Genuflessi ai piedi del dittatore d’Egitto, il Videla delle Piramidi. Genuflessi al punto di concedergli tutto, anche di rimpatriare un militare accusato di violenza carnale a Spezia.
“A raccontare la storia è un bravo giornalista del Secolo XIX: Eccone una parte: “Quando i carabinieri hanno bussato alla porta della sua camera d’albergo per arrestarlo, lui se n’era già andato. ‘E’ tornato in Egitto, con l’aereo, l’hanno richiamato là’ hanno spiegato gli altri commilitoni. Dopo i depistaggi nell’indagine sull’omicidio di Giulio Regeni e i silenzi sulla carcerazione preventiva di Patrick Zaki, l’ennesimo affronto all’Italia, da parte dello Stato guidato da Abdel Fattah al Sisi, si materializza a Spezia.
Il militare egiziano – 21 anni, sospettato di aver tentato di violentare la commessa di un solarium del centro alla fine di marzo – è tornato al Cairo. Procura e carabinieri avevano ricevuto rassicurazioni che non si sarebbe allontanato prima della consegna delle Fremm alla Marina egiziana. – motivo per cui in effetti altri militari nordafricani si trovano ancora sul Golfo, alloggiati al Nh hotel di via XX Settembre. Ma sono stati tratti in inganno. E pensare che, da quanto risulta al Secolo XIX, la vicenda era monitorata con grande attenzione pure dall’intelligence italiana”.
Fuga da Spezia
Alla faccia della “grande attenzione”, viene spontaneo annotare. E allora facciamo nostro e rilanciamo il Twitter di Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal): “Ministro #Guerini. Chi era responsabile dei militari egiziani a La Spezia per l’addestramento sulle fregate #Fremm? Com’è che un militare egiziano accusato di violenze sessuali se ne è tornato in Egitto sebbene fosse “monitorato dall’intelligence italiana”?
Una vicenda oscura che meriterebbe una interrogazione parlamentare. Da notare che sia il sottosegretario Giorgio Mulè (Forza Italia) sia la sottosegretaria Stefania Pucciarelli (Lega) sono liguri. Non hanno niente da dire in proposito? Fosse stato un immigrato…
E la fregata va
Nove aprile 2021. Così Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo: “La seconda fregata multimissione Fremm, facente parte dell’accordo di vendita per due navi militari perfezionato durante il 2020, sta partendo alla volta dell’Egitto. Secondo indiscrezioni raccolte dalle nostre organizzazioni la nave, il cui nome è stato mutato in Bernees e con il numero di immatricolazione egiziano 1003, dovrebbe completare oggi l’imbarco degli armamenti. In programma per domani invece il momento finale della consegna alle forze armate di al-Sisi dopo la cerimonia di cambio bandiera avvenuta in queste ultime ore: la nave era, infatti, inizialmente destinata alla Marina Militare italiana con il nome “Emilio Bianchi” assegnato al varo del gennaio 2020. Anche se non dovesse concretizzarsi nella giornata di domani la consegna appare comunque imminente: da circa metà febbraio dai cantieri navali presso La Spezia sono state eseguite diverse uscite in mare di collaudo finale e soprattutto di addestramento per l’equipaggio della Marina Militare egiziana.
Questa notizia conferma in maniera evidente come non ci sia stato alcun cambio di rotta rispetto alle decisioni dello scorso anno e che anche il Governo Draghi, cui è in capo la responsabilità dell’autorizzazione finale alla consegna, dopo la concessione della licenza di vendita nel 2020 da parte del Governo Conte, ha deciso di continuare a sostenere il regime egiziano con forniture militari. Una scelta che Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo continuano a condannare e a considerare non solo inaccettabile e insensata, ma anche contraria alle norme nazionali ed internazionali sul commercio di armi che l’Italia ha sottoscritto e che dovrebbe rispettare.
Il tutto avviene a pochi giorni dall’ennesimo rinvio dei termini di carcerazione preventiva per lo studente Patrick Zaki e nel continuo ripetersi di casi di violazioni diritti umani da parte del regime di al-Sisi. Non va dimenticato inoltre che a metà marzo è stato pubblicato un nuovo Rapporto degli esperti Onu che individuano chiaramente una serie di violazioni da parte dell’Egitto dell’embargo sugli armamenti in vigore verso la Libia. Rafforzare la marina militare egiziana significa dunque peggiorare ulteriormente anche questa situazione specifica.
