di Joe Biden.  Sappiamo che una falla pericolosa è stata individuata, anche se non sappiamo come. Ancora una volta si è dimostrato come nel nostro Paese le istituzioni, nonostante la nostra consolidata abitudine a criticare tutto e tutti, sono in grado di tutelare la nostra sicurezza e di intervenire quando si manifesta una patologia nella sfera delle persone che hanno accesso alle informazioni riservate.

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La Russia ha annunciato una risposta simmetrica. Siamo già nell’ambito di una guerra fredda?

Ma no! La cronaca cerca sempre di semplificare i fenomeni, ma lo spionaggio esisteva ai tempi della guerra fredda, ma esisteva già ai tempi di Annibale. L’informazione è sempre stata l’elemento prioritario prima di una guerra, in particolar modo per evitare che si arrivasse a combattere. Tutti i Paesi cercano di acquisire informazioni utili per meglio agire sul piano internazionale. E’ stato un tentativo di spionaggio avente per oggetto, a quanto pare, alcuni delicati congegni di comunicazione strategica militare e dobbiamo essere contenti che sia stato sventato. Ma non dobbiamo pensare di doverci difendere solo dagli ufficiali infedeli e dagli 007 di un altro Stato.

Si spieghi meglio? 

Lo spionaggio informatico è oggi ancora più pericoloso. E’ diventato una star wars, una guerra senza esclusione di colpi che si avvale di mezzi via via più sofisticati e ha una straordinaria capacità di penetrazione e di acquisizione di un’infinità di dati. Ci vuole un ombrello sempre più largo e confido che noi lo stiano sviluppando per fronteggiare tutte le minacce di un mondo multipolare in cui tutti gli attori cercano di acquisire un vantaggio informativo.

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L’unica notizia buona è la capacità del sistema di intelligence di monitorare e di agire. Possiamo restare relativamente tranquilli per il futuro?

Sono un esterno che si occupa della analisi e della gestione dei rischi operativi. Quindi, dalla mia posizione le rispondo che Tranquillo è morto. Non bisogna mai stare tranquilli e, anzi, bisogna allocare risorse e attenzioni alla sicurezza delle nostre istituzioni e del nostro know-how, in un’accezione larga, estesa alle aziende italiane, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, che sviluppano tecnologie. Pensi ai vaccini che sono stati oggetti di attacchi informatici spionistici da parte di Paesi interessati ad acquisire tutte le informazioni possibili sulle loro formule e sulle loro composizioni. Non c’è un settore e un ambito che oggi possono considerarsi al sicuro. Ci sono certo alcune informazioni che possono ritenersi prioritarie perché riguardano la sicurezza dello Stato, ma la sicurezza dello Stato è anche la sicurezza dell’economia. La sicurezza delle piccole e medie imprese, che rappresentano il tessuto dell’economia di un Paese. Non vorrei che il Covid ci distraesse da tutto questo.

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C’è qualcosa che l’ha fatta arrabbiare nella vicenda che ha ha coinvolto il capitano di fregata Walter Biot?

Arrabbiare no, ma una domanda me la pongo.  Dico, però, che abbiamo giustamente lodato la capacità del sistema di reagire a un militare infedele. Poi, però, poi abbiamo appreso dai media, che Albiot, se dobbiamo fidarci di quanto ci hanno raccontato, si trovava in una gravissima situazione familiare.  Mi domando come sia potuto accadere che nessuno si fosse accorto di questo suo enorme disagio e stress, che potevano portarlo a gesti anche più gravi. L’identikit, che ne viene fuori, desta anche un senso di compassione. Nessuno si era accorto della sua condizione. Nessuno lo aveva aiutato. Nessuno lo aveva distolto per tempo dalla posizione chiave che, come se niente fosse, ha continuato a occupare fino a un giorno fa. 

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