‘La vendita di queste navi configura una serie di problemi e violazioni che le nostre organizzazioni hanno segnalato da tempo – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore delle campagne di Ripd – cui nelle ultime settimane si è aggiunta anche l’evidenza di una perdita economica non indifferente, al contrario di quanto sostenuto da diversi esponenti politici come giustificazione dell’accordo’. La coppia di navi è infatti costata allo Stato italiano – che ora attende i rimpiazzi – circa 1,2 miliardi di euro compresi gli interessi pagati sui mutui, ma secondo notizie di stampa l’accordo di rivendita avrebbe un valore di soli 990 milioni di euro, senza contare i costi di smantellamento dei sistemi di standard Nato già installati.
Come già ripetuto più volte nel corso del 2020 (non appena trapelata l’intenzione del Governo italiano di concedere a Fincantieri autorizzazioni per la rivendita di queste due navi inizialmente destinate alla marina militare italiana) le nostre organizzazioni ribadiscono i contenuti della mobilitazione #StopArmiEgitto chiedendo il massimo sostegno da parte dell’opinione pubblica e della società civile. Va ricordato, inoltre, che l’Egitto è stato il primo paese per destinazione di autorizzazione militari nel corso del 2019, con un controvalore di oltre 870 milioni di euro determinati in particolare dalla vendita di decine di elicotteri militari prodotti dalla Leonardo S.p.A.
‘La fornitura delle Fremm – commenta Beretta – non è mai stata sottoposta all’esame delle Camere. Si tratta di un passaggio fondamentale richiesto dalla normativa vigente (la legge n. 185 del 1990) e oggi ancor più necessario in considerazione delle trattative in corso con l’Egitto per altre fregate Fremm, pattugliatori, caccia multiruolo e aerei addestratori che consoliderebbero la posizione del regime di al-Sisi come principale acquirente di sistemi militari italiani. Rinnoviamo pertanto la richiesta al Governo di presentare l’intera materia alle Camere ed esortiamo il Parlamento a richiedere con urgenza un dibattito approfondito sulle esportazioni di sistemi militari all’Egitto’.
Ricordiamo che la legge 185 del 1990 prescrive il divieto ad esportare armamenti “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere” (art. 1.6.).
“La conclusione di questo affare con la consegna della seconda Fremm suscita ancora più sdegno perché arriva pochi giorni dopo l’ennesimo, crudele, rinvio di altri 45 giorni della detenzione preventiva di Patrick Zaki. Il Governo sta dimostrando una mancanza totale di coerenza nell’esprimere al contempo solidarietà verso la causa del giovane studente dell’Università di Bologna e nel vendere armamenti ad un regime sanguinario come è quello di al-Sisi. Atti che non solo sono politicamente inopportuni, ma contrari alla normativa italiana e internazionale sull’export di armi” rimarca Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. ‘Chiediamo che vi sia un cambio di passo e che il Parlamento italiano faccia sentire la propria voce per frenare questa collaborazione con uno paese responsabile di gravissime violazioni dei diritti umani. Finché questi accordi saranno conclusi con il beneplacito delle istituzioni, è da ingenui pensare che si possa compiere qualche passo avanti nell’ottenere la liberazione di Zaki” conclude Noury.
Ma quella dei rapporti con l’Egitto non è una questione solo italiana. La conclusione di affari militari con il regime di al-Sisi suscita preoccupazione e sdegno anche a livello europeo, come è stato ricordato anche in un’importante Risoluzione approvata al Parlamento Europeo il 18 dicembre scorso, in cui si invita l’Ue a procedere ad un riesame approfondito dei rapporti con l’Egitto, stabilendo chiari parametri di riferimento che subordinino l’ulteriore cooperazione con il Paese al conseguimento di progressi nelle riforme delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto e dei diritti umani. Una preoccupazione resa ancora più forte dagli sviluppi di un caso ‘gemello’ a quello di Zaki, l’arresto del giovane egiziano Ahmed Samir Santawy, studente presso l’Università Europea di Vienna e attualmente in carcere con le stesse accuse che pendono su Zaki e su molti degli oppositori che al-Sisi vuole mettere a tacere: terrorismo e diffusione di notizie false volte a minare l’ordine pubblico”.
Così stanno le cose. Cambiano i Primi ministri, si susseguono gli schiaffi in faccia da parte del presidente-carceriere e dei suoi reggicoda, ma l’Italia continua a genuflettersi di fronte a colui che sta coprendo gli assassini di Giulio Regeni e condannato all’ergastolo amministrativo Patrick Zaki.
Ed ora, come se non bastasse, i nostri servizi vengono beffati e si lasciano sfuggire un militare accusato di violenza sessuale, volato beatamente al Cairo.
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